Ieri sera il Financial Times ha rivelato che a Bruxelles si è arrivati alla conclusione che il Trattato di Dublino, che attualmente regola le modalità di richiesta d’asilo in Europa, in termini di ricezione dei flussi migratori, è superato e già entro marzo saranno elaborate nuove regole, che sposterebbero il peso degli arrivi degli aspiranti profughi dai Paesi del Sud europeo a quelli del Nord.
“Una vittoria” per il premier italiano Matteo Renzi, giudica lo stesso quotidiano, date le costanti richieste dell’Italia, in prima fila nell’emergenza sbarchi, come pure la Grecia, anche se poi chi arriva sulle coste meridionali europee punta a chiedere asilo o a trasferirsi comunque in Germania o in altri Paesi settentrionali. Chi invece sembra non gradire è il primo ministro inglese inglese, David Cameron, che accelera quindi sui tempi del referendum sulla Brexit.
In base all’attuale obbligo per i migranti, contenuto nel regolamento di Dublino, di chiedere asilo nel paese di approdo, il Regno Unito può respingere almeno 1.000 profughi l’anno. Così, scrive il Telegraph, Cameron lancerà un “round finale” di trattative sulla Brexit a margine del meeting annuale del World Economic Forum a Davos. L’obiettivo: assicurare un patto di ri-negoziazione delle regole di adesione all’Ue già entro febbraio; traguardo che ora diventa più urgente, proprio alla luce dei piani di archiviazione di Dublino.
In una lettera dello scorso novembre al presidente del consiglio Ue Donald Tusk, Cameron ha chiesto garanzie vincolanti sul piano legale che i 19 membri dell’Eurozona non prendano decisioni che possano influire sull’economia del Regno Unito e soprattutto un rafforzamento dei poteri dei Parlamenti nazionali per bloccare le normative Ue, la sospensione della libertà di circolazione per i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Ue la sospensione per i primi quattro anni di residenza dei migranti Ue della possibilità di ottenere sussidi in Gran Bretagna. Richieste che in parte starebbero facendo proseliti in Europa, dopo le iniziali critiche, soprattutto sulla quesione dei migranti, che prevederebbe anche la possibilità di chiudere le porte a nuovi arrivi in caso di particolare difficoltà.
Una volta incassate le concessioni a cui punta, Cameron lancerà il referendum, che richiede per legge una campagna di 16 settimane, in modo da indirlo già a giugno. “Saremo guidati dagli eventi, non da un’agenda teorica”, ha detto il portavoce del premier britannico. “ma un accordo a febbraio aprirebbe la strada” a questo scenario.
Downing Street, ragiona il Telegraph, intende muoversi anche per evitare “il gioco di specchi” che nei mesi successivi potrebbe complicare la campagna, spingendo l’opzione “fuori” dall’Ue: in particolare, le conseguenze sull’elettorato di una nuova, drammatica crisi migratoria, “con corpi di migranti alla deriva o nuove barriere abbattute”.


























