Si riaffaccia con prepotenza l’unità sindacale, araba fenice delle relazioni industriali, capace in quanto tale di risorgere dalle proprie ceneri. E’ stata Susanna Camusso a dare il via. Ha preso carta e penna e ha scritto una lettera ai suoi due colleghi/cugini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, invitandoli a riprendere il discorso dell’unità. I suoi due interlocutori non hanno fatto passare più di un attimo per rispondere più o meno entusiasticamente. Ma la risposta positiva, almeno per come è stata data, era più che scontata.
La Camusso ha infatti motivato la sua offerta con la difficile situazione nella quale versano il sindacato e le relazioni industriali. Così come siamo, ha ricordato, contiamo sempre meno. Parole sante, il sindacato oggi vive più che altro nei salotti tv dei talk show, ed e’ invece visto con fastidio, e dunque ignorato, dal governo e più in generale dalle istituzioni e forse anche dai lavoratori, certamente quelli delle generazioni più nuove. La domanda che ci si pone sempre più spesso, tra il serio e il faceto, è se il sindacato è davvero morto.
E invece uniti si è forti. La storia lo insegna, da sempre. Uniti, i sindacati e i lavoratori sanno vincere. E’ sempre stato così, gli esempi sono talmente tanti che è inutile ricordarli. Come è stato fallimentare privilegiare l’unità interna a quella con le altre confederazioni. La Cgil più volte ha rincorso questo obiettivo, guardando a casa propria più che a quella delle altre confederazioni, ma il bilancio sempre stato negativo. Nel breve periodo magari i vantaggi ci sono, ma dopo un po’ ci si accorge che questi sono caduchi, e recuperare è sempre faticoso, quando è possibile.
Strada obbligata, quindi, e infatti è già in programma un incontro tra i tre segretari generali per riannodare le fila di questo discorso. Ma dire che l’unità serve e dichiarare di esser pronti a farla non basta assolutamente. L’unità non è finita solo perché c’è stata qualche distrazione, è caduta perché esistevano delle ragioni profonde ed è su queste che occorre lavorare se si vuole davvero riprendere quella strada. Devono essere rimossi quei macigni che hanno ostacolato l’unità sindacale in questi anni o mesi. E deve essere recuperata una comune visione sui problemi di fondo e magari anche su quelli più contingenti. Tutti sanno che il problema numero uno al momento sono i contratti, che devono essere rinnovati, ma non si sa bene su quali basi, secondo quali canoni, secondo quali norme. Ebbene, è su questo nodo allora che occorre concentrarsi perché davvero ci sia una stagione contrattuale felice, prospettiva al momento davvero molto lontana se perfino i chimici sembra siano in difficoltà. Ma le confederazioni debbono dare anche una risposta alla Confindustria, che da un anno ha avanzato alcune richieste che non possono essere ignorate o cancellate considerando che i contratti si fanno in due. Ma le confederazioni sono in grado di fare questo? Sono in grado di elaborare questa visione comune?
E poi c’è da chiedersi se le confederazioni su questa comune visione, ammesso che riescano a elaborarla, sono in grado di assicurare il sostegno di tutte le diverse loro componenti. Il pensiero, nemmeno a dirlo, va subito alla Fiom. Non è nemmeno giusto dare sempre la colpa di tutto al sindacato di Maurizio Landini, ma nel bene e nel male è la Fiom che si è sempre messa di traverso sul cammino dell’unità, anche se pensando che erano gli altri che sbagliavano tutto. L’idea del segretario generale della Fiom adesso è che al sindacato serva l’unità, ma soprattutto democrazia perché altrimenti il declino è assicurato, come prova il calo delle adesioni.
Affermazione però di parte. Non solo perché Landini vede in un grande rimescolamento di carte, soprattutto per quanto si riferisce alle modalità di formazione dei gruppi dirigenti, una via di uscita per suoi problemi personali, quanto perché i lavoratori possono anche essersi disamorati del sindacato, ma non perché colpevole di verticismo, quanto perché da qualche tempo l’azione sindacale, almeno in ceti settori, è parsa affievolita. I grandi ideali sono indispensabili per un movimento di milioni di anime come è il sindacato, ma servono soprattutto i risultati concreti, la difesa dei posti di lavoro, gli accordi con le aziende che sono in grado di assicurare un po’ di salario in più e soprattutto, in questi periodi di bassa occupazione, la tenuta dei posti di lavoro. E non sempre questo è stato fatto.
Allora è su questa cose che il sindacato deve impegnarsi, è su questi obiettivi che deve ritrovare la sua unità e la spinta per riprendere una corsa. Il sindacato è organizzazione democratica importante, lasciarlo indebolire è un peccato mortale, nessuno può assumersi questa responsabilità. E allora onore alla Camusso per la sua azione, purché vada avanti con la stessa grinta fino in fondo.