I manager sanno bene che i numeri sono fondamentali per comprendere i fenomeni e che per prendere la decisione giusta vanno interpretati correttamente. Quando si parla del welfare del nostro Paese i dati vengono, da sempre, presentati ad usum delphini. “Operazione verità”è quindi il titolo dell’evento che Federmanager terrà a Napoli il 14 maggio nell’ambito della Giornata nazionale della Previdenza e del lavoro, organizzata da Itinerari Previdenziali dal 12 al 14 maggio.
La spesa per la previdenza
Questo paese spende troppo per le pensioni e poco nelle altre forme di protezione sociale: nulla di più falso se i dati ufficiali vengono correttamente riclassificati, lo dimostra il Rapporto sul “Bilancio del sistema previdenziale italiano” curato proprio da Itinerari Previdenziali di cui è Presidente Alberto Brambilla.
Depurando la spesa pensionistica sia degli oneri non pensionistici (assegni familiari, maggiorazioni sulle pensioni, integrazioni al minimo), sia degli effetti degli oltre 450 mila prepensionamenti, imputati nel conto pensioni (negli altri Paesi sono contabilizzati, giustamente, sotto altra voce), si scopre un altro mondo.
Scorporando infatti, dalla spesa pensionistica pari, per il 2013, a circa 247 miliardi di euro, la quota di GIAS pari a circa 33 miliardi, che andrebbe correttamente posta a carico della fiscalità generale, la spesa, in rapporto al PIL, si riduce al 13,25%. Inoltre poiché le pensioni sono tassate, la spesa scende di altri 43 miliardi, vale a dire attorno al 12,6% del PIL, in linea con quanto avviene negli altri paesi.
Separare l’assistenza dalla previdenza
Ma veniamo alle mezze verità, non dette. Il rapporto in commento evidenzia che su oltre 16 milioni di pensionati, circa 8,5 milioni (il 52,2%), percepiscono prestazioni totalmente o parzialmente a carico della fiscalità generale: 3,6 milioni di beneficiari dell’integrazione al minimo, 1 milione di beneficiari di maggiorazioni sociali, oltre 800.000 percettori di pensioni sociali. In altre parole persone che durante l’intera vita lavorativa non hanno avuto una contribuzione regolare e, conseguentemente, non hanno neanche pagato le imposte. Saranno pure importi di pensione modesti, ma in buona parte a carico della solidarietà fiscale.
Quindi i privilegiati non sono certamente coloro che le pensioni se le sono sudate versando i contributi dovuti. I veri privilegiati sono coloro che percepiscono trattamenti pensionistici, anche modesti, ma che hanno versato scarsi contributi o non li hanno versati per niente: queste si che possono essere definite “pensioni d’oro”.
Il sistema retributivo
Il sistema retributivo di calcolo della pensione, è reo per aver generato pensioni di importo più elevato rispetto ai contributi versati, di cui avrebbero beneficiato non solo i redditi bassi ma anche quelli medio elevati. Anche fosse vero, e non lo è in tutti i casi, coloro che ne hanno beneficiato maggiormente sono certamente i redditi bassi, essendo noto che i coefficienti di trasformazione in rendita pensionistica siano decrescenti al crescere della retribuzione.
Parliamo dei dirigenti industriali
- Lo squilibrio dell’ex Inpdai
In particolare poi, quando si parla dei dirigenti industriali, non si considera che dagli anni novanta ad oggi sono scesi da circa 110.000 a circa 73.000 e che dal 2003 i nuovi dirigenti sono iscritti direttamente all’AGO, ma si imputa a presunte condizioni di miglior favore applicate sui trattamenti pensionistici, il saldo contabile negativo della gestione ex INPDAI. Nulla di più falso come Federmanager ha puntualizzato al presidente dell’Inps e dal quale si attendono risposte. Una sorta di accanimento che i dirigenti industriali non meritano per la loro storia e per il valore che, dal loro agire quotidiano, deriva per le imprese in cui operano e per la società.
- La sentenza 70 / 2015 della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale è recentemente intervenuta con la sentenza n. 70/2015 dichiarando illegittimo il blocco della perequazione automatica per gli anni 2012 e 2013 stabilita dalla “legge Fornero”.
Unito ai due blocchi precedenti, del 1998 e del 2008, questo è il terzo e quarto blocco che pesa sulla categoria, senza considerare i ripetuti blocchi parziali e i contributi di solidarietà che si sono succeduti in questi anni.
Ci si aspetta che il governo dia riscontro alla sentenza riconoscendo quanto non corrisposto, in caso contrario, Federmanager non resterà con le mani in mano.
Chi sostiene il nostro welfare
Ma c’è di più. Per provvedere alle prestazioni assistenziali e per coprire il disavanzo tra i contributi versati al sistema previdenziale e la spesa, la fiscalità generale interviene con poco meno di 90 miliardi, ben 5,77 punti di PIL, percentuale superiore alla spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Ed è evidente che questo onere grava, ça va sans dire, su coloro che le imposte le pagano onestamente e fino all’ultimo euro dovuto.
E’ bene sapere allora che circa 51,8 milioni di italiani pagano un Irpef media di 923 euro a testa e che solo il servizio sanitario nazionale costa 1.800 euro a testa! Il 52,81% dell’ Irpef è a carico del 13,62% dei contribuenti e addirittura il 27,3% dell’Irpef la paga solo il 3,18% dei contribuenti.
Di solidarietà redistributiva in un paese che ha il record dell’evasione fiscale e contributiva, i dirigenti in servizio e in pensione ne fanno quindi già molta.
Le ricette per risolvere i problemi reali dell’occupazione e delle pensioni delle future generazioni sono altre e devono essere interventi strutturali, di sistema. L’approccio non può essere contabile o attuariale e le risorse vanno cercate altrove.
Mario Cardoni – Direttore Generale Federmanager


























