Nel mondo odierno, più leggero, mobile, veloce e interconnesso, soggetto a cambiamenti frequenti e a instabilità crescenti, inevitabilmente entra in crisi un sistema, come quello della rappresentanza, sviluppatosi con un perimetro nazionale e un numero d’interlocutori limitato.
La società odierna fa fatica a praticare i valori e le culture della mediazione, poiché globalizzazione e differenziazione causano un coinvolgimento e una domanda di partecipazione crescenti del singolo individuo. Si impone quindi uno sforzo rilevante d’innovazione. Il caso Fiat, esploso nel 2010, ha proprio messo a nudo le farraginosità e le resistenze al cambiamento della rappresentanza: non solo della parte sindacale (vedi Fiom-Cgil), ma anche della parte datoriale (vedi Confindustria). Anzi, secondo Sabella, lo scontro più significativo del caso Fiat è proprio quello tra Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia, che in quel momento è alla guida dell’Associazione degli Industriali. In sintesi, la globalizzazione irrompe sulla scena delle nostre relazioni industriali, ma il sistema – per i suoi limiti e per scarsa partecipazione – non si dimostra pronto.
L’Italia, ha bisogno di un sindacato moderno, non solo per iniziare un nuovo ciclo economico ma anche per controllare i rischi di deriva statalista del nuovo corso renziano. La politica indubbiamente sta mostrando segnali di risveglio, ma l’inerzia delle Parti Sociali la lascia nella condizione di fare ciò che vuole. Non solo inerzia, ma anche continue contraddizioni animano il mondo sindacale: ecco perché, dopo casi di intese rimaste alle firme e di accordi non rispettati, il governo minaccia ora di intervenire con una legge sulla rappresentanza, ipotesi presente sin dai primi testi del Jobs Act e più volte invocata proprio da Marchionne, per dare validità erga omnes (nei confronti di tutti) agli accordi Fiat. Ciò lederebbe inevitabilmente l’autonomia della Parti Sociali; ma è altrettanto vero che per rivendicare autonomia bisogna darsi delle regole e rispettarle, cosa che in Italia non succede e genera incertezza sul fronte degli investimenti.
È questo il caso Fiat 2.0, la vicenda ha soltanto cambiato attore protagonista ma non si è ancora conclusa. Mentre il manager italo-canadese offre al Jobs Act e alle riforme di Renzi uno spot che ha risonanza mondiale, il giovane premier ha messo all’angolo i sindacati. Nessun governo ha osato tanto negli ultimi 30 anni. E ancor meno i Sindacati avrebbero permesso ad un esecutivo di centrodestra un comportamento tanto irriverente. Il decisionismo di Bettino Craxi è addirittura sorpassato: il leader socialista quantomeno ascoltava le Parti; questo governo nemmeno le convoca. Se non per renderle edotte della volontà del suo leader.
Ma o il sindacato cambia o rischia una lenta estinzione naturale, visto che sia sul versante del lavoro sia su quello dell’impresa prosegue un consistente e silenzioso esodo degli iscritti. Ecco perché l’attacco di Matteo Renzi può coincidere con l’inizio di una nuova stagione della rappresentanza.


























