Riunione n. 42
MERCOLEDÌ 22 APRILE 2015
Presidenza del Presidente
SACCONI
Orario: dalle ore 15,50 alle ore 16,30
AUDIZIONI INFORMALI SUGLI ATTI DEL GOVERNO N. 157 (MISURE DI CONCILIAZIONE SU ESIGENZE DI CURA, VITA E LAVORO) E N. 158 (TIPOLOGIE CONTRATTUALI E REVISIONE DELLA DISCIPLINA DELLE MANSIONI)
Riunione n. 41
MERCOLEDÌ 22 APRILE 2015
Presidenza della Vice Presidente
SPILABOTTE
indi del Presidente
Orario: dalle ore 8,35 alle ore 9,30
AUDIZIONI INFORMALI SUGLI ATTI DEL GOVERNO N. 157 (MISURE DI CONCILIAZIONE SU ESIGENZE DI CURA, VITA E LAVORO) E N. 158 (TIPOLOGIE CONTRATTUALI E REVISIONE DELLA DISCIPLINA DELLE MANSIONI)
Riunione n. 1
MERCOLEDÌ 22 APRILE 2015
Presidenza del Presidente
SACCONI
Orario: dalle ore 14,10 alle ore 15,50
INCONTRO SULLE RICADUTE OCCUPAZIONALI DELLA VICENDA DEL GRUPPO WHIRLPOOL-INDESIT ITALIA
Riunione n. 40
MARTEDÌ 21 APRILE 2015
Presidenza del Presidente
SACCONI
Orario: dalle ore 14,30 alle ore 16,30
AUDIZIONI INFORMALI SUGLI ATTI DEL GOVERNO N. 157 (MISURE DI CONCILIAZIONE SU ESIGENZE DI CURA, VITA E LAVORO) E N. 158 (TIPOLOGIE CONTRATTUALI E REVISIONE DELLA DISCIPLINA DELLE MANSIONI)
149ª Seduta (pomeridiana)
Presidenza del Presidente
SACCONI
Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Bobba.
La seduta inizia alle ore 15.
SULLA SITUAZIONE DEI LAVORATORI DI AUCHAN
Il senatore BAROZZINO (Misto-SEL) segnala la delicata situazione nella quale versano i lavoratori di Auchan, chiedendo che la Commissione effettui al riguardo un approfondimento.
Il presidente SACCONI assicura che, come in altri casi, la situazione verrà opportunamente monitorata e, ove ne ricorranno le condizioni, l’apposita Sottocommissione incontrerà rappresentanti dei lavoratori e dei vertici aziendali.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante misure di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e dei lavoro (n. 157)
(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 8, 9 e 11, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.Esame e rinvio)
Introducendo l’esame, la relatrice PARENTE (PD) sottolinea che lo schema di decreto risponde ad esigenze profondamente sentite nel Paese, prevedendo un insieme articolato di misure per la valorizzazione del contributo delle donne alla vita economica e sociale e favorendo il sostegno alla maternità ed alla conciliazione familiare, presupposto indispensabile per garantire la promozione delle pari opportunità nel mercato del lavoro. Osserva quindi che solo alcuni dei principi e criteri direttivi previsti nella legge delega hanno trovato attuazione nello schema di decreto legislativo, mentre altri sono stati disattesi poiché, come riportato nella relazione illustrativa, considerati i tempi ridotti per l’iter di approvazione e i vincoli finanziari connessi, si è preferito optare per una impostazione minimale e settoriale, ma efficace.
Passa quindi ad illustrare il contenuto dello schema, le cui finalità, intese a tutelare la maternità delle lavoratrici ed a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, sono enunciate all’articolo 1.
I commi 2 e 3 del successivo articolo 25 dispongono che le misure in esame si applichino in via sperimentale per il solo anno 2015 e che l’estensione agli anni successivi sia subordinata all’entrata in vigore di decreti legislativi che forniscano adeguata copertura finanziaria. Al riguardo, la relatrice riterrebbe opportuno valutare quali altre norme (oltre a quelle stabilite dall’articolo 24) debbano o possano essere poste in via permanente, anziché transitoria; specificare – in conformità alla norma posta nella disciplina di delega – che il decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; valutare se, in relazione alla natura attualmente transitoria delle misure in oggetto, sia preferibile usare una tecnica legislativa diversa da quella della novella.
La novella di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), prevede che il principio in base al quale i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima del parto (a causa di anticipo di esso rispetto alla data presunta) si aggiungono al periodo di congedo obbligatorio spettante dopo il parto anche qualora il periodo di congedo obbligatorio di maternità superi il limite di cinque mesi. In merito, la relazione illustrativa e quella tecnica osservano che la novella fa riferimento al caso in cui il parto sia intervenuto prima dell’inizio del congedo obbligatorio; la relatrice riterrebbe però opportuno chiarire se tale meccanismo di “recupero” dei giorni si applichi anche nelle ipotesi normative specifiche di congedo obbligatorio più lungo.
La novella di cui alla successiva lettera b) introduce il diritto della madre, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, di chiedere la sospensione del congedo obbligatorio di maternità e di usufruire del medesimo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino. In proposito, secondo la relatrice, potrebbe essere opportuno chiarire se la locuzione “in tutto o in parte” faccia riferimento alla possibilità di rinunzia ad una parte del congedo o all’ipotesi che una parte del congedo obbligatorio sia stato già goduto prima della sospensione. Il nuovo diritto si applica anche ai congedi corrispondenti per i casi di adozione e di affidamento.
L’articolo 2, comma 1, lettera b), e l’articolo 4, sono disposizioni previste in recepimento della sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della lettera c) dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 151 del 2001, nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare. Si tratta di una norma senza dubbio positiva, ma che richiede un maggiore approfondimento per evitare ulteriori disparità di trattamento tra madri lavoratici. Al riguardo, la relatrice ricorda che la sospensione del congedo in caso di ricovero del figlio è stata inserita nella contrattazione di primo livello, come ad esempio nel caso del CCNL Scuola, e che, nel periodo di ricovero del figlio, la madre può beneficiare, oltre ai tre giorni di permesso retribuito per “grave infermità”, del congedo per malattia figlio senza limiti di tempo ma non retribuito. Sarà dunque importante ora intervenire per via legislativa, o attraverso la contrattazione collettiva nei comparti ove non si sia già intervenuti, per prevedere permessi retribuiti per la malattia del figlio nei primi mesi di vita; diversamente si rischia di alimentare una disparità di trattamento tra madri lavoratrici che riprendono effettivamente servizio a poca distanza dal parto, e quante invece possono godere di tale istituto. Occorre inoltre risolvere la problematica di come conciliare la sospensione del congedo con la gestione del rapporto di lavoro eventualmente instaurato in sostituzione della lavoratrice madre.
Quanto al congedo di paternità per i lavoratori dipendenti e indennità di paternità per i lavoratori autonomi, di cui agli articoli 5 e 6, la relatrice riterrebbe opportuno chiarire se l’estensione riguardi anche le fattispecie di adozione o affidamento. La novella riconosce, inoltre, al padre lavoratore autonomo l’indennità di maternità prevista per le lavoratrici autonome, qualora la madre sia lavoratrice dipendente e ricorra una delle fattispecie in cui non sussista il congedo di maternità. Anche in tal caso sarebbe opportuno chiarire l’estensione riguardi anche le fattispecie di adozione o affidamento.
Dopo aver dato conto dell’articolo 6, che modifica la disciplina del congedo di paternità nell’ambito della fattispecie di adozione internazionale, la relatrice illustra la disciplina dei congedi parentali, di cui agli articoli da 7 a 10.
L’articolo 7, comma 1, lettera b) conferma, in merito alla determinazione delle modalità dell’eventuale fruizione del congedo parentale su base oraria, il rinvio alla contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, e specifica che, anche in assenza delle determinazioni contrattuali, ciascun genitore può scegliere la fruizione su base oraria (anziché giornaliera), in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente quello nel corso del quale abbia inizio il congedo parentale. La novella esclude, inoltre, la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con i permessi o i riposi contemplati dal testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. La relatrice ritiene in proposito opportuno chiarire se tale divieto di cumulo operi solo per il caso di mancata determinazione, da parte delle fonti contrattuali, delle modalità della fruizione del congedo su base oraria.
La relatrice dà poi conto del contenuto dell’articolo 12 sulle dimissioni senza preavviso, dell’articolo 13 sull’indennità di maternità e paternità per gli iscritti alla Gestione separata INPS, nonché degli articoli da 14 a 16, in tema di indennità di maternità e paternità per alcune categorie di lavoratori autonomi, da 17 a 20, sull’indennità di maternità e paternità per i liberi professionisti, 21, contenente modifiche al testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e 22, sul telelavoro.
L’articolo 23 introduce per le lavoratrici dipendenti e per le “collaboratrici a progetto” il diritto, rispettivamente, ad un congedo retribuito ed alla sospensione del rapporto contrattuale, per motivi connessi al loro percorso di protezione (debitamente certificato) relativo alla violenza di genere; in entrambi i casi, è posto un limite massimo di durata pari a tre mesi. Riguardo all’ambito di applicazione dell’articolo, la relatrice osserva che, per le lavoratrici dipendenti, si fa riferimento – oltre che alle dipendenti da datori di lavoro pubblici – esclusivamente alle dipendenti da soggetti imprenditori, mentre per le collaboratrici, da un lato, non si escludono come committenti, almeno letteralmente, i datori privati non imprenditori (come, per esempio, gli studi professionali) e, dall’altro, si fa riferimento esclusivamente alle collaboratrici “a progetto”, con esclusione degli altri casi di collaborazione coordinata e continuativa.
Riguardo al congedo, i profili relativi al preavviso, al trattamento economico ed alle modalità di fruizione sono definiti dai commi da 3 a 5. La relatrice reputa perciò opportuno chiarire se le norme sul preavviso riguardino anche i casi di sospensione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. In merito all’articolo 23, segnala il problema della lavoratrice inserita nei percorsi di protezione, avente diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia a disposizione un posto di lavoro a tempo parziale, in quanto, ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, devono essere rispettate le determinazioni del datore di lavoro relative alle dimensioni del suo organico.
L’articolo 24 prevede in via sperimentale, per il triennio 2016-2018, la destinazione alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata di una quota pari al 10 per cento del “Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello”. Si prevede, inoltre, la costituzione di una cabina di regia, preposta all’elaborazione delle linee guida ed al coordinamento delle attività di monitoraggio degli interventi in oggetto. Al fine di raggiungere l’obiettivo di promuovere la contrattazione collettiva per la conciliazione famiglia/lavoro, a giudizio della relatrice, si potrebbe valutare l’ipotesi di prevedere un intervento nella normativa di defiscalizzazione degli istituti del welfare contrattuale.
Conclusivamente, la relatrice sottolinea la necessità di approfondire in particolare il profilo transitorio dell’impianto normativo, caldeggiando, in via generale, il ricorso ad eventuali audizioni.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
Schema di decreto legislativo recante testo organico delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni(n. 158)
(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 7 e 11, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Esame e rinvio)
Introduce l’esame, in qualità di relatore, il presidente SACCONI (AP (NCD-UDC)), il quale sottolinea anzitutto la particolare complessità dell’impianto dello schema. Dopo aver illustrato il contenuto della disciplina, richiamando in particolare i criteri di delega che si intende declinare con il decreto, rileva che l’atto in esame non rappresenta quel testo unico sui rapporti di lavoro e sulle tipologie contrattuali di cui pure si parla nella legge delega, del quale rappresenta comunque un tassello fondamentale. Ai fini della redazione di quel testo organico sarebbe comunque importante che già in questa sede venissero introdotte alcune semplificazioni ulteriori della disciplina, perché ancora sussistono complessità e conseguenti incertezze interpretative, a cominciare dalla stessa definizione di lavoro subordinato. A tale proposito, sarà innanzitutto opportuno che il Governo chiarisca se la disciplina qui contenuta sia sostitutiva di quella del codice civile. In materia di lavoro subordinato, infatti, il testo enfatizza due elementi, sui quali è opportuno riflettere: l’etero-organizzazione in capo al datore di lavoro e la ripetitività della prestazione. Peraltro, il primo elemento è in fondo rinvenibile in ogni rapporto: tutte le prestazioni ordinistiche vengono ad esempio effettuate sempre in coordinamento con il committente, dalle cui esigenze evidentemente in nessun caso la prestazione può prescindere. Ma anche l’aspetto della ripetitività della prestazione evoca un’idea di coincidenza del lavoro subordinato con quello manuale. Le professioni intellettuali, che hanno forti elementi di autonomia, presentano però anche evidenti elementi di ripetitività: verrebbe anzi da dire che maggiore è la professionalità, maggiore è la ripetitività. Da ciò l’esigenza di riflettere, in vista del parere che la Commissione è chiamata a dare, perché il discrimine non è agevole e spesso si riscontra un continuum nella diversa modalità con cui le prestazioni sono rese.
Un aspetto opinabile è poi rappresentato dalla copertura del decreto, attesa la difficoltà di valutarne l’incidenza ai fini degli oneri contributivi. Al riguardo, il relatore osserva che la possibilità di avvalersi di voucher può essere di ausilio ai fini della emersione del lavoro sommerso. Più che eliminare la copertura indicata, dando così incertezza al mercato, reputa pertanto opportuno che il Governo rifletta sulla necessità di una clausola di copertura con le caratteristiche indicate in questa sede.
Passando quindi all’esame delle tipologie contrattuali, il presidente relatore evidenzia l’ipertrofia di una regolazione che occupa gli articoli da 2 a 10 dello schema. Le disposizioni sostanzialmente confermano l’attuale disciplina. La tipologia dovrebbe invece trasformarsi in un più semplice contratto al lavoro modulato, in relazione alle esigenze di volta in volta insorgenti. Lo stesso contratto di lavoro intermittente, che ha consentito l’emersione di molti picchi di attività, costituisce una conseguenza della rigidità del contratto di lavoro a tempo parziale.
In tema di contratto di lavoro a tempo determinato si conferma sostanzialmente, e molto opportunamente, un impianto recentemente adottato, con alcuni utili aggiustamenti, come nel caso della applicazione della sola sanzione amministrativa nell’ipotesi di violazione dei limiti quantitativi o della disciplina più snella per l’individuazione delle attività stagionali. Anche a questo proposito c’è il richiamo alle eventuali limitazioni previste dai contratti collettivi nazionali. Al riguardo il presidente relatore avverte che spesso sono certe duttilità di utilizzo del contratto a consentirne la immediata fruibilità da parte dell’impresa.
A proposito della somministrazione di lavoro, rileva che emerge nuovamente una tradizionale diffidenza nei confronti del cosiddetto staff leasing, una forma di organizzazione del lavoro nata negli Stati Uniti e destinata a produrre i migliori risultati laddove la grande impresa fornitrice somministra alla piccola impresa il personale necessario. Auspica pertanto che le attuali diffidenze vengano superate da parte delle organizzazioni sindacali italiane, come sono state superate dalle organizzazioni sindacali statunitensi che, pur restando diffidenti nei confronti della somministrazione, considerano tuttavia con favore lo staff leasing.
La cultura giuslavoristica che si esprime nello schema di decreto è, comunque, a tratti, ancora legata allo schema inaugurato nella seconda metà degli anni ’70, caratterizzato dalla norma rigidamente restrittiva che può essere derogata solo mediante contratto collettivo nazionale stipulato con i sindacati maggioritari. Disposizioni di questo genere sono presenti nell’intero impianto del decreto. Se la contrattazione di prossimità può certamente consentire la reciproca adattabilità tra le esigenze dell’impresa e quelle dei lavoratori, diventa eccessiva la funzione del sindacato quale unico regolatore della flessibilità nella dimensione generale.
Con riferimento al contratto di apprendistato, il presidente relatore considera assai positiva l’unificazione del primo e terzo livello del contratto, che permette una reale integrazione tra saperi teorici e saperi pratici. In questa tipologia di contratti hanno un ruolo notevole da un lato l’istituzione educativa e dall’altro l’impresa. Le disposizioni dello schema di decreto in materia vanno così viste in parallelo con alcune disposizioni contenute nel disegno di legge cosiddetto della “Buona scuola”, per la apprezzabile volontà di integrare lavoro e sistema scolastico. In proposito, ribadisce, come già evidenziato più volte anche in altre sedi, il convincimento che l’accesso al contratto di apprendistato andrebbe reso possibile già dai 14 anni di età, al fine di limitare i pericoli derivanti da abbandoni scolastici precoci.
Una particolare riflessione andrà fatta con riferimento al rapporto tra lavoro indipendente e lavoro autonomo. Nel caso in cui si ritenga di avere a che fare con prestatori particolarmente fragili, ma con un carattere di genuina autonomia, allo scopo di proteggerli non si deve forzosamente trasformare il rapporto in subordinato, ma semmai proteggerne la dipendenza socio-economica, ad esempio, tutelando la remunerazione della prestazione autonoma in modo analogo a quanto si effettua per il salario del lavoratore dipendente, ma non costringendo la realtà in schemi che a quella realtà non corrispondono. Una riflessione attenta andrà dunque fatta a proposito di lavori prestati in determinati campi, come la cooperazione allo sviluppo, la formazione e la ricerca: talune attività sociali si svolgono infatti secondo particolari modalità di autonomia e con grande duttilità, in relazione alle necessità di fruizione della prestazione medesima. Anche nel caso dell’associazione in partecipazione possono esserci casi di genuino incontro tra chi pone a disposizione il capitale e chi invece la propria prestazione lavorativa: da ciò l’opportunità di una riflessione, al di fuori di schemi e pregiudizi astratti.
Lo schema lascia sopravvivere le collaborazioni di cui all’articolo 2125 del codice civile. Occorrerà pertanto meditare sull’utilizzo paradossalmente molto più frequente delle collaborazioni nel mercato pubblico.
Con altrettanta attenzione occorrerà approfondire la tematica delle partite IVA, che con lo schema di decreto in esame ritrovano dignità: il più autentico dei prestatori autonomi può infatti trovarsi anche in regime di monocommittenza. Anche questo elemento evidenzia la necessità che il testo muova da un approccio sostanzialistico, e che si prepari il nuovo testo unico, finalizzato a dare semplicità e certezza alla regolazione del lavoro.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
Il presidente SACCONI propone lo svolgimento di audizioni delle parti sociali e datoriali e di altri soggetti interessati, al fine di approfondire le delicate tematiche toccate dagli atti di Governo nn. 157 e 158.
Dopo un dibattito nel quale intervengono ripetutamente i senatori PUGLIA (M5S), SERAFINI (FI-PdL XVII), CATALFO (M5S), BERGER (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE), DIVINA (LN-Aut), PAGANO (AP (NCD-UDC)), MANASSERO (PD) e D’ADDA (PD), si conviene di procedere ad audizioni, secondo un programma concordato. Le audizioni, che si svolgeranno in sede informale, dinanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione allargato ai rappresentanti dei Gruppi, avranno ad oggetto entrambi gli atti.
La Commissione conviene.
La seduta termina alle ore 16,30.
148ª Seduta (antimeridiana)
Presidenza del Presidente
SACCONI
Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Bobba.
La seduta inizia alle ore 8,35.
IN SEDE CONSULTIVA
(Doc. LVII, n. 3) Documento di economia e finanza 2015 e connessi allegati
(Parere alla 5a Commissione. Seguito e conclusione dell’esame. Parere favorevole con osservazioni)
Prosegue l’esame, sospeso nella seduta di ieri.
Il relatore ICHINO (PD) illustra una nuova bozza di parere, di segno favorevole con osservazioni, pubblicata in allegato, nella quale ha raccolto la più parte dei suggerimenti emersi nel corso del dibattito.
La senatrice CATALFO (M5S) chiede di proseguire l’esame nella seduta già convocata per il pomeriggio, al fine di disporre di un tempo di esame adeguato all’importanza del Documento.
La senatrice SPILABOTTE (PD), pur comprendendo le ragioni sottese alla richiesta, osserva che il parere della Commissione è circoscritto alle materie di competenza.
Il presidente SACCONI osserva che la seduta della Commissione prevista per questo pomeriggio è finalizzata all’incardinamento degli schemi di decreto legislativo sulla conciliazione dei tempi vita-lavoro e sulle forme contrattuali. Allo scopo di accedere alla richiesta della senatrice Catalfo, propone pertanto una breve sospensione della seduta antimeridiana.
Anche il senatore SERAFINI (FI-PdL XVII) reputa assai breve il tempo lasciato alla Commissione per l’esame di un Documento ponderoso come il DEF. In ogni caso la posizione del suo Gruppo è già matura e si sostanzierà in un voto contrario.
Il presidente SACCONI richiama la natura ed il significato del DEF, rispetto ai quali le posizioni dell’opposizione si articolano in termini complessivi e politici, e conferma la sua disponibilità a concedere una breve sospensione prima dell’espressione del voto.
La senatrice CATALFO (M5S) ribadisce la limitatezza del tempo disponibile, a maggior ragione dal punto di vista di un Gruppo di opposizione, che deve avere contezza del Documento nel suo complesso per poter articolare una posizione con riferimento alla competenza della Commissione.
La senatrice SPILABOTTE (PD), nel ribadire che la Commissione è chiamata a leggere il Documento attraverso la lente della propria competenza, ricorda che nella seduta di ieri, dopo l’illustrazione del relatore, la cui relazione è stata a disposizione on lineprecedentemente alla seduta medesima, si è svolto un ampio dibattito, nel quale hanno preso la parola tutti i rappresentanti dell’opposizione che l’hanno richiesta e senza che gli interventi fossero assoggettati ad alcuna limitazione temporale.
Il senatore BAROZZINO (Misto-SEL) nota che ancora una volta i Gruppi di opposizione si trovano a rappresentare una situazione di compressione del dibattito. Osserva inoltre polemicamente che le modalità conoscitive degli atti all’esame della Commissione pertengono alla libera ed autonoma decisione di ciascuno, al suo personale approccio ed alle specifiche esigenze politiche.
Il presidente SACCONI, verificata la presenza del prescritto numero di senatori, mette quindi ai voti la proposta di rinvio dell’esame formalizzata dalla senatrice Catalfo, che viene respinta, raccogliendo il voto favorevole dei senatori BAROZZINO (Misto-SEL), BERTACCO(FI-PdL XVII), CATALFO (M5S), PAGLINI (M5S) e SERAFINI (FI-PdL XVII).
La senatrice CATALFO (M5S) ribadisce di ritenere inidoneo il contesto nel quale la discussione si svolge e annuncia la presentazione di un parere contrario, pubblicato in allegato.
Il presidente SACCONI mette quindi ai voti la proposta di parere favorevole con osservazioni testé illustrata dal relatore, che è approvata. Resta conseguentemente precluso il voto sulla proposta di parere contrario.
La seduta termine alle ore 9.
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE SUL DOCUMENTO LVII, N. 3 E CONNESSI ALLEGATI
La Commissione lavoro, previdenza sociale, esaminati, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2015 e i connessi allegati, premesso che il quadro programmatico delineato prevede un incremento del PIL rispetto all’anno precedente pari allo 0,7 per cento per l’anno in corso, all’1,4 per cento per il 2016 e a un tasso medio annuo simile a quest’ultimo per il periodo 2017-2019; un tasso di disoccupazione pari al 12,3 per cento per l’anno in corso, all’11,7 per cento per il 2016 e fino a decrescere al 10,5 per cento per il 2019;
preso atto che in tema di politiche del lavoro il DEF delinea il quadro normativo scaturito dall’approvazione della legge n. 183 del 2014 (Jobs Act), con una valutazione puntuale e positiva sulle singole deleghe;
valutato che, secondo il Documento, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL – il cui valore per il 2015 è previsto pari al 15,8 per cento – tenderà a ridursi fino al 2030, in presenza di un andamento di crescita più favorevole, fino ad attestarsi intorno al 15 per cento,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni.
Al fine del consolidamento dell’incipiente tendenza alla ripresa della crescita economica, si sottolinea la necessità di aprire il sistema nazionale agli investimenti diretti esteri e stimolare gli investimenti interni. A tale scopo, sul piano della politica del lavoro, occorre per un verso, dare agli operatori una prospettiva credibile di copertura per l’anno in corso e di estensione anche agli anni prossimi della riduzione del cuneo fiscale e previdenziale sulle retribuzioni nel periodo iniziale dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Allo stesso scopo occorre, per altro verso, assicurare un funzionamento migliore del mercato del lavoro, come luogo di facile incontro fra domanda e offerta. Devono andare in questa direzione:
– l’istituzione di una Agenzia nazionale per l’impiego capace di stabilire gli standard di efficienza e gli obiettivi da raggiungere, di controllarne il raggiungimento e surrogarsi alle strutture regionali che se ne rivelino incapaci;
– una più stretta cooperazione tra Centri per l’Impiego e operatori accreditati specializzati nell’assistenza ai lavoratori nella ricerca della nuova occupazione;
– una più stretta combinazione tra le politiche passive, di sostegno del reddito dei disoccupati, con quelle attive, mirate al loro rapido reinserimento nel tessuto produttivo, anche al fine di rendere effettivo il principio di condizionalità dei trattamenti di disoccupazione ed evitare che essi producano un allungamento dei periodi di inattività delle persone stesse;
– una rapida messa a punto ed entrata in funzione del nuovo strumento del contratto di ricollocazione, istituito dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 2015 in attuazione della legge delega n. 183 del 2014;
– l’attivazione di misure fiscali che agevolino il decollo, il consolidamento e la diffusione del nuovo strumento del contratto di ricollocazione;
– l’attivazione, ad opera della l’istituenda Agenzia nazionale per l’impiego, di un sistema di rilevazione sistematica del tasso di coerenza tra formazione professionale finanziata con fondi pubblici e sbocchi occupazionali effettivi per chi ne ha fruito.
A completamento del nuovo sistema di workfare, per le persone disoccupate che non dispongono dei requisiti per il trattamento di sostegno del reddito di natura assicurativa, si raccomanda un rafforzamento dell’impegno del Governo sul terreno delle misure per la lotta contro la povertà.
Si segnala inoltre che le misure necessarie di politica sociale e del lavoro devono mirare alla promozione di un sistema di relazioni industriali aperto all’innovazione tecnologica, capace di rispondere positivamente alle esigenze dei nuovi piani industriali, di adattare glistandard di trattamento dei lavoratori alle esigenze di sviluppo delle diverse parti del territorio nazionale e di collegare gli aumenti retributivi agli incrementi di produttività. In funzione di questo obiettivo si suggerisce:
– di rifinanziare le misure di detassazione della parte di retribuzione (entro i limiti di durata normale della prestazione) legata agli incrementi di produttività, contrattata al livello aziendale;
– di incentivare sul piano fiscale le forme contrattate a livello aziendale di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa, secondo quanto previsto nel disegno di legge n. 1051, all’esame della Commissione lavoro.
Infine, si sottolinea che una crescita economica equilibrata e duratura presuppone un rapido aumento del tasso di occupazione – in Italia patologicamente basso – delle donne, dei giovani, dei disabili, e nella fascia di età sopra i cinquant’anni di età.
In particolare:
– in tema di occupazione giovanile, si raccomanda l’istituzione di un servizio di orientamento scolastico e professionale,capacedi raggiungere capillarmente ogni adolescente all’uscita di ciascun ciclo di studi, oggi drammaticamente mancante nel nostro Paese;
– quanto all’aumento del tasso di occupazione femminile, si raccomanda di favorire il suo allineamento all’obiettivo di Lisbona (60 per cento, rispetto all’attuale 46 per cento) mediante una azione positiva collegata al raggiungimento di quell’obiettivo, consistente in una detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile; un primo forte intervento in questo senso potrebbe essere dislocato nel Mezzogiorno, dove il tasso di occupazione femminile è più basso.
Si raccomanda infine di prevedere un programma mirato alla promozione dell’invecchiamento attivo, mediante misure di sostegno del reddito, schemi di combinazione di lavoro parziale e parziale anticipazione della pensione, schemi di attivazione nel mercato dei servizi alle persone e alle comunità locali, nonché schemi volti al ridisegno delle mansioni, attingendo alle migliori esperienze disponibili nel panorama del centro e nord Europa. Una parte di queste misure può essere utilmente attivata anche per l’aumento del tasso di occupazione nel segmento dei portatori di disabilità non totalmente invalidanti.
SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAI SENATORI CATALFO, PUGLIA E PAGLINI SUL DOCUMENTO LVII, N. 3 E CONNESSI ALLEGATI
L’11a Commissione del Senato, esaminato per le parti di competenza il Documento di Economia e Finanza 2015 (Doc. LVII, n. 3);
premesso che:
il DEF 2015 disegna un quadro economico in ripresa nei prossimi due anni, con un Pil previsto allo 0,7 per cento, dopo un triennio costantemente negativo; la produttività che dovrebbe crescere dell’1,4 per cento, con aumento ulteriore nel 2017 all’1,5 per cento e all’1,4 per cento per il 2018 e tutte le proiezioni in crescita rispetto alla precedente rilevazione dell’autunno 2014;
per quanto riguarda il capitolo del rapporto deficit/PIL, confermando gli obiettivi di indebitamento netto indicati nel Draft Budgetary Plan (DBP) 2015, esso dovrebbe scendere progressivamente dal 2,6 per cento del 2015 all’1,8 per cento il prossimo anno e allo 0,8 per cento del 2017, fino al pareggio completo del 2018. Nel 2019 sarebbe atteso un surplus nominale pari allo 0,4 per cento del PIL. La differenza tra deficit programmatico e tendenziale, che differisce di circaun decimodi punto percentuale, dovrebbe produrre il bonus (il cosiddetto “tesoretto”) annunciato dal Governo;
il Governo si impegna altresì a disattivare l’entrata in vigore sia della clausola di salvaguardiaposta a garanzia dei saldi di finanza pubblica dalla Legge di stabilità 2015 (per 0,8 punti percentuali di PIL, ovvero 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 21,3 miliardi dal 2018, da reperire mediante aumento delle aliquote IVA e delle accise sugli oli minerali), sia di quella prevista dalla Legge di stabilità 2014 (per 0,2 punti percentuali di PIL, ovvero 3,3 miliardi nel 2016 e 6,3 miliardi nel 2017 da reperire mediante variazione delle aliquote d’imposta e la riduzione delle agevolazioni e detrazioni fiscali). Secondo il Governo stesso infatti, il miglioramento del quadro macroeconomico previsto nel DEF 2015 muta favorevolmente lo scenario di riferimento e consente di riconsiderare la dimensione delle misure correttive da adottare per rispettare gli impegni assunti in ambito europeo;
ampio spazio nell’ambito delle riforme strutturali illustrate viene dato ai provvedimenti in tema di lavoro;
in particolare si sottolinea ripetutamente l’importanza delle disposizioni di cui alla legge n. 183 del 2014 in generale e dei quattro decreti attuativi finora approvati in sua attuazione in particolare (disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, semplificazione delle tipologie contrattuali);
inoltre, come si legge nella premessa alla Parte III, gli effetti degli interventi sul funzionamento del mercato del lavoro dovrebbero risultare amplificati “dagli incentivi fiscali introdotti con la Legge di Stabilità per il 2015, quali la riduzione permanente del cuneo fiscale per i dipendenti con un reddito inferiore a 26 mila euro (bonus IRPEF 80 euro); la deducibilità, per le imprese e alcuni lavoratori, del costo del lavoro dalla base imponibile ai fini IRAP; l’esenzione totale, per 36 mesi, dal pagamento dei contributi sociali per i nuovi contratti a tempo indeterminato stipulati nel 2015.”;
viene ribadita la volontà di dare impulso al programma italiano per l’attuazione della “Garanzia giovani”, il Piano europeo volto a contrastare il fenomeno dei giovani che non lavorano e non studiano (NEET);
viene prospettato il varo entro il 2015 di un apposito disegno di legge “per consentire, attraverso la contrattazione aziendale (o territoriale), l’adozione di modelli di partecipazione dei lavoratori nella vita delle imprese e per favorire l’evoluzione nelle relazioni industriali, con il superamento della conflittualità attraverso la ricerca di obiettivi condivisi”;
infine, ancora una volta, nel documento in esame si dà ampio rilievo, tra le misure per il contrasto alla povertà, al cosiddetto SIA e si ribadisce, come strumento per l’attuazione del medesimo programma, la cosiddetta social card;
considerato che:
per quanto riguarda il cosiddetto “tesoretto”, il modo in cui l’operazione è stata congegnata appare come un mero artificio contabile dal quale non è affatto detto che discenda una reale dote di 1,6 miliardi di euro come il Governo vorrebbe far credere.Il calcolo delle risorse è stato fatto sulla base del rapporto deficit-PIL, previsto quest’anno al 2,5 per cento e che viene innalzato, con un tratto di penna, al 2,6 per cento. Più che un “tesoretto” si tratta di un deficit previsionale basato su stime dell’Esecutivo. Per muovere risorse, peraltro anche ingenti, non basta solo lo scostamento dello 0,1 per cento tra deficit “tendenziale” e deficit “programmatico” indicato dal Governo con le sue stime. Tanto più che con i dati occupazionali che sono al minimo storico e un produzione industriale che continua a deludere, ed ancora con la necessità di trovare risorse ingenti con la prossima manovra di bilancio al fine di scongiurare l’attivazione delle clausole di salvaguardia e quindi evitare il disastroso innalzamento della pressione fiscale legato all’aumento dell’IVA, parlare di un tesoretto a disposizione di, non meglio identificate, misure a sostegno dei più bisognosi è una vera presa in giro;
non risulta peraltro chiaro quale dovrebbe essere la destinazione di queste presunte risorse: sulla base delle dichiarazioni del Ministro del lavoro si starebbe predisponendo un piano anti-povertà ma non si capisce se per darne attuazione si percorrerebbe la via fiscale, allargando l’attuale bonus ai redditi sotto gli ottomila euro, oppure se si voglia tentare il rilancio di misure diverse, come ad esempio la già citata social card;
in riferimento all’annullamento delle clausole di salvaguardia, appare invece in netta controtendenza rispetto agli annunci la scelta da parte dell’Esecutivo, nella sua veste di legislatore delegato, di inserire nello schema di decreto legislativo sul riordino dei contratti (AG n. 158), appena trasmesso al Parlamento, l’ennesima clausola di salvaguardia nell’ipotesi in cui il fabbisogno di risorse per la decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato stipulati quest’anno eccedesse la somma di 1,886 miliardi già appostati dall’Esecutivo. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, in caso vi fossero trasformazioni di massa da contratti di collaborazione (che pagano robusti contributi, anche nell’intorno del 30 per cento) rispetto alle stime dal Governo (37.000 trasformazioni originarie più altre 20.000 aggiuntive, con retribuzione media stimata di 15.000 euro). In tal caso, il ministero dell’Economia provvederà «all’introduzione di un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi». Ciò significa che si arriverà al paradosso di pagare contributi (pur se nominalmente “di solidarietà”) per avere un taglio di contributi. Se si considera il fatto che i collaboratori a progetto in monocommittenza (quelli che hanno caratteristiche di operatività non distanti dalla subordinazione) in Italia sarebbero circa 370.000, si coglie il potenziale rischio per i conti pubblici;
tuttavia è l’intero provvedimento della cosiddetta “Delega lavoro” (legge n. 183 del 2014) a scontare una generale carenza di risorse per l’attuazione delle deleghe in essa contenute. La Legge di stabilità per il 2015 istituiva infatti a tal fine un apposito fondo, con una dotazione di 2.200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 e di 2.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017. Tuttavia per l’attuazione del solo decreto legislativo4 marzo 2015, n. 22, vengono valutati oneri per 869 milioni di euro il 2015, 1.774 milioni di euro per il 2016, 1.902 milioni di euro per il 2017, 1.794 milioni di euro per il 2018, 1.707 milioni di euro per il 2019, 1.706 milioni di euro per il 2020, 1.709 milioni di euro per il 2021, 1.712 milioni di euro per il 2022, 1.715 milioni di euro per il 2023 e 1.718 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024. Appare chiaro dunque che ben poco rimane per l’attuazione dei restanti provvedimenti delegati e dunque, alle condizioni attuali, se anche essi dovessero essere effettivamente approvati, potrebbero portare ad un aggravio delle finanze statali con conseguente aumento della pressione fiscale e dunque ad una riduzione dei presunti effetti benefici sull’economia che il Governo loro attribuisce;
peraltro, riguardo i decreti attuativi finora entrati in vigore non si può non ribadire per intero i rilievi già sollevati in questa Commissione in sede consultiva:
· il cosiddetto contratto a tutele crescenti è semplicemente un’ulteriore disciplina del licenziamento illegittimo che va ad affiancarsi a quanto già previsto dalla legge n. 604 del 1966 e dallo Statuto dei lavoratori, peraltro assai peggiorativa rispetto alle normative. Contratto “a tempo indeterminato” solo nella forma, visto che l’ampia possibilità di licenziamento senza reintegro istituzionalizza di fatto il precariato, esso sconta la concorrenza di un contratto a tempo determinato che il decreto-legge n. 34 del 2014 ha reso, assai più conveniente del contratto a tempo indeterminato portando ad un livello di “flessibilità in uscita” che non trova pari in altri paesi europei. Le cosiddette “tutele crescenti” consistono semplicemente nell’aumentare del livello economico dell’indennizzo, in caso di dichiarata illegittimità del licenziamento, al crescere dell’anzianità di servizio. Il computo di questa indennità è peraltro sottratto a qualsiasi valutazione giurisprudenziale, poiché è legislativamente regolato. E’ indiscutibile che per i lavoratori con una bassa anzianità di servizio c’è una tutela economica complessivamente più bassa rispetto ai regimi di tutela finora vigenti;
· la NASpI appare uno strumento non rispondente al dettato della legge delega la quale recava quale criterio di esercizio della delega stessa la creazione di uno strumento unico, l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa per i quali è stato creato un apposito strumento, peraltro solo a livello sperimentale. Il sistema di calcolo dell’indennità, cui si unisce la progressiva riduzione della stessa con il passare del tempo, finisce per essere penalizzante rispetto alla previgente disciplina in particolare per alcune categorie di lavoratori come gli stagionali;
anche per quanto riguarda in generale gli incentivi fiscali per l’occupazione l’enfasi con cui il Governo illustra gli interventi elencati solleva forti perplessità. In particolare, l’abrogazione con la Legge di Stabilità per il 2015 delle agevolazioni strutturali per l’assunzione dei disoccupati di lunga durata, che erano previste dalla legge n. 407 del 1990. Nel regime che si è inteso superare, infatti, erano previsti sgravi contributivi previdenziali e assistenziali, che consentivano a chi assumesse disoccupati, in possesso dei requisiti indicati nella norma, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, di risparmiare il 50 per cento dei contributi INPS e INAIL per trentasei mesi. Il risparmio si elevava al 100 per cento se l’impresa che assumeva era collocata nel Mezzogiorno o se era un’impresa artigiana. Il pregio di questa disciplina era quello di essere oramai una voce consolidata nel bilancio dello Stato e di non aver bisogno di un rifinanziamento annuale. Nel nuovo regime, invece, le imprese del Mezzogiorno e quelle artigiane dell’intero territorio italiano perderanno il 100 per cento degli sgravi INAIL. Le restanti imprese, invece, elevano al 100 per cento il risparmio INPS, ma non avranno più alcuno sgravio sui contributi INAIL: alcuni settori sono fortemente penalizzati da questa scelta. Se, infatti, prima facie il taglio alla contribuzione INAIL sembrerebbe bilanciato dall’aumento dello sgravio INPS, per le imprese edili e per gli autotrasportatori questa modifica comporta notevoli aggravi sui bilanci, poiché per essi l’aliquota del premio INAIL è particolarmente elevata. Conseguentemente si deve rilevare che questo aggravio è due volte più pesante per le imprese di autotrasporto e del settore edilizio del Mezzogiorno, che verranno praticamente messe in ginocchio dalla nuova disciplina, col paradosso che finirà per aumentare la disoccupazione proprio nei territori che registrano i dati più drammatici in tal senso e che più avrebbero bisogno di sostegno. A tutto ciò va aggiunto che il nuovo intervento dovrà essere rifinanziato di anno in anno, perciò nulla esclude che, mancando ancora una volta le adeguate coperture, le imprese restino senza agevolazioni. E’ evidente che, dinanzi a simili incertezze, quello che vorrebbe essere un intervento che promuove il contrasto alla disoccupazione rischia di diventare, nel lungo periodo, un disincentivo alle assunzioni di disoccupati di lunga durata;
per quanto concerne il programma Garanzia giovani (programma finanziato dall’Europa con 1,5 miliardi di euro) molte ombre e poche luci a quasi un anno di distanza dal suo lancio. Esso nelle intenzioni avrebbe dovuto offrire un lavoro o un percorso formativo (entro quattro mesi dal primo colloquio) ai circa 2 milioni di giovani italiani senza impiego o appena usciti da università e scuole. In cifre appena 69.811 sono stati gli iscritti al programma ai quali è stata proposta un’opportunità. Su un totale di 502.000 registrati, più della metà è ancora in attesa di effettuare il colloquio conoscitivo in agenzie o centri per l’impiego. Peraltro si deve rilevare come anche le cifre esposte in merito non siano del tutto chiare avendo fornito il Ministero in diverse occasioni cifre non concordanti. Ulteriore problema è costituito dalla difformità con la quale il programma è attuato sul territorio nazionale, dove le regioni meridionali sono quelle con maggiori difficoltà anche a far partire i programmi;
le citate problematiche di applicazione del programma “Garanzia giovani” sono legate in modo particolare alla mancata costruzione di un adeguato sistema pubblico di servizi per l’impiego. A tal proposito si deve rilevare come i provvedimenti illustrati nel Documento in esame siano in gran parte ancora da attuare, in particolare per quanto attiene alle disposizioni di cui alla legge n. 183 del 2014, le quali peraltro scontano un’impostazione di fondo non pienamente convincente a partire dall’istituzione dell’Agenzia per Nazionale per l’Impiego e il ruolo non chiaramente prevalente che dovrebbe essere affidato riconosciuto alle strutture pubbliche;
per quanto riguarda il tema della partecipazione dei lavoratori nella vita delle imprese, se, come presunto dal relatore, il riferimento contenuto nel documento in esame è da riferire al disegno di legge n. 1051 non si può non rilevare come l’iter di tale disegno di legge si protragga ormai da quasi due anni;
infine, come già più volte ribadito, l’introduzione della cosiddetta social card non costituisce e non ha costituito intervento adeguato alla situazione di grave emergenza sociale;
considerato infine che appare necessario assicurare l’autonomia delle persone e la loro dignità e, a tal fine, semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze. A tal fine deve essere considerata prioritaria l’introduzione del reddito di cittadinanza, sulla scorta di quanto avviene nella maggior parte dei paesi dell’UE e in molti paesi non comunitari;
si ritiene necessario che siano poste in essere, sul piano nazionale, misure concrete al fine di:
• porre in essere una concreta razionalizzazione ed una semplificazione degli strumenti di sostegno al reddito attualmente esistenti al fine di pervenire, al pari di altri paesi europei, all’introduzione del reddito di cittadinanza quale meccanismo di protezione sociale universale;
• porre in essere misure concrete contro la diseguaglianza salariale, in particolare attraverso l’istituzione di un salario minimo per tutti i contratti nonchè la predisposizione di una specifica normativa che stabilisca un rapporto massimo di 1 a 12 tra il trattamento economico degli amministratori delle società quotate e quello della retribuzione dei dipendenti delle stesse;
• porre in essere il superamento della cosiddetta «staffetta generazionale» e perseguire invece un reale patto intergenerazionale, in linea con quanto previsto dal progetto Garanzia giovani, favorendo l’introduzione della figura del tirocinante a tempo pieno da affiancare al lavoratore anziano qualificato, al fine di garantire la formazione del primo e la continuità lavorativa e salariale del secondo;
• porre in essere, attraverso opportuni strumenti normativi, una drastica riduzione della pressione fiscale per le aziende che investono in Italia e che creano posti di lavoro a tempo indeterminato;
• procedere al monitoraggio, valutazione ed eventuale revisione dei compiti delle agenzie per il lavoro di lavoro interinale e operare una generale razionalizzazione dei servizi per l’impiego, attraverso una riforma complessiva delle strutture esistenti valorizzando e ampliando la centralità delle strutture pubbliche a partire dal ruolo Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evitando le duplicazioni e le sovrapposizioni di funzione attraverso un chiaro riparto delle funzioni stesse tra strutture centrali e periferiche e la soppressione delle agenzie non produttive, preservando al contempo la piena indipendenza di INPS e ISFOL quali organismi di studio e controllo;
• perseguire con lo stanziamento di apposite risorse all’istituzione della banca dati unica delle competenze nonché del fascicolo informatico del cittadino (collegato al libretto formativo), a partire dai soggetti pubblici già esistenti, al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
• prevedere un’eventuale revisione delle competenze tra Stato ed enti locali in materia di istruzione e formazione professionale al fine di superare la diffusione di interventi settoriali e non coordinati nell’ambito della formazione professionale attraverso la creazione di efficaci sistemi di valutazione ed una reale effettività dei controlli sui programmi in atto al fine di scongiurare l’abuso degli stessi o l’istituzione di corsi non finalizzati a concrete prospettive di inserimento nel mondo del lavoro;
• favorire una maggiore trasparenza circa la gestione delle risorse destinate alle politiche per l’occupazione e la formazione e implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali, anzitutto le Regioni, per l’impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali e/o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda la revoca delle risorse non utilizzate;
• operare per lo sviluppo della democrazia all’interno dei luoghi di lavoro, in particolare attraverso il ripristino per i lavoratori assunti prima dell’entra in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 delle garanzie dello Statuto dei lavoratori, vigenti prima della legge n. 92 del 2012, l’abolizione dell’articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 e l’adozione di una normativa volta ad assicurare una vera e piena rappresentanza e rappresentatività sindacale;
• procedere a una modifica delle attuali politiche in materia pensionistica e previdenziale a partire dalla abolizione della cosiddetta “riforma Fornero” di cui all’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
esprime PARERE CONTRARIO.