La notizia, come era giusto che fosse, ha trovato ampio spazio sui giornali. La Fiat, o per dir meglio Fca, aumenterà volumi produttivi e occupazione nello stabilimento auto di San Nicola di Melfi, in provincia di Potenza. La crescita occupazionale verrà realizzata in tre mosse. Prima mossa: fine della Cassa integrazione per ristrutturazione. Il che vuol dire che tutti i 5.418 dipendenti dello stabilimento saranno nuovamente impiegati a tempo pieno (e quindi con piena retribuzione). Seconda mossa: circa 350 lavoratori saranno temporaneamente trasferiti a Melfi dagli stabilimenti ove sono attualmente in forza, e cioè da Cassino (Frosinone) e da Pomigliano d’Arco (Napoli). Terza mossa, decisamente la più importante e, dati i tempi di crisi, quasi clamorosa. Fca assumerà 1.000 nuovi lavoratori, portando il totale dei dipendenti attivi nella piana di Melfi a più di 6.700 e facendo dello stabilimento lucano il primo per addetti tra quelli posseduti dal gruppo in Italia.
Una notizia, peraltro, non solo buona in sé, ma per la sua origine. A monte della decisione assunta da Fca c’è infatti un fenomeno concreto, ovvero il buon andamento delle vendite negli Stati Uniti del nuovo modello prodotto a Melfi,la JeepRenegade, e i confortanti ordinativi che stanno accogliendo la nuovissima 500X prima ancora che abbia cominciato a uscire dalle linee di montaggio.
Insomma, par di capire, finalmente Fca si trova di fronte a una crescita della domanda e quest’ultima produce, come spiegano i manuali di economia, una crescita dell’occupazione. Tutto bene, quindi. Ma la cosa è più complessa e merita qualche commento.
Primo punto. La notizia riguarda l’Italia e, specificamente, uno stabilimento italiano di Fca. Ai tempi della vecchia Fiat, un annuncio di queste proporzioni sarebbe partito da Torino e, specificamente, da corso Marconi (prima) o dal Lingotto (poi). Ora invece nasce nel Cobo center di Detroit, la città statunitense in cui è in corso il locale Salone dell’auto. E in cui il Ceo, cioè il Chief Executive Officer (per carità, non dite Amministratore delegato) di Fca, Sergio Marchionne, e il suo Presidente, John Elkann, incontrano i giornalisti. E tutto questo ci dice com’è cambiato – e quanto si sia complicato – il mondo o, quanto meno, che è cambiata la natura di quella che è stata a lungo la maggiore azienda privata del nostro Paese ed è oggi uno dei maggiori costruttori di auto attivi sulla scena globale. Perché la domanda di Jeep Renegade è aumentata negli Usa, non in Italia, ma la crescita occupazionale, a breve, si verificherà in Italia, e non negli Stati Uniti.
Secondo punto. In Italia molti si sono lamentati, a suo tempo, della “americanizzazione” della Fiat, operata da Marchionne. Adesso, senza esagerare negli entusiasmi, sarà forse il caso di riflettere sul fatto che, a quanto pare, alcune scelte strategiche operate dal manager italo-canadese cominciano a trovare conferme nella realtà. Quella di abbandonare la natura di produttore di auto “utilitarie” e di rivolgersi, nei vari segmenti, verso auto più “lussuose”. E quella, appunto, di produrre in Italia autovetture destinate non tanto al mercato italiano, quanto ai mercati globali, a partire dagli Usa.
Terzo punto. Le notizie relative a Melfi, per quanto di per sé significative, sono forse solo la punta dell’iceberg. Sempre da Detroit Marchionne ha annunciato che anche a Cassino potrà verificarsi una crescita occupazionale, derivante quanto meno dall’avvio della produzione di un Suv a marchio Alfa Romeo, e, forse, dall’avvio della produzione di un’ipotizzata “Giulia”, ovvero di un’altra Alfa Romeo destinata al mercato nordamericano. Si prospetta, insomma, una ridislocazione dei ruoli produttivi attribuiti agli stabilimenti italiani che, in prospettiva, potrà toccare anche Mirafiori e Grugliasco. Di più. Dopo aver ipotizzato che, nel 2015, la produzione totale di auto Fca tocchi, finalmente, i 5 milioni di unità, Marchionne ha buttato lì qualche parola sulla possibilità che, dopo aver unito Fiat e Chrysler, Fca vada alla ricerca di un terzo costruttore con cui allearsi.
Conclusione provvisoria. La conferenza stampa di Detroit può rappresentare un punto di svolta rispetto all’azione di leadership svolta fin qui da Marchionne. Nel senso che, come si è già detto, i fatti sembrano rispondere positivamente alle attese del Ceo dei due Mondi. Attese basate, in buona misura, sulla fiducia riposta nella politica economica espansiva perseguita (con successo) dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Ma non si è ancora detto tutto. Perché, dopo aver gettato uno sguardo oltre Oceano, dobbiamo tornare ad occuparci delle cose di casa nostra. Diversi giornali hanno riportato (come ha fatto “La Stampa”) o commentato positivamente (come ha fatto “Il Sole 24 Ore”) il nesso suggerito da Marchionne tra le mille assunzioni prossime venture a Melfi e il renziano Jobs Act. Quasi che quest’ultimo fosse la causa o, quanto meno, una delle spiegazioni delle suddette assunzioni. Su questo punto, però, ci permettiamo di avanzare qualche dubbio. Infatti va detto, innanzitutto, che le assunzioni di Melfi saranno effettuate, per l’intanto, non utilizzando lo sbandierato contratto a tutele crescenti, ma i vecchi contratti interinali. Solo in seguito, se tutto andrà bene, la Fca potrà decidere di stabilizzare i neo assunti offrendo loro le famose “tutele crescenti”. In secondo luogo, è evidente, anche nelle parole usate da Marchionne a Detroit, che la decisione di avviare la crescita occupazionale a Melfi è figlia della salita produttiva già in corso per la Renegade e progettata per la 500X. E’ insomma figlia dei primi risultati positivi di una politica aziendale avviata circa tre anni fa (2012), e non della recentissima politica legislativa avviata dal governo Renzi in materia di lavoro.
@Fernando_Liuzzi