La crisi ha prodotto un indebolimento del ceto medio, con un aumento del divario tra le grandi città del Nord e quelle del Sud. È questa una delle tante “fotografie” della società italiana che formano il quadro complessivo delineato nel 48esimo Rapporto Censis, pubblicato oggi. “Negli anni della crisi le disuguaglianze sociali si sono ampliate, il ceto medio si è indebolito, le opportunità di integrazione sono diminuite – spiega il Rapporto -. È grave lo slittamento verso il basso delle grandi città del Sud”.
Tanto per citare alcuni degli esempi riportati nel Rapporto: “Il tasso di occupazione dei 25-34enni oscilla tra il 34,2% di Napoli e il 79,3% di Bologna; la quota di persone con titolo di studio universitario passa dall’11,1% di Catania al 20,9% di Milano; gli evasori del canone Rai sono il 58,9% a Napoli ma diminuiscono al 26,8% a Roma; a Bari solo 2,8 bambini (0-2 anni) ogni 100 sono presi in carico dai servizi comunali per l’infanzia contro i 36,7 di Bologna; a Palermo ci sono appena 3,4 mq per abitante di verde urbano rispetto ai 22,5 bolognesi; la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti si ferma al 10,6% nel capoluogo siciliano mentre arriva al 38,2% nel capoluogo lombardo”.
“Per un Paese come l’Italia, che ha fatto della coesione sociale un valore centrale e che si è spesso ritenuto indenne dai rischi connessi alle fratture sociali che si ritrovano nelle banlieue parigine o nei quartieri degradati della inner London – aggiunge il Censis -, le problematicità ormai incancrenite di alcune zone urbane a elevato degrado non possono essere ridotte a una semplice eccezione alla regola del buon vivere”.
Il Rapporto passa quindi a esaminare, nel capitolo “La società italiana al 2014”, l’atteggiamento economico delle famiglie italiane, definendolo improntato a un “attendismo cinico” che fa si che le famiglie preferiscano destinare il proprio risparmio a copertura di possibili imprevisti. “Dopo la paura della crisi- spiega il Rapporto -, è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani. Si fa strada la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle: lo pensa il 47% degli italiani, il 12% in più rispetto all’anno scorso. Ma ora è l’incertezza a prevalere. Di conseguenza, la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo”.
“Prevale un cash di tutela – prosegue il Censis -, con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d’ordine è: tenere i soldi vicini per ogni evenienza, ‘pronto cassa’. La percezione di vulnerabilità porta il 60% degli italiani a ritenere che a chiunque possa capitare di finire in povertà, come fosse un virus che può contagiare chiunque. La gestione del contante è una strategia di risposta adattativa di fronte all’incertezza”.
E per terminare il quadro sul profilo sociale delle famiglie italiane il Rapporto ha analizzato il rapporto dei cittadini con i mass media, da cui deriva, seconda il Censis, un’ “estraneità degli individui rispetto al sistema sociale”. “La solitudine, infatti, -si legge nel Rapporto- è oggi una componente strutturale della vita delle persone: il 47% degli italiani dichiara di rimanere solo durante il giorno per una media quotidiana di solitudine pari a 5 ore e 10 minuti. È come se ogni italiano vivesse in media 78 giorni di isolamento in un anno, senza la presenza fisica di alcuna altra persona”.
D’altronde sono sempre di più gli italiani che fanno uso dei social media: “A fronte del 63,5% di italiani che utilizzano internet, gli utenti dei social network sono il 49% della popolazione e arrivano all’80% tra i più giovani di 14-29 anni. Tra il 2009 e il 2014 gli utenti di Facebook 36-45enni sono aumentati del 153% e gli over 55 del 405%. Gli utenti italiani di Instagram sono circa 4 milioni. Delle 4,7 ore al giorno trascorse mediamente sul web, 2 sono dedicate ai social network. E il numero di chi accede a internet tramite telefono cellulare in un giorno medio (7,4 milioni di persone) è ormai più alto di quanti accedono solo da pc (5,3 milioni) o da entrambi (7,2 milioni)”.
Il Censis passa poi in rassegna le percentuali di disoccupati e inoccupati, evidenziando che: “L’Italia ha un capitale umano non utilizzato di 8 milioni di individui. Siamo un Paese dal capitale inagito perché non riusciamo ancora a ottimizzare i nostri talenti – spiega il Censis -. Agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. È un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui. Più penalizzati sono i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013″.
L’Italia è “un Paese dal capitale inagito anche perché riesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui dispone. Il numero di lavoratori nel settore della cultura (304.000, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di gran lunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000)”.
“Nel 2013 – spiega il Censis – il settore ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del Paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia. E mentre le principali economie europee hanno registrato dal 2007 un significativo sviluppo del settore, da noi la situazione è inversa: -1,6% tra il 2007 e il 2013 in termini di valore aggiunto (contro il +4,8% della Germania e il +9,2% della Francia) e +3,3% in termini occupazionali (contro il +10,9% della Germania e il +6,3% della Francia)”.
Il Rapporto conferma il fatto che l’Italia ha perso la sua capacità di attrarre investimenti esteri: sarebbe infatti del 60% il calo degli investimenti esteri dal 2007. “Nel periodo precedente all’esplosione delle turbolenze finanziarie – spiega il Rapporto -, i flussi in entrata di investimenti diretti esteri si erano attestati su un livello superiore ai 30 miliardi di euro all’anno. Dopo il modestissimo dato del 2012 (appena 72 milioni di euro), nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi. È diminuita la nostra capacità di attrarre capitali stranieri. Rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi, quegli investimenti che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l’occupazione sono diminuiti di circa il 60%”.
“Pesa un deficit reputazionale dovuto soprattutto allo svantaggio competitivo rappresentato dalle lungaggini delle procedure autorizzative per ottenere permessi e concessioni, e dalle lungaggini della giustizia civile quando si tratta di far valere un contratto commerciale – conclude il Censis -. Il nostro Paese detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,3% della Germania, il 4,2% della Francia, il 6,3% del Regno Unito. L’intensificazione degli scambi e dei flussi viaggia anche attraverso l’integrazione di internet. Ma su un totale di oltre 31.000 gigabyte per secondo che transitano su internet, solo il 2,5% è riconducibile al traffico di matrice italiana”.
Infine il Rapporto riporta un dato interesante circa le attività imprenditoriali gestite da cittadini extracomunitari: “Nei sette anni della crisi, le imprese con titolare extracomunitario sono aumentate del 31,4%, mentre quelle gestite da italiani sono diminuite del 10%. Sono due i settori in cui gli stranieri stanno esercitando maggiormente la loro capacità di fare mixité di prossimità tra la propria cultura e la nostra: il commercio e l’artigianato”. Lo scrive il Censis nel rapporto 2014 sulla situazione sociale del Paese.
“Le imprese di commercio al dettaglio gestite da stranieri – rende noto il Censis – sono complessivamente 125.965, rappresentano il 15% del totale e sono cresciute del 13,4% dal 2011 a oggi, mentre quelle italiane si riducevano del 2,4%. L’incremento più forte (+33,9%) riguarda i negozi di frutta e verdura, che a fine 2013 rappresentavano il 10% del totale. E nell’ambulantato gli stranieri sono passati dalle 73.959 imprese del 2011 alle 85.461 del 2013 (+15,6%) e rappresentano oggi il 46,8% del totale. Nel 2013 le imprese artigiane straniere erano 175.039, il 12,4% del totale, con una crescita del 2,9% negli ultimi due anni, quando le imprese italiane sono calate del 4,5%. Nei lavori di costruzione e rifinitura degli edifici gli stranieri rappresentano ormai il 21,3% del totale delle imprese”, conclude il Censis.
F.P.


























