Un giudizio complessivamente positivo, seppur parziale e con alcune riserve, quello sulla nuova riforma del lavoro espresso dalla confederazione delle imprese del terziario. Il documento di Cofcommercio, presentato oggi in conferenza stampa, rende pubblico questo giudizio in un momento cruciale della riforma, cioè a poche ore dall’approdo in aula al Senato della legge delega e all’approssimarsi della sua fase attuativa. Fase che per la confederazione sarà determinante per una valutazione definitiva.
“Nella legge delega ci sono contenuti importanti che possono oggettivamente migliorare il mercato del lavoro, ma occorre capire cosa conterranno i decreti legislativi –ha dichiarato il presidente, Carlo Sangalli, nel discorso d’apertura al convegno-. Sarebbe infatti deleterio se, ad esempio, i decreti legislativi comportassero ulteriori limiti ai contratti flessibili o nuovi costi a carico delle imprese. Mettiamola così – ha aggiunto Sangalli- è un tema che inizia con buone premesse, ma per valutarlo compitamente bisogna leggere tutto lo svolgimento.”
Sul tema della flessibilità, definita dal direttore generale, Francesco Rivolta, come “esigenza ineludibile delle imprese, non bisogna -a suo avviso- sopprimere i contratti che vanno incontro a tali esigenze”. Nello specifico, infatti, sebbene il giudizio sui contratti a tutele crescenti risulti positivo, “non ci si può limitare a questa sola forma contrattuale. Abbiamo bisogno –ha aggiunto Rivolta- di una pluralità di strumenti in grado di rispondere a una pluralità di esigenze. Anche perché non è assolutamente vero –ha precisato il direttore-, come molti vanno ormai dicendo, che in Italia abbiamo oltre 40 tipologie contrattuali. Sono 12 e servono a rispondere alla complessità del mercato del lavoro”. “D’altronde -ha ricordato Jole Vernola, direttore delle Politiche del Lavoro e del Welfare di Confcommercio-, ed è bene dirlo una volta per tutte, l’80% dei contratti delle imprese del terziario è a tempo indeterminato”.
“Il principale merito che riconosciamo al governo -ha spiegato Francesco Rivolta – è quello di aver posto al centro della propria agenda il lavoro, mettendo in campo una serie di incentivi alle assunzioni, che però, da soli, non bastano. Una buona riforma del lavoro, infatti, dev’essere accompagnata da politiche attive di rilancio dell’economia nazionale, e in particolare dei suoi consumi interni. Politiche attive che devono gradualmente staccarsi dalla logica del rigore per entrare in quella dell’investimento strutturale di medio-lungo periodo”.
In merito al costo del lavoro, “componente dominante del costo delle imprese del terziario”, Jole Vernola, ha spiegato che, oltre alla riduzione strutturale dell’Irap, “misura positiva, ma che andrebbe resa strutturale”, bisognerebbe intervenire sulla riforma del sistema tariffario dell’Inail e dell’Inps. “Ad oggi, infatti –ha precisato Vergola- permangono problemi ormai noti: nel caso dell’Inail, sui comparti a basso rischio grava una contribuzione che sfocia in un disavanzo strutturale decennale, mentre invece si continua a intervenire con tagli lineari che mantengono inalterato il disequilibrio fra contribuzione ed effettivo utilizzo delle risorse nei diversi comparti”. Nel caso dell’Inps, analogamente, “l’avanzo positivo strutturale è pari al 40% circa delle entrate contributive annuali, le quali- ha concluso il direttore delle Politiche del Lavoro- finiscono in ‘spesa impropria’, ossia destinate a spese diverse rispetto alla causale contributiva”.
Infine, concludendo la conferenza stampa, Francesco Rivolta ha amaramente dovuto registrare come, finora, il governo non abbia mai avuto cura di nominare il lavoro autonomo che, ad oggi in Italia, coinvolge oltre 4 milioni di lavoratori.
Fabiana Palombo