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Home - Approfondimenti - Interviste - Schiavella, il disastro e’ frutto di decenni di sottovalutazioni

Schiavella, il disastro e’ frutto di decenni di sottovalutazioni

di Emanuele Ghiani
15 Ottobre 2014
in Interviste
Schiavella, il disastro e’ frutto di decenni di sottovalutazioni


Walter Schiavella, il segretario generale di Fillea Cgil, ha spiegato al Diario del Lavoro le dinamiche che hanno portato al disastro di Genova, indicando delle soluzioni per evitare il ripetersi di simili eventi.


Schiavella, disastri come quelli Genova continueranno ad accadere?
Il problema è che l’attenzione complessiva delle istituzioni e anche dell’opinione pubblica su questi temi dovrebbe essere maggiore quando non c’è l’emergenza, ma purtroppo non è così. Quindi per capire le dinamiche di questi continui disastri dobbiamo distinguere un prima e un dopo e poi un durante. Il prima è la gestione del territorio di questi ultimi anni, che è sotto gli occhi di tutti: si è costruito troppo e male. Non si sono avuti strumenti di pianificazione efficienti sul territorio e questo per una selva di motivi che adesso sarebbe complesso indagare. È necessario orientarsi su un’azione gigantesca di recupero del territorio e metterlo in sicurezza, altrimenti continueranno ad accadere disastri come quello di Genova. Ci sono stati decenni di sottovalutazione.

Sottovalutazione in che senso?
Nel senso che gli stanziamenti per i grandi interventi infrastrutturali nel corso degli ultimi decenni sono stati nell’ordine del 2-3% del totale degli investimenti che riguardano le opere pubbliche. C’è un problema di insufficienza delle risorse rispetto al fabbisogno. Basta leggere un altro grande rischio che si dimentica sempre: noi siamo un Paese che ha il 60-70% del patrimonio edilizio costruito prima dell’entrata in vigore delle prime norme antisismiche e oltre il 60% del territorio è ad alto rischio sismico. Sono stati spesi oltre 150 miliardi per interventi dal dopoguerra ad oggi per i terremoti, mentre basterebbero forse 80 o 90 miliardi per una messa in sicurezza del patrimonio edilizio a rischio sismico e idrogeologico.

Un’operazione di recupero imponente. Quanto tempo occorrerebbe?
Chiaramente non può essere fatta in un anno, andrebbe programmata, andrebbero definite le risorse, in termini indiretti di sgravi fiscali, di normative che consentano interventi organici sul tessuto urbano. Cosa che invece non si fa, non si è fatta e si continua a non fare.

Per quanto riguarda invece il dopo emergenza, cosa accade?
Si accendono i fari dell’opinione pubblica, i governi trovano e raccattano qualche centinaio di milioni di euro quando va bene, molto più facilmente qualche decina, e comunque non si riesce nemmeno a spendere quei soldi. Insomma, viviamo in un sistema che non è efficiente.

Un esempio?
In primis la legge sugli appalti che è troppo farraginosa e complessa. Quando si assegnano gli appalti, da una parte si apre la strada dei contenziosi amministrativi e dall’altra quando ciò non accade ci sono comunque rischi grossi di incrementi dei costi in corso d’opera, di allungamenti dei tempi, e soprattutto e spesso di scarsa qualità. Anche perché l’appalto viene attribuito con percentuale di ribasso del 30-40% e spesso comporta non  solo un lavoro irregolare ma anche non conforme ai regolamenti.  Quindi dobbiamo avere uno sblocco del Patto di Stabilità selettivo:  ad esempio per quei comuni virtuosi che devono realizzare opere sul terreno sulla prevenzione e la messa in sicurezza dal rischio sismico e idrogeologico.

Perché non si riesce a sbloccare questo sistema?
Mai nessuno ha risposto come doveva. Guardi, quando quest’ultimo governo ha attivato un’unità di missione, noi abbiamo chiesto un incontro, perché riteniamo che possiamo dare qualche suggerimento utile. Ad esempio, come rendere più efficiente quella parte, seppur esigua, di stanziamenti individuati dal decreto Letta e poi oggi dagli altri provvedimenti del governo. Ma pochi ci hanno ascoltato.

Cosa  impedisce a queste risorse, peraltro già stanziate, di venire utilizzate?
Gli stanziamenti postemergenziali, come nel caso di Genova, sono stati definiti e non sono stati spesi per il problema ormai noto: si sono arenati nella selva dei ricorsi e controricorsi in fase di aggiudicazione degli appalti. Abbiamo casi analoghi a quelli di Genova che riguardano la Calabria, la Toscana e altre regioni dove le opere di bonifica tardano a essere realizzate perché da una parte c’è un ricorso, dall’altra c’è un intoppo, un capitolato fatto male. Un altro problema è che i lavori pubblici sono realizzati in un contesto  nel quale la competizione si svolge soltanto sui costi. Insomma, il risultato è che non si riesce a spendere nemmeno i soldi già stanziati.

Qual è la soluzione di questo caos?
Servirebbe un’azione strategica di lungo periodo sul terreno per individuare le risorse, per rendere strutturali gli interventi per la messa in sicurezza del territorio. Ad esempio, definendo una quota di risorse da  destinare ad interventi infrastrutturali su base poliennale.

In un periodo di crisi come quello attuale, dove pensa di ricavare i fondi necessari?
Per quanto si riferisce agli interventi pubblici recuperando innanzitutto risorse dallo sblocco del patto di stabilità, anche con un utilizzo diverso e più finalizzato di una parte dei fondi europei. Oppure da un recupero complessivo delle risorse del bilancio pubblico realizzabile attraverso un’azione più sistematica di contrasto all’illegalità, all’irregolarità e all’economia sommersa di questo paese.

E i fondi per intervenire sul patrimonio edilizio e per la messa in sicurezza dal rischio sismico?
Andrebbe data strutturalità agli incentivi almeno su base decennale, per consentire a quel mercato di organizzare la domanda individuale in termini aggregati e permettere alle imprese, che a quel mercato si rivolgono, di  riorganizzare stabilmente la loro struttura e filiera produttiva. È evidente che l’avvio di questo processo comporta per gli  attori economici la capacità di riorganizzare se stessi. Ma questo progetto si può costruire solo se si costruisce una  strutturalità e certezza. un’azione di questo genere non può essere, di finanziaria in finanziaria, cambiata e sottoposta all’area dell’incertezza.

Quindi suggerisce una semplificazione della burocrazia?
Il punto è un altro: le risorse che ci sono vanno spese con più efficienza ed è necessario intervenire sul sistema appalti che è altamente insufficiente. Fillea e Cgil hanno da tempo avanzato proposte per riformarlo e semplificarlo. Ma attenzione, non bisogna scambiare la semplificazione con la deregolarizzazione: il rischio, in parte già avvenuto, è l’abbassamento del livello di legalità e regolarità.

Di chi è la responsabilità di regolare e rendere più efficiente il sistema degli appalti?
Delle autorità che hanno potere legislativo in primo luogo.

Quindi è solo un problema di assenza di leggi che non sono in grado di regolare il sistema?
Non proprio: abbiamo oltre 1000 norme tra leggi e regolamenti attuativi che regolano il settore. Ma ogni anno ci si mette mano, regolando ogni volta singole parti. Si dovrebbe invece affrontare il problema nel suo insieme. L’assenza di una visione e un intervento organico, non solo del nostro settore, è uno dei problemi che da tempo attanagliano il nostro Paese.

Ha indicato i regolamenti attuativi, quindi è responsabile anche il Governo?
Certo che si.

Emanuele Ghiani

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Emanuele Ghiani

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Redattore de Il diario del lavoro.

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