di Flavio Pellis
La storia dell’umanità, fin dalle sue prime forme di società organizzata (i Sumeri, gli antichi Egizi, etc.) ha sempre conosciuto una struttura di stratificazione sociale assoggettata e sottoposta al dominio dei più ricchi e potenti.
Fin dall’inizio erano re, faraoni, dittatori, imperatori, nobili, etc. (tutti sempre predatori, autonominati od ereditati), che utilizzavano, invariabilmente, il sostegno delle caste sacerdotali, le quali fornivano un supporto “divino” ed alla bisogna, anche la conseguente ascendenza mistica; con l’uso della religione (gli dei di epoca sumerica e faraonica, le molteplici divinità assiro-babilonesi, dell’Olimpo greco e dei romani, l’ebraismo, l’induismo, il cristianesimo, l’islamismo, etc.) finalizzato ad esercitare meglio il controllo e la manipolazione sulle popolazioni (molte delle quali, per molti millenni, in condizioni addirittura di schiavitù), persino con promesse di salvifici aldilà che compensino, giustificandole, le sofferenze della vita terrena.
Ebbene, nonostante siano trascorsi più di 6000 anni dalle prime civiltà, ancora oggi non è cambiato un granchè: certo la schiavitù non è più in catene ed è molto ridotta, ma permangono enormi fasce di popolazione mondiale in condizioni di sfruttamento e povertà, in nome del “dio denaro” e del “libero mercato taumaturgico”.
In sostanza è cambiata solo l’intensità e la forma, perché i re, faraoni, imperatori, tiranni, etc. sono stati sostituiti dal capitalismo finanziario neo-liberista che domina il mondo con la dittatura sui mercati ed il pesante condizionamento sulle politiche dei governi, al quale siamo ancora sottomessi.
Ma è sempre stato così?
Pur non essendo uno storico, tralasciando i miti arcadici e stendendo un velo pietoso sulla rivoluzione d’ottobre, che ha solo sostituito la dittatura zarista, con un’altra partitico-militare, sintetizzando ritengo che nel corso della storia i rapporti di sfruttamento e diseguaglianza sono stati in qualche modo più riequilibrati per un periodo duraturo, in non più di DUE occasioni:
- La rivoluzione francese che, sia pure in modo cruento, rovesciò il dominio della nobiltà e del clero per sostituirlo con la borghesia, negando il “diritto divino” ed innescando i princìpi della democrazia moderna;
- Le socialdemocrazie nord-europee che, dalla seconda metà del 1900, sono state lungimiranti e capaci di adottare politiche economiche e sociali in grado di ridurre le disparità e diseguaglianze.
Guardando all’oggi, l’attuale crisi (che nel mondo perdura dal 2008, ma in Italia fin dal 2002-2003) non sembra incamminata verso una soluzione al di fuori del mantenimento del dominio neo-liberista, il cui fondamento teorico sono disparità ed ingiustizie; come se la lezione della crisi del 1929 non fosse servita a niente.
Perciò mi domando: è possibile immaginare e costruire una società in cui, pur riconoscendo il merito e la competenza, sia possibile ridurre le diseguaglianze (dei redditi, del lavoro, nelle opportunità, nell’istruzione, nella tutela della salute, etc.); che non sia di violenza e sopraffazione dei più ricchi e forti sui più deboli?
Una società dal benessere diffuso, sull’esempio del modello sociale nord-europeo?
La risposta è SÌ; quindi, se vogliamo offrire alle future generazioni una speranza di futuro, dobbiamo consegnare loro una idea, un sogno, una UTOPIA: cioè che sia possibile conquistare un modello di società diverso e migliore da quello in cui siamo tuttora immersi, le cui condizioni economiche e sociali hanno raggiunto un livello di gravità senza precedenti dal dopo-guerra.
Quindi, smontiamo le menzogne propagandate dal dogma liberista dell’ingiustizia:
– NON È VERO che l’accumulazione a vantaggio di pochi crea il benessere collettivo,
– NON È VERO che la diseguaglianza sia inevitabile,
– NON È VERO che l’esclusione sia tanto normale quanto necessaria per la salute della società,
– NON È VERO che l’elitarismo sia efficiente,
– NON È VERO che l’avidità è utile per il miglioramento della vita,
– NON È VERO che l’austerità è la cura per uscire dalla crisi,
– NON È VERO che la coperta è corta, vedi i 180 mld/euro/anno di evasione, i 70 mld/euro/anno di corruzione, l’annosa ed irrisolta questione ICI/IMU/TASI sulle attività commerciali della Chiesa, i tanti – insopportabili – sprechi nella pubblica amministrazione, etc., etc.
La dimostrazione è data dai dati OCSE che indicano nei 6 paesi europei a minor diseguaglianza (i 4 paesi scandinavi, Olanda e Germania) quelli a più alto tasso di occupazione, con orari annuali più corti e produttività più elevata, nonché con percentuali più significative di Investimenti Diretti Esteri; sono i paesi a più alto sviluppo e più elevato PIL pro-capite e che hanno retto meglio degli altri nella crisi, perché hanno capito che, nella società globale della conoscenza, le diseguaglianze sociali portano alla povertà collettiva.
Tralasciando valutazioni sull’apparente schizofrenia dei conservatori tedeschi e Bundesbank che, pur mantenendo internamente il proprio modello sociale, adottano comportamenti sul versante europeo di ottusità rigorista di stampo liberista, al solo scopo di un vantaggio immediato a scapito degli altri paesi, viene spontanea un’ osservazione: i “falchi tedeschi” si rendono conto che, perdurando in questi comportamenti nazional-egoistici, stanno scatenando un’altra guerra, questa volta economico-finanziaria?
Non sono bastate le 2 guerre mondiali del 1900?
Non si rendono conto di alimentare il propagarsi, in tutta europa, di movimenti fascisti, nazionalistici, protestatari, a forte connotazione anti-europea, nonchè anti-tedesca, che potrebbero degenerare in esiti imprevedibili ed anche sfociare in soluzioni autoritarie ed antidemocratiche?
Storia docet !
I progressisti tedeschi, anziché continuare a sostenere la politica estera miope di Merkel e Bundesbank (nonostante la SPD – ispiratrice di Bad Godesberg – abbia imposto nel programma della “Grosse Koalition”, Il salario minimo di Euro 8,50/ora, i contratti temporali limitati a 18 mesi, nonché la Tobin-tax sulle transazioni finanziarie persino sui derivati), dovrebbero comprendere che è indispensabile determinare una posizione “keynesiana” anche sul versante europeo ed internazionale, per far riacquistare alla democrazia e alle autorità pubbliche il controllo e la regolamentazione del capitalismo finanziario globalizzato.
Di questo c’è assolutamente bisogno, in Europa e nel mondo; anche per rimediare al grande errore di inizio millennio con l’incompiuta unione europea, che ha privilegiato moneta e finanza, rinviando sine-die l’unificazione sociale, economica e politica costruita sulla partecipazione democratica dei popoli europei; determinando un ampliamento dell’ineguaglianza e ricorrenti crisi economiche nazionali, anziché la promessa prosperità diffusa.
Comunque, i dati OCSE dimostrano che è possibile immaginare e costruire un modello di società ispirata ad una governance equa e solidale dell’economia, capace di coniugare mercato e democrazia, sviluppo economico ed eguaglianza; cioè un sistema capitalistico socialmente responsabile in grado di unire le libertà economiche con la solidarietà sociale (il «modello sociale nord-europeo»), alternativo all’egoistico arricchimento individuale con qualsiasi mezzo a scapito degli altri, che è il fondamento teorico del neo-liberismo avido e refrattario a regole e controlli.
Come dice papa Francesco: «l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi … Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità … richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle ricchezze, alla creazione di opportunità di lavoro». «E’ indispensabile che i governanti e il potere finanziario … facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini». «Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale»
Questa è la vera sfida epocale di fronte a noi, soprattutto alle nuove generazioni che, spero vivamente, possano tentare di riequilibrare i rapporti e le diseguaglianze, anzichè adeguarsi alla normalità del dominio neo-liberista. Parafrasando Occupy Wall Street: “siamo il 99%”, per quanto ancora durerà che una piccola minoranza tenga in scacco il mondo?
Tant’è che il capitalismo neo-liberista continua a restare immune dalla responsabilità di essere la causa della crisi finanziaria, che si è tradotta in crisi industriali e queste, a loro volta, in crisi del lavoro, con i costi sociali scaricati sull’ ultimo anello: sui lavoratori, sui pensionati e sui ceti più deboli (provocando l’impennata dei poveri, di quelli a rischio di povertà e degli impoveriti, compreso la “proletarizzazione” del ceto medio); di certo non sono pagati dal colpevole capitalismo finanziario che, addirittura, ha continuato ad arricchirsi anche in questi anni di crisi, mentre si è determinato un ampliamento spropositato delle diseguaglianze sociali e delle povertà (vedi “Le Capital au XXIe siècle” di Thomas Piketty).
Vent’anni fa questi fenomeni, uniti alla vastità dell’evasione fiscale e della corruzione (confermate anche dall’ultimo rapporto della Commissione europea), avrebbero provocato tensioni, ribellioni e disordini.
Oggi non succede nulla (tutt’al più aumenta la disaffezione, la sterile protesta grillina, l’apatia rassegnata, etc.), nonostante l’aumento del malessere, della disoccupazione e delle diseguaglianze.
Forse la spiegazione risiede nelle dinamiche degli effetti della crisi, che non sono avvenute a valanga, bensì centellinate: come la perdita del lavoro che perdura, ma goccia a goccia; però infinite gocce, pur essendo molto più di un fiume in piena, non fanno una rivoluzione.
Quanta violenza e sopraffazione dovrà ancora esserci per indurre una “ribellione democratica” che riequilibri le diseguaglianze?
C’è una parte (sana) della società in grado di “gettare il cuore oltre l’ostacolo” per confrontarsi con questa nuova — meglio, antica — utopia?
L’alternativa funesta sarà essere condannati, dopo 20 anni di Mussolini e 20 anni di Berlusconi, ad un altro ventennio, stavolta di Renzi, che vedrà soddisfatto il suo incontentabile arrivismo (sarà l’erede berlusconiano?).
Ciò comporterà, dopo il harakiri ad opera dei 101 su Prodi, l’eutanasia della “sinistra”, proprio dal solito liberista camuffato da progressista, qual’è Renzi che, come un novello-Blair, di tutto farà, meno che perseguire politiche ispirate all’equità, alla solidarietà, alla lotta contro le diseguaglianze, la precarietà, le clientele, il familismo, le corporazioni, evasione, corruzione, etc.; cioè, le parole d’ordine di un progressista.
Detto in altri termini: un “finto” esponente di sinistra; infatti, pur Presidente del Consiglio da circa 3 mesi, non è migliorata la condizione di lavoratori (nonostante i prossimi 80 euro di bonus Irpef, solo sotto i 26mila euro/lordi/anno, ma dagli effetti scarsi – un contentino soporifero?), pensionati, disoccupati, nuovi disagi e nuove povertà, etc., mentre continuano a restare inalterate le attuali diseguaglianze insopportabili ed immuni i soliti ricchi, forti e potenti.
Come mai siamo così propensi a farci abbindolare/manipolare dal populista di turno che si mette su un balcone o da un blog o da un video, e sparge facile demagogia proclamando: “ci penso io!”?
Come mai siamo perennemente alla ricerca dell’ ”uomo della provvidenza”?
Probabilmente, dipende dal fatto che dalla caduta dell’impero romano all’unità d’Italia – cioè per quasi 1400 anni – siamo stati divisi e sottomessi, quasi sempre da dominazioni straniere.
Oppure, dalla più recente affermazione e diffusione, pervasiva ed imperante (nell’ultimo ventennio berlusconiano), della logica anarco-individualista, cioè rivolta alla tutela degli interessi individual/familiari, all’autoconservazione familiar-clientelare, attraverso la ricerca della “propria” soluzione ai “propri” problemi, inseguendo raccomandazioni e favoritismi, con la rincorsa a ricercare e richiedere privilegi a scapito degli altri, attraverso le “furbizie” tollerate (tra cui la mercificazione del sesso), anzi giustificate, ammirate ed invidiate; logica accettata e sostenuta in attesa del proprio turno, nella speranza di ricevere il proprio piccolo privilegio.
Forse, la definizione più rispondente è di Don Bastiano ne “Il Marchese del Grillo”: «massa di pecoroni invigliacchiti, sempre pronti a chinare la testa davanti ai potenti».
Siamo dominati dalla delega delle responsabilità (individuali e collettive) ad altri, che ci possano risolvere i problemi individuali, senza assumerle in proprio.
Siamo dominati dall’egoismo e dal non rispetto delle regole, che hanno pervaso nel profondo la nostra società, con le clientele, il familismo, i corporativismi, evasione e corruzione, etc.; come dire: “fare i furbi, altrimenti si è coglioni”!
Eppure, basterebbe ricordarsi che la storia italica ci insegna che quando ci troviamo stretti in un angolo, senza apparenti vie d’uscita, diamo il meglio di noi; siamo i campioni del “salto ad ostacoli” (vedi la ricostruzione post-bellica ed il miracolo economico, o l’ingresso per niente scontato nell’euro, oppure le vittorie mondiali di calcio, nel 1982 in Spagna e nel 2006 in Germania, maturate in condizioni proibitive).
Perciò serve un’altra politica, avendo il record della ricchezza concentrata e delle minori tasse sull’eredità; serve una “buona politica progressista”: una maggiore progressività dell’imposta sui patrimoni e sulle rendite (finanziarie), l’ aumento della tassazione su eredità ed immobili oltre una certa soglia, al fine di disporre delle risorse necessarie per innestare un riequilibrio, nelle diseguaglianze della distribuzione dei redditi e nella rarefazione del lavoro stabile, nell’eguaglianza delle opportunità; che riconosca il merito ed aiuti chi ha bisogno.
Questa è l’unica strada per uscire dalla crisi (evitando nefasti crac della tenuta sociale e democratica) prefigurando una società dal benessere diffuso; realizzabile con l’incontro rivitalizzante delle culture sociali del 1900: solidarietà marxiana e cattolicesimo sociale; aggregando i “cervelli liberi”, per provocare l’indispensabile “cambiamento radicale”, culturale prima ancora che sociale ed economico e politico.
Non ho né la presunzione, né la pretesa di essere depositario di un’ “idea” risolutiva; ho solo voluto esprimere le mie riflessioni critiche, nell’augurio — più di una speranza — che possano essere altri (che ora sembrano sfiduciati e dispersi, non spariti) a raccoglierne il testimone, per portare a compimento la costruzione di una “visione del futuro”, che possa cambiare l’Italia, indirettamente l’Europa, e magari di riflesso condizionare il mondo, che dia prospettive migliori di benessere alle prossime generazioni.
I cicli storici dicono che niente dura a lungo, soprattutto in un periodo la cui velocità dei cambiamenti era inimmaginabile in passato; perciò ritengo che il dominio del neo-liberismo sia destinato (meglio prima che poi) ad arretrare e soccombere lasciando spazio ad altro: per una sostenibile società più giusta, più equa, più solidale.
Vorrei solo poter riuscire a vedere quando ciò accadrà.
Flavio Pellis (già segretario generale AReS – Associazione Riformismo e Solidarietà)