E’ la decadenza di Silvio Berlusconi il fatto saliente della settimana. L’uscita di scena del leader di Forza Italia segna indubbiamente la fine di un’epoca, lunga e non proprio felice. In effetti non è del tutto corretto parlare di uscita di scena, perché l’ex presidente del Consiglio esce certamente dal Senato, ma non dalla politica: resterà alla guida del suo nuovo/vecchio partito, che ha modellato secondo le sue esigenze barricadiere. Influirà sulla politica, sul Parlamento e quindi sul paese. Ma indubbiamente la sua sarà soprattutto una guerra o una guerriglia di resistenza, nel tentativo di non sparire di scena, di mantenere una presenza in attesa di un nuovo voto politico che gli permetta di riannodare i fili del suo centrodestra con il sostegno dei suoi sostenitori. Quanti saranno questi sostenitori, quanti poi lo voteranno nelle prossime elezioni politiche, nessuno è in grado di dirlo. L’uomo è capace di salti mortali impensati, come ha già dimostrato in varie occasioni.
Ma il paese adesso ha la possibilità di valutare cosa è stato questo lungo periodo caratterizzato dalla presenza, quasi sempre al governo, di Silvio Berlusconi. I cambiamenti che l’Italia ha sopportato per sua responsabilità sono stati tanti e non positivi. Più egoismo, meno socializzazione, meno cultura: sono stati tanti i frutti malati del berlusconismo. Adesso c’è necessità, e voglia diffusa, di cambiare pagina. Il paese si è impoverito, troppo, soprattutto perché è mancata per troppi anni l’attenzione alla politica economica e alla politica industriale e questo ha ridotto i margini di competitività del sistema Italia. Troppo spesso il paese è stato guidato o ha dato l’impressione di essere guidato da un comitato di affari più che da una coalizione di partiti politici attenti al bene dei cittadini.
Anche le relazioni industriali hanno risentito negativamente di questa presenza ingombrante. I governi di centrodestra che hanno guidato il paese hanno sempre cercato le scorciatoie invece di affrontare i problemi nella complessità che presentavano. Si è cercato soprattutto di dividere il sindacato invece di investigare le ragioni profonde delle diversità: facendo un male profondo perché non è mai stato possibile nemmeno capire la perniciosità di alcune posizioni estremistiche espresse da alcune frange del sindacato. Il dialogo, la partecipazione, la responsabilizzazione, che avrebbero dovuto essere i capisaldi di una sana politica del lavoro, non sono mai stati nemmeno cercati da Berlusconi e dai suoi ministri.
Detto ciò non si deve credere che tutti i mali del nostro paese, nel campo del lavoro e in senso più ampio, siano da addebitare a Silvio Berlusconi. Anche i governi di centrosinistra hanno avuto colpe pesanti, di trascuratezza, di pressapochismo, di confusione. Ma è al leader decaduto che si deve la profonda negativa trasformazione del paese avvenuta in questi anni, è giusto che questo venga affermato con nettezza e che lo capiscano fino in fondo gli italiani, quelli che poi saranno chiamati a giudicarlo quando si arriverà a un nuovo voto politico.
Massimo Mascini