“L’Italia sta attraversando una vera deindustrializzazione, corroborata dal fatto che dal 2007 in poi l’indice della produzione industriale ha perso 20 punti percentuali”. Lo si legge nel rapporto sulla competitività industriale degli Stati membri dell’Ue, approvato dalla Commissione europea oggi a Bruxelles su iniziativa del commissario alle Imprese, Antonio Tajani.
“Quest’evoluzione – prosegue il rapporto – sembra essere attribuibile sia alla riduzione dell’attività dovuta al rallentamento economico, sia alla chiusura di numerosi impianti”, che la Commissione quantifica in “ben 150”, in particolare “in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili)”.
Secondo Tajani, che ha presentato oggi il documento alla stampa, in Italia “bisogna continuare con forza sulla via delle riforme e attuare quelle già approvate”. Dopo aver rilevato che c’è stata “una buona performance delle imprese che hanno adottato una strategia di internazionalizzazione e di sostenibilità ambientale”, che hanno “affrontato meglio delle altre la crisi, il commissario ha elencato le carenze dell’Italia che, ha sottolineato, “ha bisogno di una più forte politica industriale, di riforme della burocrazia e della giustizia civile, che ha un enorme peso, con la sua lentezza, nello scoraggiare gli investimenti; occorre poi – ha continuato – che siano pagati i debiti pregressi della Pubblica Amministrazione, che sia applicata la direttiva Ue sui ritardi dei pagamenti e che siano ridotti i costi dell’energia”.
“Nonostante il governo abbia intrapreso riforme per migliorare il contesto imprenditoriale (ma l’Italia è ancora oggi al ventesimo posto nell’Ue, ben sotto la media comunitaria, ndr), questo rimane – ha continuato Tajani – uno dei principali ostacoli alla competitività dell’industria italiana”. Resta, poi, il problema del “credit crunch”: “Le condizioni di liquidità delle imprese e quelle dell’offerta di credito rimangono problematiche”, ha rilevato il commissario, che ha poi sottolineato un altro “rilevante svantaggio competitivo” per le imprese, rispetto alle aziende tedesche o francesi, dovuto alle conseguenze della crisi del debito sovrano e dell’aumento degli “spread”: “Una Pmi sana che opera in Italia con debiti verso le banche pari al 30% de suo fatturato – ha osservato Tajani – sostiene maggiori oneri per il costo del denaro equivalenti a un aumento del 3% del costo del lavoro”.