La riforma dell’articolo 18 “mette in secondo piano la dimensione sociale del lavoro e il suo rilievo politico, in contrasto con l’art.41, comma 2, e con lo stesso art.1 Cost. della Costituzione, nonché il ruolo centrale che il lavoro riveste per la dignità della persona e per il suo essere parte attiva di una comunità”. A sottolinearlo è Magistratura democratica,la corrente di sinistra dei giudici, che in un lungo documento esprime “grande preoccupazione per la compressione dei diritti individuali e sociali e per l’impatto che la riforma può avere sugli equilibri complessivi del nostro sistema”.
“Assistiamo – affermano il presidente Luigi Marini e il segretario Piergiorgio Morosini – a una involuzione culturale che riduce il lavoro a posta del bilancio d’impresa e la sua tutela a materia di calcolo economicistico, scaricando ancora una volta il conflitto sui più deboli e chiedendo alla giurisdizione di limitarsi a ratificare quelle diseguaglianze che, invece, secondo la nostra Costituzione, la Repubblica in tutte le sue articolazioni dovrebbe impegnarsi a riequilibrare”.
L’intervento del governo, fa notare Magistratura democratica, risponde all’esigenza di “lasciare all’impresa piena libertà di dimensionare il personale secondo le contingenze e di contenere i costi diretti e indiretti della procedura di licenziamento”. Ridurre l’ammontare dell’indennità, escludere di fatto il diritto al reintegro e creare una “corsia preferenziale” in sede di giudizio “servono a aumentare la certezza del risultato per il datore di lavoro e la velocità dell’espulsione del lavoratore”, ma anche a “ridurre drasticamente la possibilità per il lavoratore di difendere i propri diritti”.
E il diritto al reintegro non solo viene cancellato nei casi di licenziamento per motivi economici, ma anche “salvo eccezioni, nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, nei casi di costanza di malattia e inidoneità e nei casi di licenziamenti intimati senza forma scritta nei quali esclude ogni possibilità di esercitare il diritto di difesa previsto dall’art.7 dello Statuto dei lavoratori”.
In questo modo, “diritti e garanzie che al termine di un lungo percorso politico avevano riequilibrato l’enorme differenziale di posizione esistente all’interno del contratto di lavoro sono stati progressivamente messi nel nulla. Una prospettiva che, conclude la corrente dei giudici, non potrà non incidere negativamente anche sull’esercizio concreto dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro”.