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Home - Approfondimenti - La nota - Censis, è illusorio pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo

Censis, è illusorio pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo

2 Dicembre 2011
in La nota

“Mentre l’occupazione ufficiale stenta a dare segnali di ripresa, quella sommersa sembra al contrario dare prova di tenuta e trarre semmai un nuovo stimolo di crescita dal difficile momento”. Lo evidenzia il Censis nel suo 45/mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
A partire dal 2008, a fronte di un calo generalizzato dell’occupazione regolare (-4,1%), quella informale aumenta dello 0,6%, portando il livello di irregolarità del lavoro nel 2010 alla soglia del 12,3% e lasciandosi alle spalle i positivi risultati di un decennio.
Per il Censis l’Italia è una società “fragile, isolata ed eterodiretta, con una dialettica politica prigioniera del primato dei poteri finanziari”. I nostri antichi punti di forza non riescono più a funzionare, dice l’istituto, che avverte: è “illusorio pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo, perché lo sviluppo “si fa con energie, mobilitazioni, convergenze collettive”. È quella dunque, secondo il Censis, la direzione da seguire.
Nel picco della crisi 2008-2009, dice il Censis, avevamo dimostrato una tenuta superiore a tutti gli altri, guadagnandoci una buona reputazione internazionale. Ma ora siamo fragili, a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata e che si esprime, sul piano interno, con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico. Siamo isolati, perché restiamo fuori dai grandi processi internazionali. E siamo eterodiretti, vista la propensione degli uffici europei a dettarci l’agenda.
I nostri antichi punti di forza (la capacità di adattamento e i processi spontanei di autoregolazione nel welfare, nei consumi, nelle strategie d’impresa) non riescono più a funzionare. “Viviamo esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva (default, rating, spread, ecc.) e alla fine ci associamo – ma da prigionieri – alle culture e agli interessi che guidano quei concetti e quei termini. Ma il primato della regolazione finanziaria di vertice, avverte il rapporto, può esprimere solo una dimensione di controllo, non di evoluzione e crescita: “è illusorio pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo” perché quest’ultimo “si fa con energie, mobilitazioni, convergenze collettive, quindi soltanto se si è in grado di fare governo politico della realtà”.
Per uscire dalla crisi, dunque, ancora una volta, accanto all’impegno di difesa dei nostri interessi internazionali, la ricetta del Censis è quella di “mettere in campo la nostra vitalità, rispettarne e valorizzarne le radici, capirne le ulteriori direzioni di marcia”. E se nel prossimo futuro potrebbero essere incubati germi di tensione sociale e di conflitto, a causa della tendenza all’aumento delle diseguaglianze e dei processi che creano emarginazione, il disinnesco delle tensioni passa attraverso l’arricchimento dei rapporti sociali: “è nel binomio più articolazione, più relazione che la società italiana può riprendere respiro”. Lo si vede nella ricerca di nuovi format relazionali: l’esplosione dei social network, la diffusione di aggregazioni spirituali, la crescita di forme amicali collettive (le crociere, le movide, le sagre), lo sviluppo di aggregazioni capaci di supplire alle carenze del welfare pubblico, la partecipazione comunitaria a livello di quartiere, la tenuta di tutti i soggetti intermedi portatori di interessi o di istanze civili. “Il vuoto lasciato nella fascia intermedia della società dalla polarizzazione tra il mercato e la finanza può essere riempito soltanto dalla rappresentanza”.
Parando di Servizi, secondo il Censis “i cittadini e le imprese si trovano a fare i conti con un sistema che mostra evidenti segnali di criticità”. La politica di riduzione della spesa pubblica che ha contrassegnato gli ultimi 3 anni, e che segnerà anche il biennio 2012-13, realizzata in molti casi attraverso tagli lineari, sta lasciando il segno. In particolare il trasporto pubblico locale, già “inadeguato” è stato “drasticamente ridimensionato”.
La crisi economica degli ultimi anni ha ridotto il reddito disponibile delle famiglie e ha provocato conseguentemente una “caduta della propensione al risparmio anche a causa dell’irrigidimento di alcuni consumi”. In questo contesto la riduzione della quota di risparmi sembra però non avere colpito gli investimenti fissi, come le abitazioni.
Sull’Export per l’Istituto, “in un quadro economico stagnante, le esportazioni sono una delle poche variabili in crescita: +15% nel 2010 e +16% nel primo semestre del 2011″. Molti comparti del made in Italy possono fungere da puntello attraverso cui evitare un ulteriore scivolamento dell’economia nazionale”. Per il Censis il commercio estero “può e deve rappresentare il volano della ripresa”.
Parlando di previdenza integrativa, circa l’80% delle famiglie italiane non manifesta alcuna volontà di aderire a schemi previdenziali integrativi in futuro e addirittura in 1 caso su 10 ignora completamente il tema. Tra i capifamiglia occupati la remora principale avanzata, in special modo tra i più giovani, è il costo in relazione allo stipendio disponibile, mentre la necessità di integrare la propria contribuzione previdenziale viene più spesso rifiutata e considerata “iniqua” dai capofamiglia di età più avanzata.
Ma la scarsa propensione a prendere in esame l’ipotesi di aderire a polizze previdenziali integrative, viene sottolineato, è propria anche di capofamiglia under 40 (il 40% contro una media del 20,4%). Alle difficoltà di tipo economico contribuiscono anche “grandi zone d’ombra e profonde lacune informative, che si aggiungono alle difficoltà strutturali che la previdenza integrativa incontra nel suo diffondersi”, proprio in virtù del fatto che i lavoratori più giovani, principali destinatari di questi strumenti, “si trovano in buona parte a dover fronteggiare i rischi connessi all’instabilità lavorativa nel presente”.
I capifamiglia fino a 40 anni giudicano “prematuro perché si sentono troppo giovani” l’adesione alla previdenza integrativa (per il 40%), o anche “troppo costoso per il proprio stipendio” (per il 37,6%). Oltre la soglia dei 40 anni viene giudicato da un 36% “ingiusto pagarla se già pago i contributi e troppo costoso da un altro 28,5%.

Luca Fortis

redazione

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