Il sindacato può essere un movimento? Assolutamente no secondo Susanna Camusso, che ha recentemente stigmatizzato la tendenza della Fiom a tracimare su altri sentieri rispetto a quelli tradizionali di una rappresentanza di interessi. Del tutto opposta, naturalmente, la posizione di Maurizio Landini, intenzionato a condurre la categoria a operare su un raggio ben più ampio
rispetto a quello in cui normalmente si muove una organizzazione sindacale di categoria. In questo quadro rientrano, per esempio, i festeggiamenti per i 110 anni delle tute blu Cgil, caratterizzati da un programma a tutto campo, dove si muovono da protagonisti non solo esponenti del mondo del lavoro, ma anche politici, magistrati, e soprattutto -novità assoluta- star del giornalismo, dello spettacolo e della Tv come Michele Santoro, Roberto Benigni, Marco Travaglio; ma anche la decisione di ricorrere alle vie giudiziarie per dirimere le controversie sul lavoro, in particolare nel caso Fiat. Sta di fatto che, negli ultimi mesi, la Fiom ha inaugurato un modo di fare sindacalismo molto diverso dal passato e dalla tradizione, riscuotendo un indiscutibile successo sul piano mediatico, non accompagnato però da un analogo successo sul piano concreto dell’attività di rappresentanza di interessi. Un fenomeno che merita di essere analizzato, e sul quale Il diario del lavoro ha deciso di sondare le opinioni di esponenti del mondo del lavoro, della cultura e della politica. Iniziando con quella di Bruno Manghi, storico maitre a penser della Cisl, e di Giuseppe Berta, docente di economia industriale alla Bocconi.
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