L’accordo del 28 giugno costituisce un passo sostanziale verso nuove relazioni industriali. Riprende quota il dialogo tra le parti, si schiudono reali possibilità di una crescita degli indici di produttività, quindi di competitività della nostra economia. Le relazioni industriali sono un motore potente di crescita, perché gli accordi portano coesione sociale, risolvono problemi oggettivi senza dispersione di forze, rendono possibili quei cambiamenti, quelle trasformazioni del sistema produttivo che possono concretamente divenire altrettanti motivi di sviluppo.
Il nostro paese aveva bisogno assoluto di una sferzata. Il divario che si sta manifestando tra la nostra capacità di crescita e quella degli altri paesi europei nostri concorrenti, o trova una conclusione o alla lunga non può non condurre a una separazione di destini. La speculazione finanziaria internazionale non guarda in faccia nessuno, sa individuare con capacità analitica ed estrema velocità le difficoltà strutturali di un paese e su quelle accanirsi. E non ci vuole molto a capire che la situazione per l’Italia non può non degenerare se non ci si mette un freno. Le manovre che si stanno delineando – quella cui sta mettendo mano il governo adesso, per 47 miliardi di euro, e ancor più quelle che, per ricondurre il debito al 60% del pil, ci costringeranno negli anni a venire a manovre di 40 miliardi l’anno – potranno allontanare il pericolo di costringerci a lasciare il porto sicuro dell’Europa, ma potrebbero non bastare. Serve dell’altro, infatti: serve una diversa miscela degli ingredienti sociali ed economici che possono portare alla crescita.
L’accordo del 28 giugno a questo servirà, a cambiare le carte in tavola, a sparigliare, come si fa nel gioco dello scopone, quando la partita volge al peggio. L’accordo che è stato raggiunto può consentire di creare le condizioni per una nuova stagione felice, di investimenti e di crescita della competitività. Gli accordi che saranno possibili nelle aziende e a livello di categoria potranno portare quei cambiamenti, quelle innovazioni che finora erano impediti e costituivano altrettanti ostacoli alla crescita.
L’accordo costituisce inoltre un grande successo per le due donne che lo hanno firmato. Certamente lo è per Emma Marcegaglia, che ha voluto fortemente allargare l’intesa del 2009 alla Cgil e c’è riuscita, nonostante le difficoltà oggettive a convincere tutti. Dal convegno di Genova del settembre 2010 è stata chiara l’intenzione della confederazione degli industriali di raggiungere un accordo condiviso anche dalla Cgil. Lo chiedevano le categorie, i territori che temevano il braccio di ferro con la Cgil, ma soprattutto lo voleva il vertice della Confindustria, la sua presidente per prima. Non è stato facile condurre le trattative, spesso è sembrato un compito superiore alle forze. Alla fine dell’anno tutto sembrava perso, i diversi gruppi di lavoro messi in piedi non riuscivano a marciare: dopo primi, più facili accordi, tutto si era fermato. Poi lo sblocco e l’accordo, quasi troppo repentino per rendersi conto di quanto avveniva. Merito, appunto, della Marcegaglia, che non si è mai arresa. E merito anche di Susanna Camusso, che ha saputo superare gli ostacoli e condurre la sua confederazione a un nuovo traguardo, molto importante. La Cgil non poteva restare fuori dai giochi contrattuali, sarebbe stato un non senso. Le federazioni di categoria, tutte meno i metalmeccanici, avevano supplito a lungo a questa situazione di separatezza firmando accordi unitari per il rinnovo dei contratti. Ma la situazione non reggeva, diventava ogni giorno più ingestibile, come mostrano i casi dei contratti del pubblico impiego e del commercio, non sottoscritti dalla Cgil. Adesso si torna alla normalità, all’unità sindacale, al dialogo tra le parti sociali. Non mancheranno le difficoltà, è evidente: il rullare di tamburi di guerra che arriva dalla Fiom non fa certo ben sperare. Ma la confederazione è adesso in tutte altre condizioni, può affrontare il confronto senza timori. Un successo per Susanna Camusso, che in questo negoziato, così difficile, a un certo punto così incerto e vicino alla rottura, si giocava tutto, la ragione stessa della sua segreteria. L’accordo separato del 2009 resta in piedi, hanno detto tutti i firmatari di quell’intesa, ed è giusto che sia così, ma il nuovo accordo segna una pagina tutta nuova. Adesso può cominciare un diverso ciclo di relazioni industriali.
Massimo Mascini