Il Sole 24 Ore ha richiamato la Cgil (attraverso una citazione di Giuseppe Di Vittorio) a impegnarsi maggiormente per la crescita del Paese e a sottoscrivere un nuovo Patto sociale per lo sviluppo. Ma non è la Cgil a essere inadempiente su questo obiettivo, anzi è l’unico soggetto sociale che continua a chiedere ufficialmente un nuovo patto sociale fra le parti. Vediamo come stanno realmente le cose.
Da novembre 2010 è formalmente aperto un confronto tra tutte le parti sociali per realizzare un’intesa sulla crescita economica. Sono stati siglati 6 documenti che riguardano temi importanti come l’innovazione e la ricerca, il fisco, le semplificazioni, le emergenze occupazionali, ecc. L’unico documento che non è stato ancora firmato è quello sulla produttività, per un dissenso sul tema della contrattazione. Da cosa origina questo dissenso?
Ci sono almeno tre proposte in campo sulla riforma della contrattazione. Proviamo a descriverle brevemente.
La prima è stata esposta di recente dalla Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Dice che è necessario avere contratti più flessibili e che bisogna consolidare l’intesa (separata) del 2009, comprese le clausole di deroga nei Ccnl. A questa ipotesi di conferma del 2009 si allineano Cisl e Uil: il nuovo modello flessibile c’è già, va solo rafforzato.
Ma in Confindustria esiste un’altra idea di “flessibilità” (patrocinata da Federmeccanica) basata sul principio di alternatività e non complementarietà dei due livelli contrattuali e, di recente, la richiesta Fiat di abolire i Ccnl per legge e lasciare che ognuno costruisca da sé il proprio contratto di riferimento.
La Cgil ha di recente formalizzato una sua proposta di riforma del sistema contrattuale vigente basata sulla riduzione del numero dei Ccnl, sulla loro trasformazione in strumenti di regolazione generale meno prescrittiva (più flessibile), e sullo spostamento del peso contrattuale nei luoghi di lavoro o nei territori.
Anche all’interno della Cgil vi sono posizioni differenti. La Fiom ritiene che sia giusto in questa fase difendere e rafforzare prima di tutto il Ccnl; la categoria dei chimici ritiene che le deroghe contrattuali (se temporanee e decise dalle segreterie nazionali) siano meno rischiose dell’ipotesi Cgil di spostare il baricentro contrattuale sui luoghi di lavoro e sulle Rsu. Ma nel direttivo Cgil su questo tema si è votato ed esiste pertanto una sola proposta formale dell’organizzazione. Così non è accaduto in Confindustria dove (da molti anni) non esiste un modello contrattuale compiuto e accettato da tutti.
Per quanto possa apparire strano ai non addetti ai lavori, le tre ipotesi di “flessibilità contrattuale” in campo hanno contenuti diversi e, realisticamente, avranno effetti diversi sul mondo del lavoro e sulle relazioni industriali.
La prima (sostenuta da Confindustria, Cisl e Uil) centralizza le relazioni contrattuali in capo alle segreterie nazionali delle categorie (delle imprese e del sindacato), poiché sono loro a decidere se e quali deroghe introdurre nei Ccnl, cioè i margini di flessibilità del sistema. Non è certo un caso se Cisl e Uil dichiarano di preferire le Rsa nominate alle Rsu elette. La seconda (sostenuta da Federmeccanica) destruttura il sistema nazionale delle tutele lasciando alle singole aziende la possibilità di regolare le proprie condizioni di lavoro come preferiscono (fatte salve le leggi in materia). O di non regolarle, ovviamente, nel caso non ci sia più il Ccnl di riferimento e non essendo immaginabile una contrattazione aziendale o territoriale obbligatorie. La terza (sostenuta dalla Cgil) tende a costruire una rete di protezione generale di diritti minimi e condizioni di lavoro standard nel Ccnl e ad affidare alle RSU aziendali elette la titolarità per applicare e adattare quelle norme alle condizioni concrete di lavoro.
La proposta di Confindustria non prevede un nuovo accordo fra le parti come invece chiede la Cgil. Quella di Federmeccanica lo esclude in via di principio.
È facile immaginare che, se non si ricompone unitariamente il quadro con un nuovo accordo condiviso da tutti i protagonisti, noi avremo sempre più rappresentanze di diversa autorevolezza (sia padronali che sindacali) sui luoghi di lavoro e una sostanziale anarchia delle relazioni industriali, con il moltiplicarsi dei conflitti inerpretativi e delle incertezze. Se prevale il modello in atto ci saranno sempre più piattaforme differenziate per i Ccnl, accordi separati nei luoghi di lavoro, sentenze dei giudici. Rigidità nei comportamenti sindacali in luogo dell’auspicata maggiore flessibilità. Le associazioni di imprese svolgeranno un ruolo passivo di osservatore e non attivo di agente contrattuale: anche il loro grado di rappresentatività sarà oggettivamente indebolito.
Perché non si avvia un confronto di merito sul sistema contrattuale? Perché Confindustria, Cisl e Uil difendono il principio della derogabilità del Ccnl per renderlo più flessibile. La Cgil intende cambiarne la natura e non derogare ai Ccnl firmati.
Da quale scuola giuridica sia uscito il concetto di derogabilità delle norme e, insieme, di esigibilità dei contratti non è chiaro. Esigibilità delle deroghe? Derogabilità dell’esazione? Non sembra un principio molto solido ma prendiamolo per tale. Confindustria ha dichiarato pubblicamente di non voler difendere a tutti i costi la derogabilità. Ma poi sostiene l’accordo del 2009 così com’è. Per non rompere con Cisl e Uil e col Governo che alimenta la divisione sindacale. Più probabilmente per non dover discutere al proprio interno su un’ipotesi contrattuale compiuta.
Confindustria ha avuto nelle mani, per molti mesi, la possibilità di sollecitare politiche di crescita a nome di tutte le parti sociali. Ha preferito farlo da sola.
(LF)



























