“È importante separare le forme peggiori di lavoro irregolare, il peggio del peggio, da altre forme di irregolarità come la non corretta qualificazione del rapporto del lavoro”. È quanto sostiene il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha parlato oggi nel corso del convegno di presentazione del report “In Regola. Emersione e legalità per lavoro sicuro”, finanziato dal ministero del Lavoro e realizzato dall’Università Link Campus con il contributo dell’Ires Cgil e dell’Istituto di formazione Elea. A suo avviso le “worst forms” sarebbero “caratterizzate da un imminente pericolo psico-fisico delle persone”, riferendosi, in particolare, ad “attività totalmente prive di tutela che si svolgono in ambiti merceologici che di per sé costituiscono una maggiore ragione di pericolo, come l’edilizia e l’agricoltura, con forti componenti di manualità ed esposizione a materiali pericolosi”.
“Tanto più – sottolinea Sacconi – quando si svolgono in contesti di debole controllo istituzionale e sociale nei quali l’intermediazione si presenta con caratteristiche criminali”. All’intermediazione criminale, che – come spiega il ministro – “è inevitabile dove i mercati del lavoro sono particolarmente dispersivi, bisogna sostituire una forma di intermediazione privato-sociale, che si aggiunge e si integra alle attività istituzionali”.
Una proposta non condivisa, però dal presidente dell’Ires Cgil, Agostino Megale, convinto che “all’intermediazione criminale si reagisce con una vera lotta per la legalità, che è fatta di rispetto dei contratti nazionali di lavoro e delle leggi sul lavoro, nonché di rispetto di un’idea di civiltà del lavoro, in cui la precarietà va sostituita con la stabilità”. E questo – aggiunge Megale – “non avviene con i voucher, che, a differenza di quanto sostiene il ministro Sacconi, stanno destrutturando il lavoro e i diritti”.
Il rapporto evidenza che quasi un quarto del reddito prodotto in Italia non è stato dichiarato al fisco. Lo stretto legame tra irregolarità contributiva ed evasione fiscale, secondo stime ministeriali, ammonterebbe ad un valore aggiunto lordo di circa 200 miliardi di euro, il che equivale a dire che “oltre il 24% del reddito prodotto non è stato dichiarato al fisco”. “L’economia sommersa, ricorda Megale, vale il 17% del Pil, i lavoratori in nero sono oltre 3 milioni, di cui il 72%-73% si colloca nei servizi”.
Dal confronto tra le aree considerate (Bari, Napoli, Venezia, Milano e Roma) emerge che “da tempo la criminalità organizzata non è più un fenomeno circoscrivibile nelle aree meridionali del paese né limitabile al pizzo, allo spaccio di droga e alla prostituzione”. Inoltre, 3 milioni di persone rappresentano, precisa lo studio, “un dato sufficiente a definirlo come strutturale, inevitabilmente destinato ad accentuarsi nelle fasi di criticità e che grava sul Paese come un oggettivo fattore di ostacolo alla crescita economica e sociale”. Il volume, tra l’altro, dedica una parte al fenomeno infortunistico in Italia: “il problema della sicurezza professionale nel nostro paese è analizzato comparandolo alla situazione europea mediante dati che mostrano come per alcuni settori, l’Italia registri un tasso infortunistico superiore alla media Ue”. (FRN)