La conclusione dell'accordo per il contratto dei metalmeccanici fa tirare un sospiro di sollievo a tutto il mondo del lavoro. Perché resta questa, nonostante tutto, la vertenza leader, sulla quale tutti gli occhi sono puntati, il metro per giudicare la stagione dei rinnovi. Il fatto che sia stato raggiunto un accordo che non lascia né vinti, né vincitori, come ha sottolineato il ministro, rappresenta comunque un punto importante.
Resta però dell'amaro in bocca. Per i tempi che sono stati comunque necessari per chiudere questa intesa. Chi ha seguito le trattative dice che si poteva tranquillamente chiudere all'inizio di dicembre, cinquanta giorni prima. Ma in realtà fino a quel momento non si era praticamente entrati nel merito della vertenza, si era perso del tempo. L'accordo del 1993 aveva imposto l'inizio delle trattative alcuni mesi prima della scadenza proprio per impedire che si andasse troppo avanti e si tentasse invece di chiudere prima della scadenza. La moratoria degli scioperi a questo serviva, mentre adesso è solo un peso perché fino a quando le parti non si "misurano" sul campo, contando chi sciopera e chi no, nessuno si azzarda a fare un passo allo scoperto.
Rituali inutili, lo ha detto il presidente di Confindustria, che di queste cose se ne intende perché da più di tre anni chiede l'avvio del negoziato interconfederale sul modello contrattuale.
Adesso è arrivato davvero il momento di cambiare questo modello e di avviare serie trattative, ma sarebbe il caso di dire che è arrivato il momento di cambiare testa, abitudini. Tutti dovrebbero cercare di concentrarsi sull'esigenza comune e prioritaria, quella di alzare la produttività del lavoro in Italia, precipitata agli ultimi posti in tutte le classifiche internazionali. Il nemico resta sempre il concorrente estero, spesso lontano decine di migliaia di chilometri, contro di quello si devono rinnovare i contratti. Tenendo conto delle esigenze della produzione come di quelle dei lavoratori, ma partendo dalla consapevolezza che l'avversario non è seduto al tavolo di trattative. Consapevolezza che invece non c'è.
Anche perché le parti contrattano sempre meno. I dati, raggelanti, sul calo della contrattazione integrativa, che fa il paio con le difficoltà a rinnovare almeno alcuni contratti nazionali, dovrebbero aprire gli occhi sulla mancanza di fiducia che caratterizza sempre più le relazioni industriali. Non si tratta più in azienda, non si è mai trattato in sede territoriale, finisce che anche nei tavoli nazionali si parte con una diffidenza di fondo che impedisce di trattare se non sulla base dei rapporti di forza. A parte il fatto che poi è molto difficile misurare la forza degli avversari, la base dei negoziati dovrebbe essere l'assoluta fiducia nei propri interlocutori. Il compito delle confederazioni, allora, è adesso non soltanto quello di trovare nuovi modelli contrattuali, ma il sistema per ricostruire questa fiducia. Il futuro delle relazioni industriali è tutto nella capacità delle parti sociali di capire che sono dalla stessa parte, che devono non solo collaborare, ma coadiuvare gli sforzi per vincere la difficile partita imposta dalla globalizzazione. Perché, ma l'adagio è antico, uniti si vince, divisi si è più deboli.
Massimo Mascini
























