(Dal Resoconto Sommario)
IN SEDE CONSULTIVA
(Doc. LVII, n. 3) Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2004-2007
(Parere alla 5a Commissione. Esame e rinvio)
Introduce l’esame il relatore, senatore FABBRI, il quale ricorda preliminarmente che il Documento di programmazione economico-finanziaria prevede, per l’anno 2004, una manovra da 16 miliardi di euro, in termini di minor indebitamento netto, che costituisce il parametro rilevante nell’ambito dell’Unione Europea. L’indebitamento programmatico risulta quindi pari, per il medesimo anno, all’1,8 per cento, a fronte di una previsione di crescita del PIL pari, per l’anno in corso, allo 0,8 per cento, a fronte di una stima di crescita del 2 per cento per il 2004 e del 2,3 per cento per il 2005.
Dal punto di vista degli interventi indicati, il DPEF fa riferimento a misure sul lato dell’entrata, volte al contrasto dell’evasione e del lavoro sommerso, e di contenimento della spesa corrente, nonché a misure una tantum, relative soprattutto al settore immobiliare.
Le misure strutturali riguardano, tra l’altro, l’applicazione del Patto di stabilità interno in coerenza con le prescrizioni europee, la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, l’entrata a regime del Piano Europeo di azione per la crescita, nonché i comparti per i quali la dinamica della spesa non è ritenuta compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici nel lungo periodo.
Passando ad esaminare più nel dettaglio i profili attinenti all’ambito di competenza della Commissione, il relatore osserva che, riguardo all’occupazione, il Documento prevede una crescita – in termini di unità standard di lavoro – pari allo 0,6 per cento per il corrente anno e allo 0,8 per l’anno 2004: si tratta pertanto di valori positivi, ancorché, come si osserva nel Documento stesso, inferiori al dato relativo al 2002, pari all’1,1 per cento. A questi ultimi livelli di crescita si tornerebbe, tuttavia, nel periodo 2005-2007, dato che per ciascuno di tali anni, il tasso programmato è pari ad 1,1 o ad 1,2 punti percentuali.
Nella formulazione degli obiettivi in materia di occupazione, si è tenuto conto, da un lato, degli effetti della riforma in atto del mercato del lavoro, dall’altro, delle politiche di contenimento dell’occupazione nel pubblico impiego. Riguardo al primo fattore, il Documento fa in particolare riferimento all’attuazione delle discipline di delega di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, oggetto dello schema di decreto legislativo attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari competenti. Come è noto, le deleghe riguardano i princìpi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e all’introduzione della possibilità di ricorrere alla somministrazione, anche a tempo indeterminato, di manodopera, istituto che assorbe quello attuale del lavoro interinale; la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo; la promozione del ricorso al lavoro a tempo parziale; l’introduzione di nuove tipologie contrattuali e il riordino della disciplina del lavoro cosiddetto atipico, nonché la definizione di una procedura facoltativa di certificazione dei rapporti di lavoro.
L’iniziativa governativa – specifica il Documento – continuerà a perseguire contestualmente il completamento delle riforme strutturali del mercato del lavoro, al fine di incrementarne efficienza e flessibilità, e l’obiettivo di definire un effettivo e congruo sistema di ammortizzatori sociali: quest’ultima materia – ricorda il relatore – costituisce l’oggetto di una delle proposte di delega contenute nel disegno di legge n. 848-bis, attualmente all’esame della Commissione.
Relativamente all’andamento dell’occupazione negli ultimi anni – prosegue il relatore – il Documento osserva come ad un rilevante tasso di crescita delle unità di lavoro si accompagnino altri elementi meritevoli di riflessione, quali l’imputabilità, in larghissima misura, del suddetto aumento al settore dei servizi, nonché la crescita significativa dell’occupazione femminile, che è aumentata ad un ritmo cinque volte superiore, rispetto alla componente maschile, nel periodo 1998-2002, pur restando ancora sensibilmente inferiore a quello medio della cosiddetta area euro. Sempre secondo il Documento, tale divario, che sussiste in tutte le fasce di età, può essere ridotto per effetto della definizione delle misure di riforma del mercato del lavoro, nonché della messa a punto della riforma fiscale – e, in particolare, della riduzione delle imposte sui redditi medio-bassi – e del miglioramento dell’offerta dei servizi, pubblici e privati, in favore della famiglia e delle persone.
Riguardo alla riforma del mercato del lavoro, il Documento menziona gli istituti della somministrazione di manodopera, del lavoro a chiamata, nonché la revisione della disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, ivi compreso il cosiddetto job-sharing o lavoro ripartito, mentre per quanto concerne gli altri aspetti, si fa riferimento alla tesi, diffusa in letteratura, di una particolare elasticità del lavoro delle donne coniugate rispetto al salario.
Un altro fattore influente sull’andamento positivo dell’occupazione è individuato nell’incremento piuttosto contenuto delle retribuzioni, sia in termini assoluti sia in rapporto all’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo, e all’incremento della produttività del lavoro. Secondo il Documento, appaiono sostanzialmente in linea con tale tendenza, scontando anche la crescita media della produttività, i contratti collettivi conclusi di recente o in corso di definizione, sia nel settore privato che in quello pubblico.
Si riscontra invece una stasi dell’occupazione nel Mezzogiorno, a partire dalla metà dello scorso anno, dovuta non solo al ciclo economico sfavorevole, ma anche alla revisione della disciplina di alcuni strumenti di incentivazione – in particolare, del credito di imposta per investimenti e di quello per assunzioni ad incremento dell’organico -, revisione peraltro considerata indispensabile per assicurare la compatibilità dei medesimi con i vincoli di finanza pubblica.
Complessivamente, in base ai valori programmatici sopra menzionati, il tasso di occupazione sarebbe pari a circa il 59,5 per cento nel 2007, prossimo, osserva il Documento, all’obiettivo fissato in sede europea per l’Italia, pari al 61,3 per cento, per il 2010.
In materia di previdenza, il Documento si limita ad alcune considerazioni di sintesi, concernenti, in particolare, l’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario nel lungo periodo del sistema e di definire la riforma del welfare, al fine di garantire una maggiore equità sociale, sia in termini di distribuzione territoriale ed intergenerazionale, sia in termini di rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, con particolare riferimento ai valori della famiglia e della solidarietà.
Gli strumenti generali per assicurare l’equilibrio del sistema previdenziale sono costituiti – osserva il Documento – dall’adeguamento della spesa pensionistica rispetto al livello dei contributi, dall’integrazione del sistema previdenziale pubblico con altre forme di risparmio, e dall’allungamento, su base volontaria, della permanenza al lavoro.
Nel presupposto che sia necessario affrontare il problema previdenziale in un contesto europeo, il Governo intende impegnarsi, anche nell’ambito del semestre di Presidenza dell’Unione, affinchè siano definite alcune linee in materia nel Consiglio europeo della primavera 2004, che si svolgerà durante la successiva Presidenza irlandese.
Il relatore, dopo avere sottolineato che è ancora in corso la riflessione politica, anche all’interno della maggioranza, sul disegno di legge delega governativo, attualmente all’esame della Commissione dopo l’approvazione da parte dell’altro ramo del Parlamento, ne ricorda i contenuti, riguardanti, essenzialmente la certificazione del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità al momento della maturazione dei relativi requisiti; l’introduzione di sistemi di incentivazione di carattere fiscale e contributivo che rendano conveniente, per gli iscritti che maturino i requisiti per il trattamento di anzianità, la continuazione dell’attività lavorativa; la liberalizzazione dell’età pensionabile; l’eliminazione progressiva del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro; il sostegno allo sviluppo di forme pensionistiche complementari; la revisione della totalizzazione dei periodi assicurativi, che ne consenta l’applicabilità in caso di conseguimento dei requisiti previdenziali minimi in uno dei fondi in cui siano accreditati i contributi; l’estensione delle prestazioni e delle garanzie a carattere sociale e formativo, previste per i lavoratori dipendenti e autonomi, agli iscritti alla Gestione INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, adattandole alle caratteristiche dei medesimi.
Il Documento in esame, come detto, fa riferimento a misure di prolungamento, su base volontaria, della permanenza al lavoro, ponendosi, in tale ambito, in linea con l’attuale proposta di delega. Riguardo, infine, alle proiezioni sulla spesa pensionistica, a legislazione vigente, il Documento stima un tasso di incremento medio annuo pari al 3,7 per cento nel periodo 2004-2007.
Il PRESIDENTE ricorda che la discussione sul Documento di programmazione economica-finanziaria si svolgerà a partire dalla seduta antimeridiana di domani e rinvia quindi il seguito dell’esame.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante: «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30» (n. 250)
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 febbraio 2003, n. 30. Seguito dell’esame e rinvio.)
Si riprende l’esame sospeso nella seduta del 17 luglio scorso.
Il senatore BATTAFARANO interviene nella discussione, evidenziando che lo schema di decreto in titolo introduce ulteriori profili negativi, rispetto a quelli già contenuti nell’ambito della legge n. 30 del 2003, in relazione alla quale, peraltro, conferma il giudizio complessivamente sfavorevole, già espresso dal gruppo Democratici di sinistra-l’Ulivo.
I termini per l’esercizio della delega, previsti nell’ambito della sopracitata legge n. 30, risultano notevolmente più ampi rispetto al termine semestrale, contemplato solo dall’articolo 2, comma 1, in relazione alla materia del riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio, e conseguentemente la decisione di attuare, attraverso un unico schema di decreto, tutte le deleghe – senza limitarsi, in questa prima fase, al recepimento di quella di cui all’articolo 2 – non si giustifica sicuramente alla luce dell’esigenza del rispetto dei sopra indicati termini, essendo al contrario frutto di una precisa scelta politica del Governo, del tutto erronea e suscettibile di condizionare negativamente i tempi di esame in Commissione, con tutti i rischi connessi a tale situazione, soprattutto sotto il profilo della ricognizione dei numerosi errori tecnici presenti nel testo normativo.
Lo schema di decreto in titolo – prosegue l’oratore – presenta inoltre diversi profili di incostituzionalità per eccesso di delega, ravvisabili, in particolare, in relazione all’articolo 14, volto a modificare in modo surrettizio la disciplina di cui alla legge n. 68 del 1999 – recante la disciplina sul diritto al lavoro dei disabili – nonché all’articolo 55, comma 2, riguardante i soggetti legittimati alla stipula dei contratti di inserimento; all’articolo 86, comma 2, relativo ai rapporti di associazione in partecipazione – che tra l’altro reca disposizioni valutabili positivamente nel merito, ma formalmente incostituzionali, per violazione dell’articolo 76 della Costituzione – ed infine in relazione all’articolo 86, comma 8, con il quale si sceglie, in modo per certi versi paradossale, di introdurre modifiche in relazione al decreto legislativo n. 494 del 1996, recante attuazione della direttiva CEE relativa alle prescrizioni minime di sicurezza nei cantieri, malgrado sia ancora in corso l’esame parlamentare del disegno di legge di semplificazione per il 2001, che contiene una delega proprio per il riordino di tutta la normativa in materia di sicurezza del lavoro.
L’articolo 85, comma 1, lettera f) abroga la parte della legge n. 196 del 1997, inerente al lavoro interinale, sostituendo ingiustificatamente tale fattispecie con quella relativa al lavoro somministrato, in un’ottica diametralmente opposta rispetto alle linee politiche di fondo, assunte in materia dagli altri Stati membri dell’Unione. In tal modo, inoltre, viene eliminato il substrato giuridico del lavoro interinale, nonostante che lo stesso risulti poi mantenuto nel settore pubblico, per effetto dell’inapplicabilità della sopracitata disciplina abrogativa alla pubblica amministrazione, stabilita al comma 2 dell’articolo 1.
Sotto tale profilo, risulta incongrua ed incostituzionale anche la disciplina contemplata dall’articolo 86, comma 7, che esclude l’applicabilità per il settore pubblico della disposizione di cui all’articolo 27, comma 1, inerente alla trasformazione del rapporto di lavoro in caso di somministrazione irregolare e all’esclusione della somministrazione a tempo indeterminato per la pubblica amministrazione. Anche questa disposizione è infatti in contrasto con il comma 2 dell’articolo 1, che esclude le pubbliche amministrazioni e il loro personale dall’ambito di applicazione della disciplina all’esame.
Le disposizioni normative contenute nello schema di decreto legislativo in titolo, relative a profili previdenziali, si pongono anch’esse in contrasto con la legge n. 30 del 2003, non essendo contemplate nell’ambito dei criteri direttivi di delega.
Parimenti anche la disciplina relativa alla borsa continua nazionale del lavoro – contenuta agli articoli 15, 16 e 17, oltre a provocare l’inusitata scomparsa del Sistema informativo del lavoro, non risulta prefigurata nell’ambito della legge delega.
La disciplina contenuta nell’articolo 23, comma 1 – prosegue l’oratore – appare fortemente riduttiva rispetto a quella contemplata nell’ambito della legge delega, volta ad assicurare la parità di trattamento tra lavoratori “diretti” e lavoratori “somministrati” ed introdotta, tra l’altro, a seguito dell’approvazione di un’apposita proposta emendativa formulata dalle forze politiche di opposizione.
Si ravvisa, inoltre la mancata attuazione della disposizione della legge n. 30 del 2003, relativa ai lavoratori stranieri, non recepita nell’ambito dello schema di decreto in questione e riguardo alla quale risulta quindi poco chiaro l’intento politico del Governo.
La normativa in esame risulta sotto vari profili ultronea e sovrabbondante, ponendosi in contrasto anche con l’atteggiamento politico assunto dalle stesse forze del centro-destra nel corso della precedente legislatura, orientato nella direzione di un alleggerimento dell’intervento normativo, da bilanciare attraverso un più ampio utilizzo di moduli concertativi.
A tal proposito si ravvisa invece un’indebita limitazione dell’autonomia collettiva, conseguente alla fissazione di un termine finale per la conclusione di accordi con le parti sociali, decorso il quale verrebbe ad attivarsi un indebito potere sostitutivo da parte del Governo. Sarebbe invece opportuno prevedere un congruo termine per la conclusione degli accordi, pari ad almeno nove mesi, attribuendo al Governo, alla scadenza di tale periodo, l’onere di assumere un ruolo attivo per promuovere l’esito positivo della contrattazione e stabilendo altresì che solo qualora anche tale tentativo risulti vano, sarebbe possibile per l’Esecutivo assumere decisioni unilaterali, modulandole tuttavia sulla base delle posizioni espresse dalle parti sociali nel corso della procedura negoziale.
La riduzione per metà della valenza del voto espresso in occasione del referendum di cui all’articolo 21 dello Statuto dei lavoratori da ciascun lavoratore in regime di job sharing, risulta illogica e del tutto ingiustificata, atteso che il mondo imprenditoriale non può trarre nessun significativo vantaggio da tale indebita compressione delle prerogative del lavoratore.
L’articolo 32, relativo al trasferimento di ramo d’azienda, pur inquadrandosi in un’ottica attuativa del Patto per l’Italia, si pone tuttavia in contrasto con la formulazione in esso contenuta, allorquando legittima il trasferimento di parte d’azienda anche qualora la stessa risulti priva di beni materiali.
In relazione a tale questione – prosegue l’oratore – sarebbe altresì opportuno introdurre l’obbligo per il datore di lavoro di informare preventivamente i lavoratori coinvolti nei trasferimenti da effettuare.
Il regime normativo dell’appalto di servizi che, a differenza di quanto avviene per la somministrazione, non prevede alcun obbligo di assicurare un uniforme trattamento economico e normativo dei lavoratori, accentua i profili di convenienza di tale modulo rispetto alla somministrazione stessa, ingenerando il concreto rischio dell’insorgenza di fenomeni inquadrabili nell’ambito del caporalato. Sarebbe a tal proposito opportuno prevedere, tra i requisiti necessari per la configurabilità dell’appalto di servizio, anche quello inerente all’assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio di impresa nonché dell’organizzazione dei mezzi per l’espletamento dell’attività, conformemente a quanto emerso in sede giurisprudenziale. Sarebbe inoltre opportuno introdurre un’apposita disposizione normativa, volta a salvaguardare il lavoro temporaneo portuale.
L’articolo 10 dello schema di decreto in titolo – prosegue l’oratore – contempla un’eccezione rispetto al principio del divieto di indagine sulle opinioni dei lavoratori, la cui portata è in grado di vanificare l’effettiva valenza di tale postulato, legittimando indebite ingerenze nella privacy del lavoratore.
I vari riferimenti alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ricorrenti nello schema di decreto, devono essere formulati in modo consono alla finalità della normativa, di evitare qualsiasi turbativa nell’ordinato svolgimento del rapporto tra soggetti caratterizzati appunto da un adeguato livello di rappresentatività. A tal fine, occorre rimuovere le numerose ambiguità lessicali presenti nel testo all’esame e suscettibili, come già rilevato in altri interventi, di favorire surrettiziamente i cosiddetti sindacati di comodo.
La radicale rimodulazione degli enti bilaterali operata dallo schema di decreto legislativo in questione, rischia poi di snaturare il ruolo delle componenti sindacali, attribuendo alle stesse compiti gestionali, del tutto inconciliabili con la loro intrinseca configurazione. Per quanto riguarda la disciplina della certificazione, il regime previsto per gli enti bilaterali risulta divergente rispetto a quello prefigurato per le direzioni provinciali del lavoro, in quanto ai primi viene attribuito immediatamente un potere certificativo, mentre alle direzioni l’attribuzione di siffatte facoltà è subordinata all’emanazione di apposito decreto dal parte del Ministro del lavoro, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento tra settore privato e settore pubblico, a scapito di quest’ultimo. Inoltre, l’attività certificativa in questione viene inquadrata nell’ambito della legge delega in un’ottica sperimentale, mentre al contrario nello schema di decreto in titolo la configurazione di tale normativa sembra assumere un carattere di definitività.
Il testo normativo in esame presenta, infine, numerosi profili di incostituzionalità, anche per violazione della normativa introdotta a seguito della recente modifica del Titolo V, Parte II della Costituzione, in relazione ai quali è auspicabile l’integrale accoglimento delle osservazioni formulate in proposito dalle regioni, nell’ambito del parere reso dalla Conferenza unificata.
L’oratore conclude il proprio intervento, evidenziando che le forze politiche di opposizione hanno formulato dettagliate osservazioni, finalizzate ad attenuare i pregnanti profili problematici inerenti al testo normativo in esame, in relazione al quale, tuttavia il giudizio complessivo risulta totalmente negativo.
Secondo il senatore MONTAGNINO, alcuni aspetti positivi del provvedimento all’esame non compensano l’inutilità e la pericolosità di molte novità in esso contenute.
Nel fallace presupposto che a maggiore flessibilità corrisponda automaticamente maggiore occupazione, lo schema di decreto legislativo in titolo introduce nuovi ed ulteriori elementi di flessibilità – o meglio di precarizzazione – in un mercato del lavoro in cui essa è già abbondantemente presente, sia in entrata sia in uscita: in proposito, occorre ricordare che l’intervento riformatore della passata legislatura, il cui snodo principale è rappresentato dal cosiddetto “Pacchetto Treu”, ha già introdotto gli elementi di flessibilità indispensabili a liberare una buona parte del potenziale occupazionale imbrigliato nel sistema, coniugandoli però con un adeguato grado di sicurezza.
La moltiplicazione di tipologie contrattuali prospettata dal Governo non risulta utile né ai lavoratori, né alle aziende: esiste invece un assoluto bisogno di interventi strutturali, che favoriscano e sostengano lo sviluppo, di infrastrutture che vengano realizzate e non soltanto annunciate, di ammortizzatori sociali più diffusi e più efficaci, di tutele mirate e modulate, di investimenti in formazione, soprattutto nel Sud, e di una riforma che unifichi i contributi sociali per i diversi lavori. Solo a queste condizioni, il ricorso a forme di lavoro flessibili non si ridurrà ad un mero espediente per realizzare l’obiettivo della riduzione dei costi a vantaggio esclusivo dei datori di lavoro.
Nel decreto legislativo – prosegue il senatore Montagnino – a fianco di alcune misure puramente nominalistiche, vengono introdotti cambiamenti molto pericolosi e suscettibili di dare luogo al deterioramento della coesione sociale, all’aumento della conflittualità, non solo tra le parti, ma anche tra lavoratori stessi, allo svuotamento di significato della funzione del sindacato, e alla riduzione, al di là dei richiami formali, del ruolo della contrattazione collettiva, con la conseguente individualizzazione del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, a scapito della parte contrattuale più debole.
L’introduzione di elementi di forte complessità nel mercato del lavoro è poi suscettibile di produrre gravi inefficienze organizzative, e rende estremamente probabile un marcato incremento del lavoro sommerso.
Dando per acquisiti i condivisibili argomenti svolti negli interventi dei senatori appartenenti ai Gruppi politici del centro-sinistra, occorre in primo luogo rilevare che la nuova e più estensiva disciplina della somministrazione di manodopera rappresenta un elemento di forte destrutturazione, tanto più che la gestione di questo strumento viene sostanzialmente sottratta all’intervento della contrattazione collettiva. Meglio sarebbe, anziché introdurre strumenti nuovi di dubbia efficacia, sviluppare maggiormente le potenzialità di strumenti di più facile gestione, e già sperimentati positivamente.
Inoltre la nuova tipologia di prestazione denominata lavoro intermittente è senza dubbio un modulo contrattuale di dubbia utilità sostanziale, ma di grande pericolosità per il sistema delle tutele del lavoro: non si comprende infatti l’esigenza di introdurre un nuovo rapporto di lavoro per forme di prestazione che già hanno sul mercato la massima offerta di strumenti contrattuali flessibili, mentre appare inaccettabile la compressione del livello delle tutele che si persegue con questo istituto, così come è molto discutibile che per il computo dell’indennità di disponibilità, riconosciuta per i periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di chiamata, non sia previsto il rinvio alla contrattazione collettiva.
E’ grave poi quanto contenuto all’articolo 38 dello schema all’esame, la cui rubrica si intitola, con involontaria quanto sgradevole ironia, al “Principio di non discriminazione”: secondo tale disposizione, durante il periodo di disponibilità, il lavoratore non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo, salva l’indennità di disponibilità. Altrettanto pericolosa risulta l’esclusione dei lavoratori intermittenti dal computo dell’organico aziendale, che apre una via legale per eludere la disciplina dei licenziamenti dettata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sono altresì inaccettabili, per quanto attiene ai profili retributivi, la deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo, relativamente ai contributi sull’indennità di disponibilità; la sospensione dell’indennità stessa nei casi di malattia o di temporanea indisponibilità del lavoratore; la sua corresponsione nei giorni festivi solo in caso di effettiva chiamata. La norma che prevede il ricorso al lavoro intermittente in via sperimentale, per diciotto mesi, relativamente all’assunzione di lavoratori licenziati o in mobilità, con meno di 25 o più di 45 anni, risulta incomprensibile, e, comunque, dovrebbe essere soppressa, poiché potrebbe essere utilizzata per aggirare i vincoli che lo stesso schema pone per il ricorso al lavoro intermittente da parte delle imprese.
Le modifiche previste dal provvedimento in titolo relativamente alla disciplina vigente del lavoro a tempo parziale introducono inutili e dannosi elementi di complessità e riducono al minimo lo spazio della contrattazione collettiva a vantaggio di quella individuale, soprattutto per quanto riguarda le clausole flessibili, rispetto alle quali la contrattazione collettiva perde il ruolo autorizzatorio: la mancanza di questa forma di controllo vanifica di fatto quanto, in termini di incremento dell’occupazione, soprattutto femminile, si potrebbe davvero ottenere attraverso una maggiore semplificazione e flessibilizzazione del part-time.
Incomprensibilmente, è stata poi tralasciata l’attuazione del principio di delega di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d) della legge n. 30 del 2003, relativo alla introduzione di norme per agevolare l’utilizzo di contratti a tempo parziale da parte di lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione giovanile.
Infine, in caso di utilizzazione, da parte del datore di lavoro, delle clausole flessibili o delle clausole elastiche, è previsto il diritto a specifiche compensazioni, mentre più propriamente dovrebbe essere mantenuto il diritto a maggiorazioni retributive sancito dalla legislazione vigente.
Per quanto riguarda le tre distinte forme di contratto di apprendistato introdotte con il testo all’esame, è importante che sia resa effettiva la verifica sulla formazione effettuata, così come va richiamato esplicitamente l’attuale monte ore di formazione esterna come riferimento minimo per le regioni, ma è discutibile la scelta secondo cui la competenza esclusiva delle regioni in materia di istruzione e formazione professionale, così come previsto dalla riforma del Titolo V, debba essere esercitata nel rispetto di criteri dettati dal decreto legislativo, cioè attraverso un provvedimento delegato al Governo e non con legge approvata dal Parlamento.
Inoltre il limite massimo di sei anni di durata del rapporto è assolutamente eccessivo rispetto a qualunque finalità meramente professionalizzante, e si presta piuttosto ad usi distorsivi.
Per quanto riguarda invece il cosiddetto contratto di inserimento, che sostituisce il contratto di formazione lavoro – prosegue il senatore Montagnino – é positivo che gli incentivi vengano destinati soltanto ai lavoratori svantaggiati, ma occorre sopprimere il riferimento alla categoria dei giovani tra i 18 e i 29 anni per evitare una sovrapposizione con il contratto di apprendistato. In relazione alla disciplina per l’inserimento delle donne, risulta poi eccessiva la limitazione alle aree con occupazione femminile inferiore del 20 per cento a quella maschile o con disoccupazione superiore del 10 per cento di quella maschile. E’ poi da chiarire, in riferimento ai disabili, se l’assunzione attraverso contratti di inserimento rilevi o meno ai fini dell’adempimento degli obblighi di assunzione nell’ambito delle quote di riserva.
La trasformazione in lavoro a progetto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa costituisce un’innovazione più nominale che reale, a parte alcuni elementi di tutela, peraltro introdotti nella legge delega durante il dibattito parlamentare, per iniziativa dei Gruppi politici dell’opposizione: il lavoro a progetto non sostituisce in realtà la tipologia vigente del rapporto di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa, dato che il progetto, il programma, o fasi di essi, vanno considerati come elementi costitutivi ed identificativi del rapporto di lavoro, tali da distinguerlo dal rapporto di lavoro subordinato e dal rapporto di lavoro autonomo.
Nel testo all’esame manca poi la previsione di sanzioni adeguate nei casi di inosservanza delle disposizioni di legge relative ai requisiti essenziali previsti per tali contratti, contenuta nella delega, né è previsto, in caso di conversione volontaria del rapporto a progetto in lavoro subordinato, l’applicazione di sgravi, benefici ed incentivi riservati alle nuove assunzioni.
Per quanto riguarda i diritti, il decreto riconosce la tutela dei lavoratori in caso di gravidanza, malattia e infortunio, disponendo, al comma 1 dell’articolo 66, che tali eventi non comportino l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso: tuttavia, l’effettività della tutela è fortemente ridimensionata dalla norma che prevede, per tale sospensione, l’assenza di costi per il committente, in quanto è parallelamente sospesa anche l’erogazione del corrispettivo; nonché la mancata proroga della durata del contratto, che si estingue comunque alla scadenza, salvo una proroga di 180 giorni in caso di gravidanza; e l’estinzione del rapporto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata contrattuale o a trenta giorni in caso di contratti di durata indeterminabile. Un’altra lacuna del testo all’esame consiste nel mancato richiamo alle disposizioni dello Statuto dei lavoratori riguardanti la libertà e la dignità del lavoratore, alla legge n. 903 del 1977 sulla parità tra uomini e donne nel lavoro e alla legge n. 125 del 1991, sulla realizzazione di pari opportunità tra i sessi.
Non vengono neppure eliminate le anomalie relative al lavoro occasionale, né la disparità di trattamento per una particolare categoria, quale quella degli incaricati alle vendite a domicilio, attualmente assoggettata ai contributi previdenziali, al contrario dei lavoratori autonomi, anche quando la loro attività ha carattere occasionale. Il limite del corrispettivo, che dovrebbe essere ridotto a 3.000 – 3.500 euro, deve qualificare il lavoro occasionale soprattutto quando esso rappresenta il reddito per l’intero anno in relazione a tale rapporto.
A proposito delle prestazioni occasionali di tipo accessorio, va rilevata l’esigenza di specificare che tale tipologia di contratto è utilizzabile solo dalle famiglie e dagli enti senza fini di lucro, come previsto nella delega.
Il senatore Montagnino rileva poi che l’aspetto più critico della nuova disciplina in materia di organizzazione del mercato del lavoro riguarda il mancato riconoscimento del ruolo delle regioni, dato che, in violazione del riparto costituzionale di competenze tra Stato ed autonomie locali, si riservano amplissimi poteri al Ministro del lavoro per quanto concerne l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di intermediazione della manodopera, mentre alle regioni è riconosciuto solo un modesto e peraltro ambiguo ruolo in materia di accreditamento.
La formulazione dell’articolo 29, che modifica la disciplina dell’appalto di servizi, costituisce nei fatti un’inaccettabile riesumazione del “caporalato”, attraverso una completa vanificazione del meccanismo autorizzatorio per i soggetti che intendono svolgere l’intermediazione di lavoro: secondo la nuova disciplina, infatti, chiunque può svolgere liberamente tale attività, semplicemente denominandola appalto di servizi.
La normativa sul trasferimento del ramo d’azienda è poi certamente da riscrivere, dato che non corrisponde alla formula convenuta nel Patto per l’Italia, esclude qualunque ruolo del sindacato, trascura una specifica disciplina europea ed eccede gli ambiti della delega relativamente al requisito dell’autonomia funzionale.
A proposito dell’articolo 14, se l’intenzione del Governo era di ovviare al mancato funzionamento dell’articolo 12 della legge n. 68 del 1999 e sostenere l’esperienza delle cooperative sociali, sarebbe stato più utile trovare soluzioni più specifiche al problema che si intendeva risolvere. Si sarebbe potuto precisare, ad esempio, che il comitato tecnico è tenuto a predisporre per ognuno dei lavoratori disabili un piano individualizzato teso al successivo inserimento in strutture produttive obbligate ai sensi dell’articolo 3 della predetta legge n. 68, specificando inoltre che l’accesso dei datori di lavoro ai benefici previsti dal comma 3 dell’articolo 14 dello schema all’esame è vincolato al contestuale adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili, ai fini della copertura della restante quota a loro carico, determinata sempre dal citato articolo 3 della legge n. 68.
Il testo all’esame, infine, rimedia all’erronea identificazione, prevista dalla legge n. 30, dei consulenti del lavoro quali soggetti delegati a svolgere attività di intermediazione: l’esplicito divieto di esercitare individualmente l’attività di intermediazione, conferma il tentativo strumentale della scelta contenuta nella delega, anche se, occorre osservare, appare dettato dall’ansia di garantire una sorta di compensazione l’inserimento dell’ordine nazionale dei consulenti del lavoro tra i destinatari dei regimi particolari di autorizzazione.
E’ infine sorprendente per la sua palese illogicità la disposizione che, con riferimento al contratto di lavoro ripartito, al comma 3 dell’articolo 44, stabilisce che i coobligati hanno diritto di partecipare al referendum di cui all’articolo 21 dello Statuto dei lavoratori, salvo però avere la facoltà di esprimere un solo voto.
In conclusione, il senatore Montagnino ribadisce il suo giudizio fortemente critico e preoccupato sullo schema di decreto legislativo all’esame, che, a suo avviso, è destinato ad incrementare precarietà e conflittualità, e non certo i tassi di occupazione, secondo gli ambiziosi impegni assunti a Lisbona.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.