AIDP e ANDAF, dopo una positiva collaborazione sui territori concretizzatasi nel biennio 2020-22 in un roadshow in otto tappe dedicato alle PMI, hanno dato vita ad evento, questa volta di respiro nazionale, dedicato ad approfondire un tema di grande attualità e sul quale entrambe le associazioni da tempo lavorano in maniera organica e strutturata.
L’evento è stato ospitato da BFF, presso cui si erano già tenute due tappe del roadshow, ed è stato realizzato con la collaborazione di Glasford, IBC, Intertek e Temporary Management & Capital Advisors.
Pochi sanno o ricordano che il 2023 è stato proclamato dall’Unione Europea “anno delle competenze”. Parlando di formazione professionale, l’Italia si trova sotto la media europea, collocandosi al 15esimo posto con una percentuale del 9,9% della popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa costantemente a corsi di formazione e di qualificazione professionale.
Secondo Fonditalia, infine, la certificazione delle professionalità è ancora legata alla pratica del ‘900.
E la certificazione manageriale?
E’ una prassi consolidata in molti paesi europei: in Inghilterra, ad esempio, costituiscono un punto di riferimento sia gli Standards of Good Practice for Board of Directors sia i Senior Management Standards, che hanno coinvolto centinaia di senior manager per arrivare alla definizione rigorosa degli standard di riferimento.
In Italia il tema è alquanto caldo, stante la tendenza di molte associazioni manageriali a creare dei processi di certificazione per i propri soci.
Diverse sono le spinte che portano alla certificazione:
- da una parte, le imprese richiedono che qualcuno “garantisca” la qualità dei manager, soprattutto nel caso sempre più frequente di ricerche fai-da-te, che utilizzano piattaforme dedicate a questi profili, mentre nel caso di ricerche affidate a società specializzate sarebbero queste ultime a farsi carico delle verifiche del caso
- dall’altra molti manager pensano alla certificazione come una semplificazione dell’accesso al mercato. Per esperienza diretta, posso dire che tra i temporary manager il tema è molto più sentito tra coloro che si stanno avvicinando alla professione, rispetto a chi opera da tempo come TMan: mentre i primi, specie in tempi difficili come l’attuale, sono in cerca di una sorta di bollino blu da utilizzare come elemento distintivo per aumentare la propria rivendibilità personale, i secondi, alcuni non senza un pizzico di snobismo, alla fin fine dicono “sono bravo, mi chiamano le aziende e le società specializzate … una certificazione non mi darebbe poi grandi vantaggi”.
- una spinta di natura europea, legata all’applicazione di una serie di standard per la realizzazione dell’effettiva libera circolazione delle risorse umane, quale garanzia contro l’assalto di “improvvisatori” sedicenti professionisti
- non vanno infine dimenticate le infinite e ricorrenti diatribe sul tema della riforma degli ordini professionali, che vede coinvolti sia gli ordini professionali (notai, avvocati, etc.) che i professionisti non regolamentati per legge, tra cui ritroviamo anche alcune associazioni di management.
AIDP e ANDAF, ciascuno per la propria figura professionale di riferimento, hanno messo in essere due eccellenti sistemi di valutazione della professione, estremamente rigorosi dal punto di vista dell’impianto concettuale, dei principi fondanti del processo (es. la certificazione di terza parte indipendente) e della conformità con le regolamentazioni nazionali e internazionali in materia. Il tutto è stato ben chiarito nel corso del convegno da coloro che si sono succeduti a spiegarne la componente “tecnica”.
Riportiamo di seguito la sintesi del percorso ANDAF, raccontata da Paolo Fanti: “si parte da una prima verifica di competenza e adeguatezza della persona da parte della famiglia professionale per assicurare la professionalità dell’associato con il rilascio dell’Attestazione di Qualità dei Servizi Professionali prestati secondo le indicazioni del Ministero preposto (oggi il MiMit). Tale attestazione apre alla possibilità di sostenere un esame di certificazione che verifica le conoscenze e le competenze e abilità maturate nel corso della carriera professionale.
La certificazione viene rilasciata da Intertek – terza parte indipendente (presente tra i relatori con Franco Fontana) e garantisce le competenze del professionista a svolgere il ruolo per cui viene assunto sulla base di requisiti di qualità e prestazionali stabiliti da schemi di certificazione, talvolta cogenti per effetto di disposizioni normative/legislative. L’ottenimento di un certificato rilasciato secondo i requisiti Prassi UNI Pdr 104:2021 dimostra in modo oggettivo le competenze, conoscenze e abilità al mercato delle aziende e delle organizzazioni che necessitano di criteri di qualità nell’inserire professionisti nella propria organizzazione. La certificazione sarà poi verificabile nel registro nazionale dell’ente nazionale di accreditamento, Accredia”.
Lo schema AIDP, raccontato da Matilde Marandola e Andrea Orlandini, fa riferimento ad a ben 14 profili professionali della funzione HR, dal Direttore fino al Personnnel Administration and Industrial Relation Manager, definiti sulla base dei criteri del Quadro europeo delle qualifiche (EQF) e della classificazione del QNQ (Quadro Nazionale delle Qualificazioni).
Per candidarsi alla certificazione di ciascun profilo occorre soddisfare dei pre-requisiti specifici:
un assessment individuale, ottenuto nei 36 mesi precedenti l’esame, volto a valutare capacità relazionali e comportamenti attesi, attraverso l’utilizzo di tecniche di osservazione e strumenti scientificamente validati; apprendimento formale; apprendimento non formale, conseguimenti di crediti formativi nei mesi precedenti l’esame (24-36 mesi); apprendimento informale, anni di esperienza nel ruolo.
Italy Bureau Of Certification, Organismo di Certificazione presente tra i relatori con Fausto Vuolo, , in collaborazione con Lloyd’s Register, ha elaborato un percorso di certificazione ad hoc per i Professionisti HR, ottenendo l’accreditamento secondo la norma UNI11803:2021.
Accertata la validità tecnica dell’impianto indipendentemente da “squisitezze” formali (es. il riferimento ad una norma piuttosto che ad una prassi, che pochi sarebbero in grado di spiegare), la riflessione del convegno si è indirizzata verso una questione molto pratica e basilare: come lo strumento della certificazione sia oggi percepito dai suoi due mercati di riferimento, i manager da certificare e le aziende che tali manager dovrebbero comperare/assumere.
Paolo Iacci ha giocato il ruolo di “difensore” del principio, contrapponendo ai detrattori alcune valide osservazioni che vale la pena ricordare:
- Le certificazioni sono necessarie quando si tratta di difendere un’utenza debole. In questo caso HR e CFO si rivolgono alle imprese che non sono un’utenza debole. Falso: le grandi imprese in Italia sono lo 0,1% del mercato. Le PMI sono più di 200.000 e queste hanno bisogno di un aiuto nell’individuazione delle professionalità necessarie per la loro managerializzazione.
- Il mercato non richiede ulteriore documentazione. Falso: AIDP e ANDAF si pongono l’obiettivo di sostenere lo sviluppo sociale e economico del Paese e le certificazioni sono utili in questo senso
- Le certificazioni sono il preludio per arrivare alla costituzione di due Ordini. Falso: le nostre associazioni hanno esplicitamente escluso questa deriva. Gli Ordini hanno altre finalità da noi non perseguite.
E aggiunge: le certificazioni possono svolgere una funzione identitaria fondamentale, in un momento in cui in entrambe le professioni i confini si stanno facendo slabbrati ed è utile ridefinirne gli ambiti di competenza, per non parlare del loro ruolo nel contrastare il rischio di un progressivo abbassamento della qualità professionale dei professionisti delle due funzioni
Sono pronte le aziende che spesso vedono le norme di questo tipo come inutili orpelli, poco sostanziali e di scarso ausilio per una corretta gestione delle risorse?
Innanzitutto, qualsiasi forma di certificazione, per quanto accurata, sofisticata e precisa, per avere successo ha bisogno di due elementi che devono ben incastrarsi tra di loro:
- apprezzamento da parte del mercato: ovvero bisogna far capire il valore aggiunto che essa può dare ad un’azienda, specie se PMI e quindi poco abituata a parlare di massimi sistemi
- sostenibilità economica: più è accurata, più costa e più è necessario che il mercato la apprezzi, altrimenti i manager hanno poco interesse a farlo (ci sono stati diversi esempi in passato di certificazioni ritenute troppo onerose in termini di costi/benefici che si sono poi spente)
Se in Italia, fino a pochi anni fa delle certificazioni importava poco (anche di quelle “obbligatorie” tipo ISO9000), oggi è tutto un fiorire di certificazioni per qualsiasi cosa col rischio di inflazionare il concetto e il mercato e di non essere adeguatamente apprezzate. A rigore, il mercato andrebbe informato e “formato” a comprendere la differenza tra certificazione e qualificazione, ovvero tra un processo strutturato e un attestato conseguito con un corso di formazione, punto fermamente ribadito anche da Paolo Fanti.
L’impressione che si coglie spesso dal mercato parlando con gli imprenditori, è che oggi si voglia utilizzare lo strumento della certificazione per aiutare il percorso di ricollocamento dei manager (es. innovazione, sostenibilità, ESG): mentre va sicuramente bene per figure operative, per i manager senior il discorso può non essere così scontato.
Torniamo al punto di fondo: massima attenzione ai messaggi che si intende dare al mercato.
Tenuto conto che sono numerose le associazioni manageriali che stanno pensando di seguire le orme di AIDP e ANDAF, credo sia utile evidenziare alcuni elementi di riflessione che mi sono trovato di fronte allorquando nel 1999 avevamo tentato di lanciare il progetto di certificazione di terza parte dei temporary manager (nell’allora Comitato Tecnico era presente anche AIDP):
- si tratta di un’operazione che in realtà vuole solo regolamentare il mercato, creando aree di privilegio in cui far lavorare solo i propri manager “con certificato”?
- vengono associati solo i soci oppure anche i terzi? Ovvero: per certificarmi devo essere in regola con la quota associativa?
- da cui consegue la possibilità di una serie di atteggiamenti dei soci di cui un’associazione deve comunque tenere conto (“ho pagato la quota per anni e la certificazione è un mio diritto”, “perchè l’associazione deve certificare uno che non è socio e che non paga la quota?”)
- un’associazione ha delle esigenze specifiche come organizzazione, ovvero sviluppo associativo e mantenimento degli associati: in che misura esse sono compatibili con una certificazione “oggettiva” che come tale può non certificare certi soci deludendone aspettative e bisogni e quindi creando le condizioni per una loro uscita o per una loro non entrata?
Un punto molto particolare riguarda infine il tema della certificazione dei temporary manager: per queste figure l’elemento più importante è l’aver già fatto qualcosa, non tanto la capacità astratta (il potenziale?) di poterla fare, ciò che implicherebbe una disamina di dettaglio dei progetti gestiti dal manager. Chi dovrebbe fare questa disamina? Altri soci, esponendosi ai rischi di una certificazione non di terza parte, o un terzo indipendente (che va definito con molta precisione affinchè sia realmente tale) col rischio che possano lievitare i costi della certificazione per il manager?
Dubbi e riflessioni che non inficiano il valore della certificazione sentito e percepito dai manager che hanno deciso di farla e che nel corso del convegno lo hanno testimoniato con forza ed entusiasmo.
Dice Marcella Mauro, CFO Temporary Manager: “il superamento delle prove e l’ottenimento della Certificazione di CFO ha suscitato in me consapevolezza professionale e motivo di orgoglio … un elemento mancante che ha aperto un mondo di connessioni ed entusiasmo. Questa certificazione è vista come un plus dagli stakeholders con cui mi interfaccio per la mia professione, in particolare dagli imprenditori che leggono tanti CV e parlano con tanti Manager e vogliono un segno tangibile che quanto “diciamo di noi” sia effettivamente reale”.
Le fa eco, Clara Rocca – HR Certificato: “la certificazione HR è un importante momento di self assessment: mettersi alla prova, fare il punto sul proprio percorso di crescita personale e professionale, fare sintesi sul percorso fatto. Con la certificazione ho sperimentato, dentro di me, un cambio di passo; abitare il ruolo dell’HR con più consapevolezza, esserne protagonista.
Più in alto ho citato il bollino blu (quello della banana Chiquita): è forse opportuno ricordare che i manager non sono banane, ma nemmeno le aziende sono piantagioni.
Maurizio Quarta