di Angelo Stango – Responsabile Relazioni Industriali Merloni Elettrodomestici
Sono trascorsi dieci anni dalla direttiva sui comitati aziendali europei e da più parti si preme per una sua revisione. Prima di affrontare questo problema ritengo prioritario analizzare altri aspetti: come stanno funzionando i Cae, quali problematiche stanno emergendo, quali aspetti positivi sono da incentivare, se si è usciti dalla logica nazionalcampanilistica (“il mio modello di relazioni sindacali è superiore agli altri”), fino a che punto arriva il coinvolgimento. A tal fine partirei dall’esperienza del Cae della Merloni Elettrodomestici S.p.A.
E’ stato istituito nel luglio del 1996 e, come specificato nell’accordo istitutivo, “si ispira ai principi della Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali e rappresenta la conseguenza della solida base partecipativa delle relazioni industriali ed è il presupposto culturale per realizzare in azienda una decisa vocazione multinazionale”.
Il ruolo del comitato è quello di consentire lo scambio di informazioni e la discussione su materie economiche, industriali e sociali, in particolare su: quadro macroeconomico del settore; situazione economica e prospettive di sviluppo del gruppo; quadro occupazionale; investimenti per linee di prodotto e processo, missioni produttive e volumi produttivi negli stabilimenti del gruppo; in generale, decisioni che abbiano conseguenze su scala sopranazionale su occupazione e condizioni di lavoro dei lavoratori.
Il comitato è composto da 18 rappresentanti dei lavoratori assistiti da 7 esperti, in rappresentanza delle organizzazioni sindacali rappresentative e riconosciute all’interno del gruppo. Si riunisce normalmente una volta all’anno in plenaria, mentre, al fine di fissare l’ordine del giorno o per affrontare problemi che non giustificano una plenaria ci si incontra con due membri del Cae in rappresentanza di Paesi diversi. Ai membri del Cae viene fornita una formazione linguistica ed una formazione sulle direttive comunitarie in tema di lavoro.
Sempre nello spirito della trasnazionalità, gli incontri annuali si svolgono a rotazione nei vari Paesi ove sono presenti unità produttive. In tale ottica l’incontro del Cae del 2003 si è svolto in Russia ed i rappresentanti dei lavoratori dei nostri stabilimenti in quel Paese partecipano come osservatori, così come partecipano come osservatori anche i rappresentanti dei lavoratori dello stabilimento in Turchia.
Inoltre, sulla base della concertazione, intesa come modello che consente di perseguire obiettivi condivisi attraverso anche la condivisione degli strumenti per raggiungerli, nel dicembre 2001 in ambito Cae è stato sottoscritto con Fim, Fiom, Uilm, anche per conto della Fism, il “codice di condotta”, con il quale la Merloni Elettrodomestici si è impegnata al rispetto, anche verso i fornitori diretti, dei principi sanciti dalle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Ciò nella consapevolezza che la responsabilità sociale deve essere considerata come elemento di qualità di cui si deve tener conto nel processo vitale dell’azienda al fine di sviluppare una cultura che vada oltre i semplici obblighi di carattere legale.
Nel corso di questi anni abbiamo affrontato varie problematiche, dalle acquisizioni alle ristrutturazioni, passando anche per la chiusura di siti produttivi, ma sempre con lo spirito di cui abbiamo parlato, senza voler imporre il modello italiano e senza snaturare le esperienze dei singoli Paesi, nella convinzione che ogni Paese si è dotato di un proprio modello di relazioni in grado di gestire e attenuare i conflitti in base alla cultura, alle specificità e agli equilibri politico/sociali che gli sono propri.
In altre parole, abbiamo provato a partire dalle esperienze dei singoli Paesi, le abbiamo messe a contatto al fine di far risaltare i punti di condivisione attraverso il dialogo ed il confronto, per favorire e far crescere una cultura comune, pur salvaguardando le specificità, in modo da superare la diffidenza ed aiutare la multiculturalità.
E’ anche vero che in questi anni sono emerse che delle criticità, ed in particolare: la scarsa attenzione e considerazione dei lavoratori nei confronti dei lavori del Cae, e questo fa sì che spesso tutto rimane circoscritto a pochi addetti; la presenza di due tendenze sempre più marcate. Una tendente a sviluppare le varie fasi dei lavori del Cae nell’ambito di regole e norme rigide, al fine di regolare in modo particolareggiato tutte le varie fasi del confronto, col rischio di limitarlo alla verifica dell’applicazione delle regole (Francia, Germania, Russia), l’altra tendente a considerare le regole, anche quelle più generali, come semplice punto di riferimento, col rischio di non avere mai dei punti di certezza (Italia, Portogallo,UK).
Alla luce di queste constatazioni e considerazioni, ritengo che il problema della revisione della direttiva del 1994 sia fuorviante o quantomeno prematuro, e ciò per due buoni motivi. E’ infatti, in primo luogo, vero che la direttiva ha dieci anni di vita, ma è altresì vero che essa ha avuto un avvio lento e travagliato ed ancora oggi non ha espresso pienamente la sua potenzialità e capacità di raggiungere gli obbiettivi prefissati. Una maggiore rigidità potrebbe penalizzare e non favorire questo processo. Inoltre, in Europa, sempre più nettamente stanno emergendo due modi diversi di affrontare il dialogo sociale, espressione di due culture, di due tradizioni diverse, ognuna con i propri lati positivi e negativi. Sarebbe un grave errore che la revisione della direttiva fosse semplicemente il predominio di una cultura a danno di un’altra. Sarebbe in netta contraddizione con l’obbiettivo dell’integrazione culturale.
Per concludere, una riflessione semiprovocatoria. Non è che la richiesta di revisione nasconde la paura di confrontarsi e di costruire su un terreno rischioso e con pochi punti di riferimento?