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Home - Primo Piano - Basso (Cgil Veneto): la nostra regione è entrata in una crisi sistemica

Basso (Cgil Veneto): la nostra regione è entrata in una crisi sistemica

di Emanuele Ghiani
11 Maggio 2023
in Interviste
Basso (Cgil Veneto): la nostra regione è entrata in una crisi sistemica

TIZIANA BASSO CGIL

Il diario del lavoro ha intervistato la segretaria generale della Cgil Veneto Tiziana Basso, in merito alla situazione del mondo del lavoro e della salute nel suo territorio. Per Basso, le risorse del governo non sono sufficienti per affrontare una crisi che non è più emergenziale ma sistemica e serve un confronto con tutte le forze sociali per affrontare strutturalmente la crisi del lavoro, sanitaria ed energetica.


Basso, come valutate l’operato di questo governo?

Sull’operato le rispondo subito, abbiamo tre manifestazioni nazionali, quella passata del 6 maggio per i l centro, il 13 per il le regioni del Nord e il 20 per le regioni del Sud. Sono manifestazioni unitarie, a fronte di alcune emergenze che non sono più sopportabili e riteniamo che dobbiamo dare un messaggio forte al governo.

Quale messaggio?

Parto dal problema principale che è sentito da tutti: è il tema del reddito, di come l’inflazione ha eroso il valore reale degli stipendi e delle pensioni e di come sia necessario dare una risposta importante e urgente. Così come, e lo diciamo tanto al governo quanto alle controparti datoriali, dobbiamo rinnovare i contratti nazionali, a partire da quelli pubblici. Ma nel Def non si vedono risorse per i contratti pubblici, tema molto delicato e negativo che si riflette sul rinnovo sui contratti collettivi privati rallentandoli.

Un altro grande tema è la riforma del fisco, come la valutate?

La riforma è stata fatta, entro giugno passerà al Parlamento, e ci preoccupa molto perché non vediamo una progressività della tassazione ma una agevolazione ai redditi più alti. Serve tassare dove ci sono le risorse, come per esempio gli extra-profitti che sono scomparsi e le rendite finanziarie.

Sul fronte regionale, qual è la vostra situazione nel Veneto?

Il tema del socio-sanitario lo sentiamo molto, come Veneto abbiamo fatto una grande manifestazione a Vicenza: abbiamo fortemente voluto e aderito all’appello fatto da associazioni e comitati, perché la difesa della salute pubblica è un diritto costituzionale di cui stiamo perdendo pezzi. Si sta tornando indietro, il governo sta riducendo i finanziamenti alla sanità, mentre invece servono più risorse, più persone, assunzioni e politiche diverse.

Proprio il Veneto ha la nomea di essere bene attrezzata nel settore della salute pubblica

La realtà è più complessa, la Regione usa questa retorica del “va tutto bene”, che nella sanità siamo una eccellenza. È vero, nelle emergenze abbiamo risposte positive ma nella cronicità ci sono persone abbandonate. Per questo avevamo chiesto alla regione Veneto come applicare l’addizionale Irpef ai redditi più alti, ma purtroppo non è stato fatto. Pensi a quanto costi una persona anziana in una casa di riposo per una famiglia da quando sono aumentate le rette, aumento dovuto anche ai costi energetici. E qualcuno alla fine è stato costretto riportare a casa un anziano perché non poteva pagare la retta, con evidenti disagi per tutti.

Questa situazione precaria e la mancanza di risorse alla sanità era presente anche con il governo Draghi?

Si assolutamente. Noi chiedevamo una risposta strutturale. Con Draghi c’erano stati finanziamenti straordinari alla sanità ma poi sono scomparsi e adesso ci troviamo in una situazione di difficoltà palpabile: abbiamo carenza di organici enorme, e alla regione chiedevamo, anche durante la manifestazione del 29 novembre e altre iniziative, assunzioni e risorse le persone anziane, disabili, alle rette degli asili nido.

Cosa vi hanno risposto?

Il solito loro mantra: “Non mettiamo mano alle tasche dei Veneti”. Inoltre, considerando la demografia del Veneto questi temi sono sempre più urgenti.

Quindi sostenete che non siano bastate le risorse erogate in emergenza Covid per sistemare strutturalmente il settore.

No purtroppo. Anzi, le crepe nel sistema, già presenti prima del Covid, sono emerse in maniera fortissima, dato che finita la crisi siamo tornati in una situazione peggiore del pre-Covid. Per esempio le liste di attesa si sono ancora più allungate. La regione dice che ne smaltisce l’80% ma sono liste Covid e non è stata attenta a un dato, cioè quanti hanno rinunciato alla visita o diagnostica oppure di quanti sono andati nel privato.

Avete registrato uno spostamento importante dalla sanità pubblica al privato?

Si, è in corso una privatizzazione strisciante, perché le persone non trovano una risposta in tempi utili nel pubblico. Ma anche il personale, sia medici che infermieri, è stanco, affaticato, ha vissuto degli anni pesantissimi e rischia di spostarsi verso il privato; questo sarebbe veramente deleterio per noi che pensiamo che la sanità debba essere pubblica e universale. Inoltre, il privato ha uno spazio di trattativa individuale sul salario che sul pubblico non c’è, e questo è un altro motivo per aumentare i salari. Inoltre, nel Def è prevista la possibilità di aumentare l’intramoenia, cioè le attività extra oltre l’orario di lavoro nel privato e non va bene.

Perché?

Il lavoratore sarà portato ad utilizzare molte di quelle ore extra di lavoro per avere maggiore reddito ma questo non sempre coincide con la qualità della vita e del lavoro di queste persone. È la stessa dinamica dello straordinario nel privato, una persona lavora di più per ottenere più reddito. Ma deve esserci un limite più stringente invece lo stanno ampliando.

Sul tema della sicurezza qual è la vostra situazione?

I dati sono veramente allucinanti. Il Veneto è la seconda regione per morti sul lavoro e aumentano le malattie professionali e infortuni. Quindi il tema è sicuramente aumentare l’attività ispettiva ma c’è un altro atto grave: è la recente modifica del codice degli appalti che prevede la possibilità di subappalti a cascata e senza controlli.

Perché è grave questa modifica?

Perché abbiamo visto, ed è un dato che si può misurare tranquillamente, che gli infortuni gravi e quelli mortali sono soprattutto negli appalti. Quindi quando sentiamo il racconto che serve agevolare i lavori pubblici, anche quelli legati al Pnrr, stiamo tutti molto attenti, perché dall’altra parte del piatto esiste il rischio di creare una situazione dove le persone rischiano la propria salute.

Arriviamo alle politiche industriali, il Veneto è una regione attrattiva per tante imprese, ma come è gestita in tal senso, può fare un bilancio?

Noi chiediamo delle politiche industriali vere, fatte di investimenti e condivise con il mondo del lavoro. Nella nostra regione, ma come accade in tutta Italia, si sono verificati dei casi veramente eclatanti. Ci sono state aziende che hanno ottenuto sovvenzioni pubbliche per investimenti, assunzioni, attività di formazione o riqualificazione del personale; risorse pubbliche ingenti, date qualche anno fa non un secolo. Adesso queste stesse aziende decidono di lasciare il territorio, licenziare le persone e non pagare scotto per queste scelte.

Come si potrebbe evitare questo gioco?

Noi chiediamo che quando lo Stato eroga le sovvenzioni ci metta però delle condizionalità. Non arrivo a parlarle di responsabilità sociale, che sarebbe un bellissimo discorso, qui cerchiamo e chiediamo per adesso di attuare politiche industriali di buon senso.

Può fare qualche esempio di aziende del genere?

La Safilo è il caso più eclatante. I lavoratori sono stati in cassa integrazione, hanno perso reddito, e lo Stato lo ha sovvenzionato. Inoltre sono state erogate risorse pubbliche al Fondo nuove competenze per formare i lavoratori, dato che doveva esserci un polo di eccellenza. Adesso dicono che quello stabilimento non è più strategico e se ne vanno. Noi dobbiamo chiedere a quell’azienda di restituire ai lavoratori e al territorio quello che ha ricevuto dalle risorse di tutti e non andarsene come se nulla fosse.

Quindi la condizionalità che vorreste introdurre sarebbe la restituzione del maltolto nel caso in cui una azienda, una volta incassati i nostri soldi pubblici, si ritirasse subito dal territorio?

Esattamente.

E magari aggiungere anche il pagamento di una penale?

Senza dubbio.

Come già accade nel privato nei confronti del pubblico in fondo in fondo.

Si esatto, e guardi che quello che chiediamo è normalissimo nel resto d’Europa, dove non è così semplice andarsene dal territorio con in mano i soldi pubblici. Da noi invece è una passeggiata. Purtroppo abbiamo esperienze di grandi multinazionali che hanno depredato i nostri marchi e poi se ne sono andate subito. Quindi manteniamo alta l’attenzione. Ad esempio, in questi giorni ci saranno nuove sovvenzioni della Regione rispetto alle assunzioni, che però dovrebbero essere condizionate a un lavoro stabile e di qualità, altrimenti continuiamo a dare soldi senza verificare mai cosa succede ai lavoratori che entrano fittiziamente in azienda ma solo per qualche mese.

Emanuele Ghiani

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Redattore de Il diario del lavoro.

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