Nemico robot: forse, la definizione è prematura. Gli allarmi sul deserto che l’automazione – e ancor più la digitalizzazione di funzioni e servizi – si accinge a fare sui luoghi di lavoro, cancellando milioni e milioni di posti, fino al 50 per cento dell’occupazione attuale, si moltiplicano. Ed è vero che decine e decine di occupazioni che, ancora pochi anni fa, sembravano onnipresenti (dall’operaio di linea alla dattilografa al cassiere) oggi non esistono più o sono radicalmente mutate. Non è la prima volta: ogni rivoluzione tecnologica ha portato a risultati simili, ma lo stesso progresso ha creato nuovi posti di lavoro. Questa volta sarà differente? Gli economisti sono, in proposito divisi fra chi pensa che lo svuotamento del lavoro sia inevitabile e chi, invece, è convinto che nasceranno nuove occupazioni, che ancora non possiamo immaginare.
Nell’attesa che si materializzino i licenziamenti di massa figli dell’automazione, tuttavia, i dati invitano a qualche cautela: la disoccupazione semiuniversale, al momento, non è alle viste. Anche settori pesantemente digitalizzati mostrano una insospettata resistenza del lavoro umano. Per esempio, nelle banche, dove, pure, macchine e software sono dilagati a macchia d’olio, fino a diventare simbolo della digitalizzazione: perché tutti, quando visualizziamo una macchina che ha sostituito il lavoro umano pensiamo, anzitutto, al bancomat. E’ così?
In Italia, i dati non sembrerebbero lasciar spazio a dubbi. Dal 2000 il settore bancario ha espulso 67 mila lavoratori, assorbendone solo 17 mila. Soltanto nei primi sette mesi del 2017, sono stati tagliati più 17 mila addetti. Ma l’avanzata di macchine e software c’entra fino ad un certo punto. Cruciale è il riassetto di un settore in crisi. Buona parte dei tagli del 2017 è figlia delle ristrutturazioni di grandi banche come Unicredit, Intesa, Montepaschi, della chiusura e del consolidamento di istituti più piccoli. Difficile dire quanto abbia influito la digitalizzazione da sola.
Lo possiamo però dire per un paese – gli Stati Uniti – dove queste crisi non ci sono state: zero.
Eppure, la digitalizzazione è stata massiccia: praticamente partendo da zero a metà degli anni ’90, negli ultimi venti anni, negli Usa sono stati installati 400 mila bancomat. Il rapporto più capillare e diffuso fra cliente e banca (incassare un assegno, depositare contante) è ormai gestito, quasi sempre, da una macchina. Ma, nello stesso periodo, i bancari non sono diminuiti. Sono leggermente aumentati, ad un tasso anche più veloce dell’occupazione in generale. Quello che è successo – spiega l’economista che ha studiato il fenomeno, James Bessen – è che prima del bancomat, una filiale di banca in città aveva bisogno, in media, di 21 addetti.
Con il bancomat, il numero degli addetti necessari è sceso a 13. Ma, con soli 13 addetti, il costo di una filiale è quasi dimezzato. E, se una filiale costa meno, conviene aprirne di più. Il risultato è che il numero di sportelli è aumentato e, con loro, anche il numero totale di addetti. Il fenomeno è irripetibile in Italia, dove, al contrario, le banche hanno già fatto indigestione di filiali e stanno facendo marcia indietro. Ed è dubbio che continui inalterato in America nei prossimi anni.
Il ministero del Lavoro prevede una flessione dell’8 per cento – alla fine – per gli addetti del settore. Ma l’8 per cento, di fronte ad un incremento del 300 per cento dei bancomat, non sembra una percentuale da catastrofe. E la prossima volta che andate in banca guardatevi intorno e confrontate quello che vedete con dieci anni fa: dove c’erano tre cassieri ne è rimasto uno, dove c’era un consulente ce ne sono tre. Per capire quale sarà, alla fine, la somma algebrica di questi mutamenti è ancora presto.
Maurizio Ricci