Il giudice del lavoro di Milano ha confermato il diritto di Ikea a licenziare Marica Ricutti, la dipendente dello stabilimento di Corsico che non ha rispettato i turni fissati dall’azienda per accudire il figlio disabile. Marco Beretta, segretario generale della Filcams-Cgil Milano intervistato dal Diario del lavoro, sottolinea però come nelle motivazioni della sentenza, il giudice abbia riscontrato le oggettive difficoltà della condizione lavorativa e familiare di Marica, e come la lavoratrice sia stata spinta a violare i turni, per far fronte a queste difficoltà. Per Beretta, Marica è la vittima di un sistema che ha visto un progressivo deterioramento dei rapporti tra Ikea, i sindacati e i lavoratori.
Beretta qual è lo stato di salute delle relazioni industriali dentro Ikea?
Le relazioni sindacali in Ikea, da qualche anno a questa parte, si sono molto deteriorate, rispetto a un passato in cui erano abbastanza buone. L’azienda ha cambiato pelle, e questo ha generato anche una trasformazione nei rapporti con le rappresentanze sindacali e con gli stessi lavoratori. Anche l’ultimo sofferto rinnovo del contratto aziendale ha visto tutta una serie di iniziative di protesta, perché Ikea voleva cambiare alcune condizioni di miglior favore. La strada imboccata dall’azienda è quella di un continuo contenimento dei costi sulla pelle dei lavoratori, e di una flessibilità imposta sempre più spinta.
Secondo lei a cosa è dovuto questo cambio di pelle?
C’è una dinamica che investe tutta la grande distribuzione, dove manca un contratto nazionale di riferimento, nella quale le aziende competono esclusivamente nel contenimento dei costi e nelle aperture selvagge. Per cui comprimono il costo del lavoro, fanno ricorso agli algoritmi per la gestione dell’orario, e la flessibilità portata ai massimi livelli impedisce, di fatto, la conciliazione di vita lavorativa e privata. In tutto questo c’è anche la beffa che l’azienda dimostra un’assoluta rigidità nell’andare incontro alle esigenze dei lavoratori.
Tuttavia Ikea non è la sola tra le grandi aziende a fare uso di algoritmi per la pianificazione dell’orario.
È vero, ma prima l’orario di lavoro era oggetto di una vera contrattazione, anche molto serrata, che cercava di tenere conto delle esigenze dei lavoratori e dell’azienda. Oggi questo confronto è ancora presente, ma fortemente depotenziato, perché l’algoritmo regna sovrano.
Dunque c’è un’oggettiva difficoltà per voi del sindacato a farvi strada all’interno di Ikea?
Si, perché nel momento in cui un i lavoratori si rivolgono alle rappresentanze sindacali l’azienda interrompe qualsiasi forma di dialogo, prediligendo, invece, il rapporto one-to-one, che però è tutto a vantaggio dell’azienda e indebolisce il lavoratore.
Si è arrivati anche a situazioni di mobbing?
Sinceramente questo non potrei dirlo.
Come si è arrivati al licenziamento di Marica?
Ci sono stati più incontri con l’azienda nel corso dei quali Marica ha manifestata le proprie difficoltà nell’accudire il figlio disabile. Ha fatto ricorso, come suo diritto, alla legge 104, ma anche in questo modo non aveva la possibilità di perdersi cura al meglio del figlio. Preso atto della mancanza di apertura da parte dell’azienda, Marica ha deciso di ritornare al suo vecchio orario. Anche per le Rsu questa era l’unica soluzione possibile, visto lo stato delle cose. Stiamo parlando di una persona che era in Ikea da 17 anni, al terzo livello di inquadramento, e alla prima contestazione nella sua esperienza lavorativa: ciononostante, con le l’azienda ha usato il pugno duro.
Vi aspettavate questa sentenza?
Si, perché siamo ancora al primo grado, e perché il giudice del lavoro che confermato la sentenza è lo stesso che l’ha emessa. Sarebbe stato strano se avesse contraddetto le sue stesse parole. Tuttavia nelle motivazioni della sentenza ora si legge che nella compensazione delle spese la lavoratrice è stata spinta a violare i turni per esigenze legittime. Inoltre il giudice ha evidenziato le difficoltà oggettive di Marica, sia familiari che lavorative.
E ora come vi muoverete?
Partiremo proprio da questi ultimi elementi, anche perché quello che vogliamo far emergere è che ci sono molte altre lavoratrice nelle stesse condizioni di Marica, che invece di protestare abbandonano il lavoro. Purtroppo Marica è stata la vittima di questo sistema.
@tomnutarelli