di Aris Accornero – Professore emerito di Sociologia industriale all’Università di Roma – La Sapienza)
(L’Opinione)
L’Isae (Istituto di studi e analisi economica) ha presentato il 2 febbraio il consueto Rapporto Le previsioni per l’economia italiana, che dà conto dei risultati di una interessante e ampia inchiesta in merito ai canali di reclutamento e alle modalità d’impiego della mano d’opera a cui ricorrono gli imprenditori dopo il varo della legge n. 30 (la cosiddetta ‘riforma Biagi’) e del relativo decreto legislativo n. 276, sempre del 2003. Circa 6.200 imprese sono state interpellate nel mese di dicembre 2004 sul consuntivo 2004 e sulle previsioni 2005, mentre 5.800 erano state interpellate nel dicembre 2003 sulle previsioni di assunzione 2004. Il confronto fra le informazioni ottenute in queste due occasioni consente una prima valutazione sugli effetti delle misure che hanno drasticamente riformato il mercato del lavoro e il collocamento della mano d’opera.
Vediamo dapprima i canali di reclutamento, che per il 30% sono quelli formali e per il 70% quelli informali. Fra quelli formali il più usato restano le ex agenzie di lavoro interinale tipo Manpower e Adecco, cui nel 2004 si è rivolto il 22,8% delle imprese. Rispetto alle previsioni formulate alla fine del 2003 (il 18,4%), questo canale è stato dunque utilizzato in misura sensibilmente maggiore, e in esso le imprese ripongono notevoli speranze anche per l’anno prossimo.
Seguono a notevole distanza le agenzie private, oggi autorizzate a effettuare alla luce del sole un collocamento che ieri non era consentito: a loro si è rivolto il 5,3% delle imprese. Dal confronto con le previsioni emerge una notevole delusione, accompagnata – come i successivi soggetti – da qualche speranza per il 2005. Seguono a ruota le agenzie pubbliche, cioè i Centri per l’impiego, cui si è rivolto il 4,6% delle imprese; considerate le modeste aspettative, la delusione è stata poca. A distanza viene poi la somministrazione di mano d’opera a tempo indeterminato (il cosiddetto ‘staff leasing’), che è affidato alle stesse agenzie ex interinali, cui si è rivolto appena l’1,4% delle imprese; rispetto alle previsioni, questo canale ha dato notevoli delusioni. In coda con lo 0,9% sono i nuovi soggetti, cioè comuni, scuole, università, enti bilaterali e associazioni di rappresentanza, verso i quali c’è moltissima delusione.
Due notazioni. La prima è l’indiscutibile riconferma del successo realizzato dal lavoro interinale, le cui agenzie (salvo marginali eccezioni) sono ormai un canale dominante, assestato e affidabile. L’interinale è una via di accesso e una modalità d’impiego che alle imprese costa più del lavoro normale, ma che consente loro di tamponare le falle impreviste e di mettere ‘in prova’ futuri dipendenti; infatti circa un quarto viene assunto in via stabile. (Si veda la ricerca di G. Altieri e C. Oteri, ‘Il lavoro interinale come sistema. Bilancio di un quinquennio’, Roma, Ediesse, 2004). Come si ricorderà, il lavoro interinale è stato introdotto in Italia da una legge che, nell’ambito del ‘pacchetto Treu’, contempera bene le esigenze degli imprenditori e dei lavoratori. Il suo successo spicca sia se si tien conto delle forti opposizioni incontrate all’inizio (che riemergono quando qualcuno sfascia le vetrine di un’agenzia); sia se si considerano le anomalie rispetto agli altri paesi (attestate anche dalla quota di assunzioni). Questi risultati si devono soprattutto a una circostanza: nonostante talune lagnanze delle imprese, l’interinale garantisce la selezione del personale che il vecchio collocamento pubblico non aveva mai fatto; e che non credo faccia ancora in modo diffuso e soddisfacente.
La seconda notazione è questa. Sette imprese su dieci reclutano la mano d’opera attraverso canali informali. E non c’è finora nessun indizio che questa situazione stia venendo migliorata dalla ‘riforma Biagi’. In ciò, l’inchiesta dell’Isae non fa che confermare i dati dell’ultima indagine Excelsior, condotta presso ben 100 mila imprese private ed enti pubblici: nel 2003, oltre il 63% delle assunzioni è stato effettuato attraverso conoscenze dirette o segnalazioni varie. Ciò dà un’idea di polverizzazione, di atomizzazione del mercato del lavoro, a cui contribuiscono l’elevata e crescente selettività della domanda e anche dell’offerta di lavoro, così come l’elevata e crescente nati-mortalità delle imprese e dei mestieri stessi. Si dirà: questa è la solita Italia. No, perché questo succede anche negli Stati Uniti, dove il 53% delle assunzioni avviene per canali informali, fra i quali ci sono ovviamente i cartelli ‘Help wanted’, ma soprattutto c’è il ‘passaparola’ delle imprese che si rivolgono ai loro stessi dipendenti…