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Home - Approfondimenti - Interviste - Buonerba (Cisl), ripensare il sistema della rappresentanza e il modello contrattuale per uscire dalla crisi

Buonerba (Cisl), ripensare il sistema della rappresentanza e il modello contrattuale per uscire dalla crisi

di Tommaso Nutarelli
23 Aprile 2020
in Interviste
Buonerba (Cisl), ripensare il sistema della rappresentanza e il modello contrattuale per uscire dalla crisi

Una crisi mostruosa, che nessuno poteva aspettarsi. Così Michele Buonerba, segretario generale della Cisl Alto Adige, definisce la situazione attuale, causata dal coronavirus. Per uscire da questo pantano, spiega, si dovrà ripensare il modello della rappresentanza e della contrattazione decentrandola nei territori. Solo in questo modo sarà possibile evitare che aumentino ulteriormente le già enormi disuguaglianze economiche e sociali.

 

Buonerba com’è la situazione in Alto-Adige in vista della ripresa?

Stiamo ricevendo molte pressioni per riaprire non solo da parte delle aziende ma anche dagli stessi lavoratori. Il costo della vita nel territorio è molto alto e ad oggi nessuno ha ricevuto ancora nulla dagli ammortizzatori sociali.  Purtroppo, e lo dico con rammarico, nel 2016 abbiamo costituito un fondo di solidarietà bilaterale per tutti i lavoratori con l’esclusione dei dipendenti del settore artigiano che hanno il loro fondo nazionale. Il Governo ha previsto un finanziamento straordinario per il nostro fondo, ma purtroppo non possiamo ancora ricevere le domande per un DPCM “Cura Italia”. Inoltre ci sono da superare alcuni problemi di natura procedurale e pertanto rischiamo di essere gli unici che, assieme agli amici del Trentino, dopo aver costituito il fondo per tutti i lavoratori del territorio, potrebbero pagare per ultimi. Purtroppo la situazione potrebbe divenire problematica sia per l’alto numero di richieste che per gli altissimi costi di mutui e affitti che non hanno paragoni con il resto del paese fatta eccezione per le metropoli.  In questa situazione tutti gli stagionali che non avevano un rapporto di lavoro nel periodo intercorrente dal 23 febbraio al 17 marzo scorso, hanno solo la copertura dei 600 euro dello stato, che dovrebbero diventare 800 nel mese di aprile. Si tratta di una cifra con la quale in Alto Adige, così come in altre zone del Nord, non ci si paga neanche l’affitto. Ci sono poi altre fattispecie di lavoratori, tra i quali i numerosi apprendisti di primo livello, che non hanno nessuna copertura. Per questi stiamo trattando con la Giunta Provinciale un reddito di base temporaneo per il quale abbiamo già definito un importo, ma la prossima settimana dovremo chiudere definitivamente per i criteri di accesso.  Ci troviamo davanti ha una crisi mostruosa, assolutamente imprevedibile, ma dalla quale non potremo uscire con gli stessi metodi del passato. Gli ammortizzatori sociali servono a tamponare l’emergenza, ma poi servirà obiettivamente un nuovo modello di rappresentanza e anche contrattuale.

Su cosa si dovrà impostare la ripresa?

Sono i territori e non lo stato ad attrarre gli investimenti e a permettere di redistribuire il reddito prodotto anche attraverso il welfare integrativo. Per questo stiamo ragionando, anche con gli imprenditori, di sottoscrivere degli accordi interconfederali territoriali in diverse materie. Abbiamo già iniziato con quelli sulla sicurezza per la ripresa nelle aziende ove questo sarà permesso e sarà possibile. Proseguiremo con il lavoro agile che nella legge del 2017 garantisce alcune tutele, ma che prevede che il patto sia individuale tra il lavoratore e l’impresa. In un contesto nel quale l’offerta di lavoro scenderà a fronte di un aumento della domanda, il rischio che in molti possano accettare condizioni al limite dello sfruttamento è molto alto. In materia di strumenti di sostegno al reddito, grazie ad una specifica delega ottenuta dallo Stato, stiamo per concludere un accordo tra tutte le parti sociali per aumentare di almeno 3 mesi la durata della NASPI e per aumentare l’importo mensile della CIG.  Nel 2015, abbiamo costituito il fondo territoriale di solidarietà territoriale che verrà finanziato con risorse della Provincia Autonoma proprio per coprire queste integrazioni ai sussidi nazionali. Come abbiamo visto di fronte a questa crisi le risorse accantonate negli anni non sono state sufficienti che a coprire qualche settimana. Lo stesso vale per il fondi nazionali dell’artigianato e dei somministrati ai quali mancano già circa 50 milioni per il primo e 20 per il secondo. Stiamo anche lavorando per ottenere che i fondi interprofessionali siano territoriali e intercategoriali. La formazione continua sarà un elemento strategico per la riqualificazione dei lavoratori che perderanno il lavoro al termine di questa crisi. Dopo aver costituito il fondo di previdenza complementare regionale (premiato negli ultimi 5 anni a livello europeo come il miglior fondo italiano), stiamo continuando il lavoro sulla sanità integrativa territoriale e alla costituzione di un fondo regionale integrativo per la non-autosufficienza.

Per stabilire quali aziende potevano continuare a operare si è scelto come criterio i codici Ateco. Come valuta questa decisione?

I codici ATECO sono stanti pensati per le statiche dell’Istat e a riferimento per la definizione del premio Inail Averli scelti per la definizione di chi poteva aprire e chi no è stato un gravissimo errore vista la confusione che si è generata. Alle prefetture, come tra l’altro avevamo ampiamente previsto, sono arrivate oltre centomila richieste di apertura. Questi codici sono innanzitutto datati perché risalgono al 2007, ma poi sono anche quasi 600 e molte aziende ne hanno fino a 7 per una stessa unità produttiva. Infine, in un contesto nel quale i cicli produttivi variano ad una velocità sempre maggiore e sono trasversali alle categorie tradizionali, l’aggiornamento dovrebbe essere costante sia per la qualità della statistica, che per la corretta attribuzione della tariffa Inail Sarebbe stato molto meglio definire le filiere produttive che avrebbero dovuto lavorare ed escludere tutte le altre. Purtroppo, a fronte di questa incertezza, i lavoratori che sono spesso la parte più debole del sistema economico, sono stati costretti a rischiare il contagio anche per la carenza incredibile di ispettori. Anche in questo caso le assunzioni sono bloccate al 2007 e i controlli sono stati demandati alle forze dell’ordine con l’evidente carenza di professionalità specifica.

Bisognerà ripensare anche il sistema della rappresentanza e delle relazioni industriali?

Assolutamente sì. Il sistema della rappresentanza non dovrebbe più essere più incentrato sulle attuali categorie nazionali, ma dovrebbe essere ripensato nel suo insieme. Sarebbe importante rivedere il ruolo del contratto nazionale al quale dovrebbe essere attribuito il compito di definire e aggiornare il rapporto di lavoro. Per ottenere un risultato di questo genere oggi ne abbiamo troppi per responsabilità nostre, ma soprattutto per l’eccessiva frammentazione della parte datoriale. Un lusso che non ci possiamo più permettere anche perché la Banca d’Italia ha dimostrato come i salari reali siano rimasti al tempo della lira. Oggi dobbiamo usare la contrattazione per valorizzare il lavoro nella sua definizione più lata e noi parliamo ancora troppo spesso di posti di lavoro in futuro che è già presente nel quale le competenze mantenute nel tempo faranno sempre più la differenza tra chi rimarrà ancorato ad un’occupazione e chi sarà costretto ad accettare quello che trova soprattutto nel terziario a basso valore aggiunto che è l’unico ambito nel quale è cresciuta l’occupazione dopo la crisi del 2008. In un momento di grande disoccupazione come quello che ci aspetta a breve, i lavoratori saranno più facilmente indotti  ad accettare ogni condizione. Questo potrebbe spingere le aziende ad applicare i cosiddetti contratti pirata, che ormai sono il triplo di quelli firmati da parti sociali rappresentative. Il risultato è evidente: minore salario e minori tutele. Ormai un grande accordo interconfederale, da recepire eventualmente anche per legge, non è più rinviabile e deve riguardare tutti e quindi anche per chi rappresenta l’impresa. Il modello contrattuale a questo punto dovrebbe decentrare il suo baricentro verso territorio con una contrattazione sempre più interconfederale a questo livello. Se è l’ecosistema territoriale ad attirare gli investimenti, allo stesso tempo non possiamo pensare che per la redistribuzione del reddito anche attraverso il welfare integrativo, possa avvenire ad un altro livello. Sarebbe una grande occasione anche per le regioni meridionali nelle quali è evidente che il tasso di evasione dalla contrattazione nazionale è molto elevato.

Quali conseguenze porterà questa crisi che lei ha definito mostruosa?

Il rischio concreto è di avere una disoccupazione di massa, in un contesto nel quale il tasso di occupazione, soprattutto femminile, è molto lontano dagli obiettivi posti dall’UE. Ci troviamo davanti a una crisi mostruosa che ha colto tutti di sorpresa, ma che stiamo affrontando con gli strumenti del passato. Viviamo in un paese che da almeno 30 non è sostanzialmente governato, nel quale non si seleziona la classe dirigente e nel quale non è stata implementata nessuna riforma istituzionale attraverso la quale poter affrontare con successo le sfide che il XXI secolo ci ha già posto e che (non) abbiamo affrontato con gli strumenti del Novecento. L’improvvisazione alla quale abbiamo assistito in queste settimane dell’emergenza Covid-19 è la cartina di tornasole di questa riflessione. Da un punto di vista sanitario il virus colpisce tutti indistintamente, ma a livello sociale aumenterà sia la povertà relativa che quella assoluta. Verranno al pettine tutti i nodi irrisolti degli ultimi 30 anni e il conto lo pagheranno i più deboli: soprattutto i giovani meno competitivi sul mercato del lavoro che emergerà dalle macerie di questa crisi che avrà dimensioni enormi, ma difficilmente quantificabile oggi. L’aumento del debito pubblico che si preannuncia elevatissimo, colpirà chi si vedrà tagliare il welfare pubblico e arricchirà ancora di più chi acquisterà i titolo di stato. In un contesto nel quale le piccole imprese rischiano una chiusura di massa oltre a quanto non già riscontrato negli ultimi anni ad esempio nell’ambito dell’artigianato, l futuro prossimo si preannuncia funesto. Per questo il sindacato è chiamato a dare una risposta al passo con i tempi.

Tommaso Nutarelli

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Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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