E’ finita la concertazione, ma non è detto che non torni in futuro. Comunque il sindacato non è finito, resta un grande motore della società, che può assolvere i nuovi compiti che gli vengono proposti. Deve però ripensare i suoi diversi mestieri e trovare una sintesi tra di loro. Deve assistere e offrire servizi alle persone, deve aiutare a conciliare tempo di vita e tempo di lavoro, deve riprendere la contrattazione delle condizioni di lavoro per ricostituire la funzionalità del lavoro nella società. Mimmo Carrieri, che insegna sociologia economica alla Sapienza di Roma, pensa che ci siano le premesse per una ripresa del ruolo del sindacato.
Carrieri, è finita davvero la concertazione?
Sembra sia definitivamente tramontata. E non è auspicabile, anche se qualcuno pensa il contrario. Ma penso anche che ci sia una ciclicità nei rapporti tra sindacati e istituzioni. I sindacati in alcuni momenti della loro storia sono stati attenti all’azione nei luoghi di lavoro, in altre hanno avuto una vocazione forte a intervenire su materie pubbliche.
Un ricorso discontinuo alla concertazione?
Sì, a seconda dei momenti. In una lunga fase la concertazione è stata importante. Ora viene messa in discussione. È poco utilizzata. Per volontà dei governi, che preferiscono altre modalità di decisione, per lo più unilaterali.
In queste diverse fasi è cambiata l’azione del sindacato?
Quando c’è stata l’esplosione della concertazione, che è diventata una vera ideologia, questa è stata un surrogato di altre attività sindacali. Come se il ricorso alla concertazione compensasse l’attività in altre sfere di azione. In pratica, c’è stato un allentamento della contrattazione, delle relazioni industriali. Come se un adattamento pigro al rapporto con la politica salvasse il sindacato. Adesso, comunque, quel salvagente non c’è più.
Sparito per sempre?
Bisogna sempre pensare in un’ottica di medio e lungo periodo, nella quale è possibile che il sindacato riprenda l’interlocuzione con le istituzioni. Che è importante perché serve a rendere universali alcuni diritti. E tanto più questa universalizzazione è importante in momenti come l’attuale, nei quali il mondo del lavoro è sempre più frazionato, il che richiederebbe semmai l’estensione a tutti di determinati diritti. Ma per ora il sindacato deve riposizionarsi facendo altre cose.
Quali cose?
Alcune le fa già. Mi riferisco alle attività di assistenza e servizi alle persone, un pezzo significativo dell’azione organizzativa, che serve anche all’allargamento degli iscritti. E del resto da queste attività il sindacato riceve anche parte importante delle sue entrate. Poi ci sono altre attività, che il sindacato svolge in maniera più frammentata e che il sindacato dovrebbe recuperare.
Attività di che genere?
Quelle che svolge nei luoghi di lavoro per governare le condizioni di lavoro, ma anche fatti esterni alla prestazione del lavoro. Mi riferisco all’impegno per la conciliazione tra il tempo di vita e il tempo di lavoro, per la fruizione di alcuni diritti, sempre con l’obiettivo del miglioramento della qualità della vita.
Attività contrattuali?
Tutto è contrattazione. Si contrattano le forme di welfare aziendale, ma anche la realtà di servizi locali e nel territorio. Queste cose il sindacato le fa già, ma possono essere potenziate e interrelate a quelle condotte in azienda. La contrattazione aziendale in questi anni è stata depauperata, adesso può riprendere forza, intensificarsi con questi altri obiettivi.
Questa azione consentirebbe di allargare anche il proprio bacino di iscritti?
Questo deve essere alla fine l’obiettivo del sindacato, andando a pescare i propri interlocutori tra chi non lavora nelle aziende classiche, per eliminare le disparità esistenti.
Questo deve essere il mestiere del sindacato?
Uno dei mestieri. Io credo che è forte il sindacato che è in grado di svolgere più mestieri. E il sindacato italiano, come gli altri del resto, deve attrezzarsi per dare delle risposte a chi sta per entrare nel mondo del lavoro e a chi ci è già entrato, ma anche a chi nel territorio richiede la fruizione di una serie di diritti, trovando le interdipendenze tra queste due funzioni. Il sindacato deve ripensare i suoi mestieri e trovare una sintesi tra di loro.
Non è un’azione facile.
Tutt’altro e per questo il sindacato deve dotarsi delle necessarie tecnicità. Il sindacato deve saper animare come sempre idealità, passioni, identità collettive, ma anche avere precisa idea dello spazio del lavoro nella società contemporanea. In questa società postfordista deve saper costruire il cemento, la visione del lavoro, oggi così frantumato. Deve saper esprimere una visione della funzionalità del lavoro nella società. Perché questa è stata la maggiore carenza del sindacato in questi anni.
Cgil, Cisl e Uil ci riusciranno?
I sindacati sono grandi potenze organizzative. Noi siamo influenzati dalle polemiche, ma i sindacati sono un grande motore, hanno grandi mezzi. Vi lavorano da 50 a 80mila persone a tempo pieno, e sono 250mila i delegati sui luoghi di lavoro. Numeri importanti, un esercito di presenza democratica capillare che non ha uguali. Questo sindacato, animato da una cultura e una consapevolezza ridisegnata, è in grado di produrre risultati all’altezza di queste nuove sfide.
C’è però una carenza evidente nei gruppi dirigenti, comune a tutto il paese, ma ciò nonostante reale.
Importante è l’apparato. Certo, servono anche leader forti e autorevoli e al sindacato, che può contare sul coinvolgimento di tante potenzialità, manca forse questa marcia in più, la qualità carismatica del leader, che non si inventa, ma sarebbe auspicabile.
Massimo Mascini