Un provvedimento che ridefinisce “la regolamentazione dei licenziamenti”, e non “la introduzione di una fattispecie contrattuale definita a tutele crescenti ancorché a tempo indeterminato”. Per questa ragione preliminare, “che traduce in una secca monetizzazione il diritto alla tutela in caso di licenziamento senza giusta causa, oggettivo o soggettivo, individuale e collettivo”, la Cgil valuta “sbagliato ed inemendabile il testo di decreto presentato dal Consiglio dei Ministri”.
E’ quanto si legge nei testi consegnati dal sindacato di corso d’Italia in audizione alla commissione Lavoro del Senato sul decreto “recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti” e su quello relativo al “riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati”, in attuazione dell Jobs Act.
Mentre, per quanto riguarda il provvedimento di riordino degli ammortizzatori sociali, “la Cgil, che ha sempre sostenuto la necessità di una riforma universale degli ammortizzatori sociali, ritiene che il decreto complessivamente comunque non assolva alla funzione di rendere le misure veramente universali, così come da tempo pronunciato e sostenuto da parte del Governo. In particolare per i lavoratori parasubordinati si rimarcano notevoli differenze, sia per requisiti che per durata, rispetto ai lavoratori subordinati”.
In più, sottolinea la Cgil, “tale provvedimento, ancorché combinato con la decontribuzione prevista nella legge di Stabilità, non pare sufficiente a determinare quella crescita occupazionale di cui avremmo bisogno, in ragione di un’assenza sostanziale di politiche di sostegno agli investimenti, alla domanda aggregata e ad una ripresa dell’intervento pubblico in economia volto a stimolare l’innovazione diffusa dei processi produttivi, oltre che di politica industriale”.
Nella sua memoria sul contratto a tutele crescenti,inoltre, il sindacato sostiene che “se la necessità di una liberalizzazione de facto dei licenziamenti era giustificata nelle intenzioni dalla volontà di determinare un aumento dell’occupazione, il provvedimento in esame interviene al massimo incentivando il turn over e non già la stabilità dei rapporti di lavoro e se non corroborato da una ripresa economica moltiplicherà la quantità di esclusi”.
Così come, sempre per quanto riguarda lo stesso decreto, “risulta sbagliata e incomprensibile la limitazione del ruolo del giudice nella ponderazione della sproporzione in caso di verifica nei licenziamenti disciplinari di insussistenza del fatto materiale, la cancellazione del cd “rito Fornero” introdotto dalla legge 92/12, e l’assimilazione di trattamento tra licenziamenti legittimi e illegittimi a prescindere che siano oggettivi o soggettivi, nella nuova accezione disciplinari o economici”. Infine, nel caso dei licenziamenti collettivi, “il divieto di intimare il reintegro in caso di violazione dei criteri di scelta ai sensi della legge 223/91, mina la portata stessa della funzione di tutela su parametri che non determinino discrezionalità e discriminazioni, coerentemente con gli orientamenti comunitari”.

























