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Il Diario del Lavoro

Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali

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Home - Seminari - Che sindacato per il nostro futuro?

Che sindacato per il nostro futuro?

11 Novembre 2016
in Seminari

Gaetano Sateriale Responsabile del piano del lavoro della Cgil

Il responsabile del Piano per il Lavoro della Cgil, Gaetano Staeriale per introdurre il tema del sindacato 5.0 ha usato due metafore. La prima prendendo in considerazione la formula di Newton sulla legge di gravitazione universale: tutti i corpi attraggono altri corpi in maniera proporzionale alla loro massa e inversamente proporzionale alla loro distanza. Applicato al sindacato questa legge, secondo Sateriale, ci dice che il sindacato ha una grande massa e quindi una grande potenza attrattiva ma a mano amano che si allontana dai suoi rappresentati perde questa stessa capacità. La seconda metafora usata dal sindacalista della Cgil, riguarda la percezione della velocità del treno da parte di chi viaggia sopra e di chi invece l’osserva passare. In sintesi, la velocità del treno dipende dall’osservatore. A partire da questa metafora, Sateriale si chiede, quindi, dove va il lavoro e dove va la politica, l’economia, dove va l’industria non solo nazionale ma anche internazionale  In passato il lavoro si basava su una figura intermedia che non aveva conoscenza tecniche elevatissime ma su cui poggiava l’attività produttiva dell’industria italiana. Oggi, invece, possiamo osservare una polarizzazione. La predominanza dell’operaio massa si è ridotta a vantaggio da un lato di un lavoro più povero di conoscenze e di capacità tecniche e dall’altro un lavoro molto più ricco di conoscenze e di capacità tecniche. Questo vale per tutti i settori. Il lavoro si è ristrutturato, non è tutto dentro i luoghi di lavoro. Anche fuori dai luoghi di lavoro c’è molto lavoro dipendente.

Dal punto di vista economico, Sateriale afferma l’industria 4.0 ha un ruolo importante e su cui sicuramente siamo in ritardo nel nostro paese ma che, allo stesso tempo, non può essere motore dell’economia italiana ed europea. La tesi del responsabile del Piano per il Lavoro della Cgil, sostiene la teoria dello stimolo alla domanda aggregata come affermavano i classici. La domanda stimola l’offerta e in questo modo può dare spazio all’industria 4.0, non il contrario.

Dal punto di vista politico secondo Sateriale, si è verificato da parte dei sindacati e dei partiti uno spostamento dalla società alle istituzioni. Dall’ascolto e dal dialogo con la società si è passati ad un uso mediatico del dialogo. La domanda che si pone Sateriale è quindi se i bisogni sociali sono più o meno rappresentati. Quel che è certo è che non è possibile misurare la rappresentanza dei bisogni sociali a partire dal successo mediatico del leader. La velocità, la capacità retorica del leader non determina quel processo di spostamento dalla società alle istituzioni. Al contrario, bisognerebbe sovrapporre la domanda sociale e quella economica. I bisogni tra l’altro sono cambiati, sono molto più mescolati che in passato. La debolezza relativa sindacale legata alla crisi della rappresentanza sindacale è dovuta all’innovazione e alla crisi economica. L’esternalità della politica rispetto ai bisogni sociali ha provocato, infatti, un vuoto che prima o poi qualcuno doveva occupare: il populismo non risponde ai bisogni ma lancia un messaggio ai bisogni. Quindi è un vuoto piuttosto pericoloso. Qui c’è anche una provocazione da parte di Sateriale: “Io non credo che non possiamo dal welfare contrattuale dare risposta ai bisogni sociali cioè al welfare generale. La contrattazione è importante ma non possiamo sostituirla al welfare generale”. Su questo punto, ha continuato Sateriale, è importante sottolineare che l’interlocutore dei sindacati non può essere solo il datore di lavoro. Perché l’interlocuzione esclusiva con il datore di lavoro è sproporzionata ai bisogni. Un po’per colpa nostra un po’ per i datori di lavoro, ha sottolineato il sindacalista della Cgil. Non sono mai stati un soggetto di rappresentanza generale quindi bisognerebbe mescolarsi di più con i soggetti presenti nel territorio. Per riempire questo vuoto della rappresentanza Sateriale descrive tre diversi modelli di sindacato: quello all’americana che si è trasformato in lobby di interesse, ma non è nel dna nel sindacato italiano; all’europea che ha scomposto la rappresentanza in piccole masse cercando di proteggersi; oppure il modello all’italiana che significa che il sindacato cerca ancora di aumentare la propria massa e quindi la propria capacità di attrarre le masse e di soddisfare i bisogni sociali. Quindi secondo Sateriale si dovrebbe scommettere su un sindacato che possa investire non sul proprio mantenimento ma sulla sua capacità di rappresentare più gente, più soggetti sociali e del lavoro di quanto facesse prima. Un sindacato che in quale modo si presenta come novità. Secondo Sateriale, abbiamo distrutto un sistema ma non ne abbiamo costruito uno nuovo. L’esperienza più simile al modello che immagina il sindacalista della Cgil sono i consigli di zona dove il sindacato tenta di uscire dai luoghi di lavoro. Il sindacato 5.0, conclude Sateriale è un sindacato della comunità che fuoriesce dai luoghi di lavoro per non diminuire la propria massa.

Mimmo Carrieri Sociologo del lavoro Università La Sapienza

Il sociologo del lavoro dell’Universita La Sapienza, Mimmo Carrieri partendo dalle considerazioni di Sateriale prova a fare un passo indietro per individuare il problema del sindacato italiano in questa fase storica. I sindacati, secondo Carrieri, contano di meno sul piano sociale e sul piano dell’influenza. I due poli del sindacato, infatti, sono la membership e influenza  e in questo momento i sindacati sono afflitti da entrambe le dimensioni. Le ragioni sono almeno tre, secondo Carrieri. Una mancanza di uno sguardo lungo e di visione del futuro: i sindacati non offrono più una prospettiva. L’organizzazione: il sindacato ha una grossa capacità di adattamento e poca capacità di innovazione. Questo riguarda anche gli aspetti strategici perché i sindacati tendono a ripetere anche gli stessi errori. Secondo Carrieri c’è una coazione a ripetere di tipo resistenziale ovvero i sindacati non si discostano dalle linee precedenti. Come affermava Carniti, enfatizza Carrieri, i sindacati dovrebbero osare un po’ di più. Infine, il terzo elemento di crisi del sindacato riguarda la dimensione locale. Le confederazioni fanno molte cose interessanti e innovative quello che manca è di valorizzarle e farne sistema. Dopo aver individuato questi nodi, Carrieri sottolinea che non bastano le strategie che tendono a rinviare le criticità. Una chiave di lettura è quella che cita Sateriale, secondo Carrieri, ma il problema è che lui ci fa delle proposte di un sindacato che fa policy nuove, mentre la forza del sindacato dipende dalla sua capacità di avere una visione del mondo e quindi una politics significativa cioè quella capacità di non limitarsi a difendere il presente ma prospettando al mondo del lavoro un qualche futuro diverso e migliore rispetto a quello attuale. Nelle chiavi di lettura classicamente riformiste, continua Carrieri, ovvero quelle che partono dalla domanda per sostenere l’offerta questa dimensione manca. Carrieri pensa che siano 4 le innovazioni necessarie. La prima: la capacità di interpretare il cambiamento industria 4.0, bisogni sociali, polarizzazioni. La seconda: l’accountability, ci vuole più trasparenza e capacità di stimolare la partecipazione e questo deve coinvolgere anche i dirigenti. Se il sindacato fa anche qualcos’altro rispetto ai contratti bisogna stimolare la partecipazione degli iscritti. Terza cosa: la rappresentanza. Quarta cosa: ci vuole un organizzazione rovesciata rispetto a quell’attuale che è complicata da mettere in pratica. Tutto questo per un modello di sindacato ben determinato. I sindacati forti, secondo il Professore della Sapienza, sono sindacati ibridi che si avallano di un bricolage di cose diverse. La forza del sindacato italiano sta nel fatto che rappresenta proprio un ibrido e che riesce ad essere multidimensionale. L’innovazione rispetto al passato riguarda la capacità di riuscire ad usare in maniera intelligente l’inclusività rispetto alla selettività. Come diceva Sateriale, le due dimensioni fondamentali sono la società e le istituzioni. Tutte e due sono praticate in modo ridotto e selettivo. Dalle istituzioni c’è un rischio di dipendenza dalle risorse finanziarie che provengono dal rapporto con il sistema politico e legislativo. Il sindacato, conclude Carrieri, non deve essere lobby ma un’azione a largo raggio che riguarda beni pubblici da promuovere e non solo beni organizzativi e questo riguarda anche la dimensione sociale. Non si può essere semplicemente movimento o comunità che si rivolge a chi ha già capacità di rappresentarsi, si può essere più inclusivi rivolgendosi a quelli più deboli. Ma sopra ogni cosa finisce Carrieri, bisogna mettere insieme le due cose, non una sola.

Alessandro Genovesi – Fillea Cgil

Il segretario generale di Fillea Cgil, Alessandro Genovesi, individua tre dimensioni problematiche del sindacato italiano. La prima riguarda la piena occupazione che non è più lo scenario di fondo su cui il sindacato agisce. La polarizzazione nel mondo del lavoro all’interno di una parzialità che è quella degli occupati: da un lato i lavoratori a forte capacità cognitiva e dall’altro lavoratori poveri. Quest’ultimi in questa condizione o perchè il loro lavoro è ancora più economico dell’automazione o perché non è sostituibile con l’automazione. Infine, la terza questione, secondo Genovesi è rappresentata dalla rottura, con la capacità politica di guidare i processi economici. Questi sono i tre nodi che interrogano la confederalità italiana e quindi la domanda di Genovesi è se “c’è un futuro per la confederalità non per il sindacato in sé”. Quindi il segretario della Fillea, individua due rischi per le confederazioni in questo scenario: la chiusura nel recinto identitario del mestiere, per cui i forti diventano più forti; il rischio di rispondere ai nuovi lavoratori o ai lavoratori poveri con fenomeni di neo-populismo che possono attraversare anche un corpo organizzato che è in crisi come il sindacato. Tutti i messaggi che vanno a destrutturate tutti i tentativi di modernizzazione del paese e dell’economia sono l’anticipazione del futuro. Un futuro che secondo Genovesi ha un sapore antico però. Genovesi non crede, infatti, che le esperienze innovative delle piccole confederazioni possono essere innalzate alla confederazione. Il sindacato conta di meno nelle aree metropolitane perchè nel territorio diffuso il sindacato intercetta ancora pezzi di paese arretrato. Non possiamo, sottolinea il sindacalista della Cgil, accarezzare il discorso di accogliare il populismoai fini del consenso. La soluzione non può essere accogliere la piattaforma sociale perché vuol dire, anche qui, fare alcune scelte che con il modello del sindacato italiano c’entra poco. Genovesi si riferisce sostanzialmente al modello legato alle categorie. Per esempio la Cgil ha avuto difficoltà a concepire la bilateralità come uno strumento di ricomposizione dei bisogni. La bilateralità ha la capacità di trasformare i bisogni in identità collettiva. Genovesi descrive, infatti, gli strumenti avanzati del sindacato degli edili. Le casse comuni degli edili e le scuole concepiscono la discontinuità del lavoro come possibilità e prevedono una forma di sostegno al reddito e di sostegno alla continuità cognitiva. In questo modello i

l rischio d’impresa, per essere chiari, sottolinea il segretario degli edili è dell’impresa. Il modello dell’Ape, l’anzianità pensionistica edile vuol dire che il lavoratore porterà con se la propria professionalità individuale anche se ha cambiato quaranta volte datore di lavoro. Questi strumenti generano tutela del reddito, tutela del capitale cognitivo ma soprattutto da una identità collettiva a chi è frantumato. Genovesi, poi, pone al centro il problema della democrazia perché anche un modello economico può funzionare ma non è detto che sia democratico. Il grande tema è il rapporto del sindacato con la politica: come riportare ad unità ciò che è frammentato perché nella frammentazione è venuta meno la partecipazione democratica che è il grande malato dell’occidente Quindi, per Genovesi anche il sindacato nell’interrogarsi si chiede non solo come essere portatore di interessi particolari ma secondo l’ispirazione antica della confederazioni si mette a disposizione del modello democratico. Perché non solo è giusto ma anche perché è solo da una democrazia partecipata che costruisce e differenzia che può nascere quella domanda democratica e partecipata di cui abbiamo bisogno. Oggi la domanda passa per uber, sottolinea ancora Genovesi, passa per la differenziazione individuale del consumo e di come la si percepisce. Da questo punto di vista il taglio che il sindacalista della Fillea ha dato al sindacato 5.0 è come si riposiziona la funzione del sindacato stando dentro il vero tema che mina la posizione dei corpi intermedi cioè una democrazia più povera rispetto al passato.

Paolo Pirani Uiltec-Uil

Il segretario generale dell Uiltec-Uil ha aperto il suo intervento citando Carniti e il concetto di parzialità del sindacato. Secondo Pirani non bisogna pensare al sindacato come un soggetto che copre lo spazio lasciato dalla politica. L’Emilia Romagna è stata la regione che ha inaugurato al punto di vista politico la dinamica del non voto – ha sostenuto Pirani. Ciò nonostante in Emilia Romagna come nel resto d’Italia il sindacato nelle sue fasi elettive ha mantenuto una buona rappresentanza. Le persone quando sono state chiamate a votare hanno partecipato sia nel pubblico impiego che nell’industria. Nel sindacato secondo Pirani, c’è un rapporto più diretto che convince di più rispetto al rapporto che si è venuto a determinare tra cittadino e rappresentanza politica per effetto di tante questioni. Detto questo, ha continuato Pirani,  anche la rappresentanza sindacale è a rischio. Il modello Coldiretti ha sottolineato Pirani, è un modello positivo. Era una tipica rappresentanza di lobby e di massa, eleggeva 50 deputati nel parlamento, faceva le leggi, rappresentava bene i propri associati e li rappresentava in modo orizzontale. Quando questo sistema è entrato in crisi, Coldiretti  ha avuto l’intelligenza di unire una rappresentanza politica agricola ad una verticalizzazione di rappresentanza molto più legata alla dimensione organizzativa e produttiva. In questo modo è riuscita a mantenere la rappresentanza che gli altri sindacati non hanno mantenuto. Il modello concertativo è entrato in crisi non solo perché abbiamo avuto dei governi che hanno rifiutato il confronto – ha continuato Pirani – ma anche perché mancano i presupposti della concertazione. Secondo Pirani, gli strumenti che ci hanno portato all’accordo del ’93 ossia il controllo dei salari non ci sono più perché la sovranità sulla moneta è passata ad altri livelli. E’ giusto avere il dialogo sociale e il confronto ma è un’altra questione. Il problema che abbiamo di fronte  secondo il sindacalista della Uiltec, è che in questi anni di concertazione è venuta a mancare una riflessione sul cambiamento del lavoro. Noi siamo rimasti ad una discussione attorno alle leggi sul lavoro e ai cambiamenti giuridici del lavoro ma l’approfondimento e la conoscenza di quelli che sono stati e sono i cambiamenti in essere nella prospettiva dell’industria 4.0  dell’organizzazione del lavoro sono insufficienti. Il sindacato è stato più spettatore che altro, ed oggi ci si pone il problema di rappresentare dei processi senza averli determinati. Oggi – sostiene Pirani – si sta allungando la filiera produttiva dalla manifattura alla logistica, ai servizi per la manifattura. Un cambiamento è in atto ma temo che solo poche imprese saranno in grado di fare questa operazione e quel fenomeno di polarizzazione tra lavori diciamo altamente professionali e quasi indipendenti e lavori poveri ai limiti dello schiavismo in qualche caso rischia di diffondersi. Ecco perché il sindacalista della Uiltec ha affermato che il sindacato attraverso lo strumento che gli è proprio ovvero la contrattazione debba riprendere la capacità di rappresentanza della trasformazione del lavoro in essere considerando l’opificio come un luogo del futuro non del passato. Il rischio che noi abbiamo è che anche se noi rappresentiamo le alte specializzazioni oggi ci poniamo rappresentare anche i lavoratori di Foodora. Noi – afferma Pirani dobbiamo recuperare una dimensione di contrattazione del lavoro capendo come sta cambiando il lavoro stesso, dall’altro lato c’è tutta questa tematica del welfare sia quello generale che quello contrattuale che deve diventare ancora di più un tema del sindacato su cui dobbiamo misurare ed esercitare la nostra rappresentanza.

Pierpaolo Baretta Sottosegretario all’Economia

Pare che il punto di partenza della riflessione di tutti sia che viviamo in un altro mondo, il punto che i sindacati che sono i figli migliori del vecchio mondo, del piccolo mondo antico – così ha esordito il sottosegretario all’Economia con un lungo passato nella Cisl. Il ragionamento di Carrieri, Baretta lo trova azzeccato: orizzonti ristretti, dominabili, una sorta di malinconia. Quindi il problema dello sguardo lungo, del linguaggio medio, delle categorie culturali ci fanno dire che nonostante gli sforzi che alcuni stanno facendo complessivamente come testimonianza collettiva i sindacati rappresentano al meglio il piccolo mondo antico che abbiamo alle spalle. Ora il problema – secondo Beretta – per il sindacato come per tutte le istituzioni è questa transizione. La domanda di fondo è se si può cambiare senza rotture, senza strappi. Come mai non succede tutto ciò. Da un lato in che misura è possibile produrre uno strappo in modo liberare energie anche nel percorso sindacale. Il passaggio dai consigli di fabbrica all’operaio medio di 3° livello fu uno strappo, una rottamazione del vecchio mondo. Questo fatto che il sindacato è il miglior rappresentante del piccolo mondo antico e procede nel tentativo di cambiamento senza strappi fa dire a Baretta che non ci sono dubbi sull’importanza strategica del sindacato ma non sulla sua insostituibilità. Può essere sostituito o annullato. Oggi nel mondo contemporaneo si può operare per la giustizia sociale e per i diritti non per forza attraverso il sindacato sia per le istituzioni sia per i movimenti sia per la sensibilità politica che matura. Il sindacato non ha sicuramente il primato della rappresentanza sociale. Il sindacato, invece – ha continuato il sottosegretario – nel suo comportamento si sente ancora l’unico grande mediatore della rappresentanza sociale. La seconda questione che tocca Baretta riguarda la rappresentanza. Baretta anche se da per vero il conceto di Gaetano Sateriale secondo cui più ci si  allontana dai rappresentati più si perde attrattività è convinto che più si rimane attaccati ad una rappresentanza storicamente consolidata e non si intravede altro, più si perde attrattività. Inoltre, nonostante la vocazione internazionalista, continua Baretta, il sindacato a partire da quello americano tutela interessi nazionali che è appunto un comportamento da vecchio mondo antico nella dimensione globale attuale. Un tema complicatissimo e serissimo ma da affrontare. Il sindacato dei marittimi è un modello che storicamente è stato un sindacato che organizzativamente era proiettato alla situazione internazionale. Bisogna pensare – sottolinea il sottosegretario – come si mette in discussione l’organizzazione interna del sindacato. Il sindacato italiano ha fatto la sua fortuna ad un certo punto della storia con le categorie merceologiche ma questo ha portato ad un ulteriore frantumazione. Anche i fondi pensione sono stati frantumati. Io penso – ha continuato Baretta – che la riflessione sindacale italiana ha sbagliato a non approfondire la riflessione sul sindacato dei cittadini. Era dunque un’intuizione secondo Baretta. L’accorpamento delle categorie sembra al sottosegretario più che altro un operazione di maquillage istituzionale piuttosto che un ripensamento sulla rappresentanza. Non c’è dubbio che c’è un problema di rapporto tra redistribuzione e accumulazione. L’approccio sindacale è un approccio redistributivo. Ma la questione di fondo – ha continuato il sottosegretario all’economia – è il meccanismo dell’accumulaizone, cioè non si riescono più a portare avanti logiche redistributive. Se si vuole fare un ragionamento bisogna tenere in considerazione il modello di sviluppo infatti, non è sufficiente attestarsi esclusivamente sulla logica redistributiva ma bisogna capire come si fa e si produce l’acculmulazione. Questo discorso non è assolutamente maturo nella discussione interna. Forse bisognerebbe contrattare le opportunità e non solo le disuguaglianze. In questo senno Baretta pensa alla questione del welfare aziendale. Oggi il salto logico è forse quello di contrattare le opportunità anche verso la rappresentanza. Ultima considerazione che Baretta ha messo in campo riguarda il rapporto persona-massa-popolo. Negli ultimi anni è scoppiato l’individuo, la persona nei meccanismi dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni interne del lavoro la dimensione individuale è esplosa e tendenzialmente il sindacato affida questi problemi agli uffici vertenze. Questo è un oggetto di contraddizione perché nel sindacato la dimensione collettiva esaurisce il concetto di identità. Credo che questo sia un tema fondamentale, difficile ma che va affrontato. Il concetto di massa è stato superato perché non risolve il problema dell’equilibrio nuovo tra la rappresentanza individuale nel lavoro e nella società e la dimensione popolare che implica una rappresentanza più ampia di quella segnata nei luoghi della produzione.

continua…

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