di Mario Vigna – Segretario generale Anqui
Ci sono volute le recenti vicende dell’Alitalia e della Fiat di Melfi, che seguivano quelle più lontane, anche se non meno gravi, degli autoferrotranvieri di Milano, con le loro drammatiche modalità di mobilitazione e di lotta, perché in Italia si riaprisse quel dibattito sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacale che aveva caratterizzato la parte finale della precedente legislatura, senza tuttavia che si riuscisse a promulgare una normativa giuridica al riguardo.
Per tanti lunghi anni i guasti e le iniquità che sono derivate ai diritti contrattuali dei quadri dal divorzio consentito dalla legge 190/85 tra diritti di rappresentanza e doveri di rappresentatività della categoria non sono riuscite ad attirare l’attenzione delle forze politiche e sociali del nostro Paese. Quella legge, infatti, proprio nel momento in cui provvedeva a sancire il riconoscimento giuridico della categoria, stabiliva che la normativa contrattuale che l’avrebbe riguardata avrebbe dovuto essere inserita all’interno dei contratti collettivi di lavoro nazionali ed aziendali.
Questa disposizione, insieme alla mancanza di coraggio e di lungimiranza del sistema delle imprese, ha consentito che i diritti di rappresentanza dei quadri fossero automaticamente acquisiti dalle organizzazioni sindacali che tradizionalmente stipulavano i contratti collettivi di lavoro, con la conseguente esclusione delle organizzazioni professionali dei quadri che, con la marcia dei quarantamila a Torino e con l’iniziativa per il riconoscimento giuridico della categoria, avevano dimostrato di possedere un livello di rappresentatività della categoria pressoché totale.
La ricerca sulla situazione giuridica e contrattuale della categoria dei quadri, presentata nei giorni scorsi dalla Confederazione unitaria quadri e di cui anche Il diario del lavoro ha dato notizia, documenta, senza possibilità di equivoci, come, dopo poco meno di 20 anni, la normativa contrattuale dei quadri, soprattutto nei settori industriali, sia a livello nazionale che aziendale, non si sia discostata dal mero recepimento nei contratti della, già di per se scarna, normativa giuridica.
La necessità di porre finalmente mano con determinazione ad una nuova definizione dei diritti di rappresentanza delle organizzazioni sindacali e professionali, superando definitivamente il criterio della rappresentatività presunta per affermare quello della rappresentatività certificata, non discende, quindi, solo dalle manifestazioni patologiche dei conflitti sociali che coinvolgono direttamente o emozionano l’opinione pubblica, ma risiede, e forse con più solide ragioni politiche e giuridiche, anche nelle distorsioni che si nascondono nel normale esercizio delle relazioni sindacali. Per quanto si riferisce, in particolare, alla categoria dei quadri, le responsabilità delle anomalie che si sono consolidate nell’esercizio dei loro diritti collettivi può essere ascritta a molti soggetti e non solamente all’ambiguità della norma giuridica che la riguarda. E’ a causa di ciò che per affrontare correttamente ed efficacemente questo problema non appare sufficiente la modifica della legge 190 per la cui realizzazione, comunque, l’Anqui, insieme alla Confederazione unitaria quadri a cui aderisce, è fortemente impegnata.
La definizione di una nuova normativa giuridica, che ridefinisca, oltre i diritti di rappresentanza della categoria, anche il nuovo profilo professionale ed il ruolo diverso che attualmente i quadri esercitano all’interno delle aziende, se non è accompagnata da una normativa delle relazioni sindacali diversa da quella che si è consolidata negli anni continuerà a risultare inefficace per l’attribuzione dei diritti di rappresentanza alle organizzazioni professionali rappresentative della categoria dei quadri. Al tempo stesso anche le organizzazioni dei quadri, se veramente vogliono cogliere il risultato di diventare protagoniste negoziali, hanno il dovere di fare un severo esame di coscienza sui limiti e sulle contraddizioni delle loro scelte e dei loro comportamenti trascorsi.
Per quanto riguarda il primo aspetto appare, ormai, ineludibile la formulazione di una normativa giuridica che, sulla base dei principi sanciti dal dettato costituzionale, attribuisca ai vari soggetti sindacali i diritti ed i doveri di rappresentanza sulla base di certificati requisiti di rappresentatività delle categorie i cui interessi si intendono tutelare. La storia recente delle relazione sindacali e dei rapporti sociali dimostra ampiamente come siano superati i presupposti di fatto attraverso i quali alle organizzazioni confederali e, in particolare modo, alle loro espressioni di categoria, è stata riconosciuta, presuntivamente, la rappresentanza generale di tutti i lavoratori dipendenti.
Neanche il, da più parti auspicato, ritorno al metodo della concertazione finalizzata, questa volta, ad affrontare i nodi della ripresa dello sviluppo e del recupero della competitività dei settori produttivi e, più in generale, nel sistema Paese, può giustificare il perpetuarsi del modello autoreferenziale attraverso il quale è stato giustificato il diritto al monopolio della rappresentanza sociale e contrattuale che, per quanto riguarda i quadri, ha prodotto risultati inefficaci e, per molti aspetti, addirittura iniqui.
Per le categorie rappresentative dei quadri, che aspirano ad esercitare direttamente un modello di relazioni sindacali basato sulla partecipazione e sulla collaborazione, il ritorno alla concertazione sociale rappresenta una scelta positiva per il Paese ed utile per il lavoro dipendente. Solo che questo metodo deve essere praticato nella esatta definizione dei ruoli di tutti i protagonisti e, soprattutto, deve tendere ad includere, e non ad escludere, l’insieme del mondo del lavoro dipendente attraverso le organizzazioni rappresentative dei diversi settori e di tutte le categorie.
Per quanto riguarda quello che le organizzazioni dei quadri dovranno mettere in campo per conquistarsi il loro spazio di protagonismo contrattuale, l’Anqui ha già provveduto ad assumere, nei suoi massimi organismi dirigenziali, alcune delle decisioni necessarie per dotarsi di un profilo più marcatamente contrattuale superando la tradizionale caratteristica di semplice organizzazione professionale. Tra le nuove iniziative che l’Anqui intende intraprendere in questo nuovo cammino, quella che appare di maggior rilievo, per l’impatto esterno che produce, è, senza dubbio, la decisione di presentare liste della propria organizzazione nelle elezioni delle Rsu in tutte le realtà aziendali in cui strutturalmente ed organizzativamente sarà possibile.
Questa decisione non rappresenta una novità assoluta in quanto, in via sperimentale e, peraltro, con ottimi risultati, alcune Associazioni aziendali che aderiscono all’Anqui hanno già partecipato, in alcune realtà aziendali particolarmente significative, alle elezioni delle Rsu. Ed è proprio l’esperienza svolta sul campo che ha consentito di evidenziare gli ostacoli e le difficoltà che vengono frapposte anche al semplice esercizio dei diritti di democrazia alla categoria dei quadri dagli accordi sindacali in vigore e dai regolamenti elettorali che vengono utilizzati.
Nella quasi totalità dei settori, infatti, non è possibile costituire specifici collegi elettorali dei quadri, in quanto gli accordi sindacali li mettono insieme agli impiegati, e, inoltre, la quota di 1/3, riservata alle organizzazioni firmatarie i contratti di lavoro per motivazioni politiche ormai ampiamente superate, limita ulteriormente lo spazio di presenza di altre organizzazioni che partecipano alle elezioni. E’ quindi auspicabile che all’interno della rivisitazione degli accordi del luglio 1993 si provveda anche a modificare le norme che riguardano la costituzione delle Rsu per renderle veramente democratiche.
Per le organizzazioni dei quadri recuperare il tempo perduto non sarà facile. Per l’affermazione delle ragioni dei quadri e delle loro organizzazioni a cui hanno continuato a dare fiducia si può, però, fare affidamento alla consapevolezza che esse si sposano completamente con quelle del Paese.