In Documentazione gli articoli del 20 marzo 2002 di Aris Accornero, Pier Paolo Baretta, Maurizio Castro, Carlo Dell’Aringa e Massimo Mascini.
Sono passati sette anni da quella terribile sera in cui uccisero Marco Biagi. Fu un colpo al cuore per tutti. Per i riformisti, perché perdettero il loro motore. Per i democratici perché Marco era profondamente democratico, teneva al confronto delle idee, credeva che dal dialogo potessero nascere scintille di intelligenza. Per il sindacato, perché le fratture all’interno del movimento dei lavoratori si acuirono con la sua scomparsa e non si sono mai ricomposte fino in fondo. Per le organizzazioni imprenditoriali che lui sapeva guidare verso sentieri di saggezza.
Le sue idee però hanno continuato a marciare, hanno fatto scuola, sono entrate nella testa della gente, sono diventate patrimonio comune. Il mondo del lavoro ha una legislazione che non si merita, siamo ancora a batterci per diritti che dovrebbero essere inviolabili e invece sono offesi e attaccati tutti i giorni. La divisione tra protetti e non protetti non solo è ancora tenacemente viva, ma la schiera di chi non gode di adeguate protezioni sul lavoro, in tutti i sensi, è sempre più vasta, tanto che l’esigenza di un nuovo statuto dei lavoratori, che innovi la grande rivoluzione portata dallo statuto del 1970 è sempre più avvertita.
Ma quel poco che in questi anni è stato fatto porta in tanta parte la firma proprio di Marco Biagi. Sul suo nome e sulla sua eredità si sono compiute battaglie molto dure, cìè stato chi ha usato il suo nome per portare avanti idee che lui non avrebbe condiviso e chi invece proprio il suo nome ha volutamente dimenticato. Ma alla base delle poche nuove regole che hanno visto la luce c’è spesso proprio la sua impronta.
E forse proprio per questo è forte il rimpianto di non poterlo avere accanto anche in queste ore difficili, mentre il mondo del lavoro si divide e il paese lotta alla ricerca di regole che lo aiutino a uscire prima possibile dalla terribile crisi che lo attanaglia. Noi restiamo tra quei pochi che ancora pensano che le relazioni industriali potrebbero essere un ausilio forte nella ricerca di più avanzati livelli di competitività, perché una fabbrica dove si lavora bene è sempre culla di ottimi prodotti che non stentano a imporsi sui mercati internazionali. Dai buoni accordi guadagnano i lavoratori, che possono lavorare meglio ed essere remunerati meglio e di più, ma guadagnano anche le imprese che possono vedere crescere la loro produttività e quindi la loro competitività.
Marco potrebbe certamente aiutarci in questo momento di difficoltà. La sua parola potrebbe aiutarci. Ma non è più con noi. Possiamo ricordarlo, questo sì, con tutto il rimpianto possibile. E per ricordarlo abbiamo pensato di rimettere sul Diario del lavoro alcuni interventi che alcuni di noi scrissero la mattina dopo la sua morte. A caldo chiamai Aris Accornero, Carlo Dell’Aringa, Paolo Baretta e Maurizio Castro e chiesi a tutti di scrivere un ricordo, un pensiero su Marco, che era uno di noi, aveva accettato di collaborare con il Diario. Scrivemmo poche righe, ma sufficienti a suggellare il nostro legame. Rileggerle ci riporta a quelle ore terribili. Ma sentiamo Marco ancora una volta vicino.
Massimo Mascini
19 marzo 2009
























