In queste settimane si stanno trattando in tutta Italia i rinnovi dei contratti provinciali degli operai agricoli. Negoziati difficili, che soffrono per le conseguenze della terribile crisi che stiamo vivendo. Romano Magrini, responsabile dei problemi sindacali in Coldiretti, pensa che serva un colpo d’ala, un’invenzione che permetta di rinnovare i contratti senza addossare il peso delle difficoltà sulle spalle dei lavoratori, ma consentendo alle imprese di sopportare il peso dei nuovi contratti.
Magrini, come vanno le trattative in corso per il rinnovo dei contratti del vostro comparto?
Non benissimo. In questo momento stiamo trattando per i contratti nazionali degli impiegati agricoli e dei consorzi di bonifica, e per i contratti territoriali degli operai agricoli. Questi ultimi sono per noi i più importanti.
Perché le trattative non vanno bene?
Diciamo che stanno vivendo un momento di stanca. Abbiamo due ordini di problemi. Innanzitutto prima delle ferie abbiamo avuto uno stop delle trattative in attesa che si risolvesse al livello nazionale il problema della bilateralità. Ma abbiamo trovato un accordo, per cui adesso i negoziati dovrebbero riprendere.
L’altro problema?
E’ legato alla crisi economica che attanaglia tutto il paese. Anche per l’agricoltura questo è un momento molto delicato. Le aziende hanno timori a caricarsi di nuovi oneri. I contratti vanno rinnovati, questo è certo, e non è né possibile, né giusto far sopportare agli operai i costi della crisi. Ma certo per arrivare ai rinnovi serve un colpo d’ala, ci dobbiamo inventare qualcosa.
Di che genere?
Non lo so, lo stiamo cercando, tutti assieme. Un sistema che consenta di sostenere maggiori costi in un momento difficile.
Le richieste salariali sono troppo elevate?
Dipende dalle situazioni. Un’azienda che si trova a fare i conti con la siccità che ci ha colpito questa estate, col blocco delle spese degli enti locali, con la ritrosia delle banche a concedere crediti, potrebbe non reggere una richiesta, per esempio del 7% nei due anni di vigenza del contratto. L’aspetto economico è sempre molto importante. Per questo dico che dobbiamo inventarci qualcosa, perché da questa situazione dobbiamo uscire e con i contratti rinnovati.
Coldiretti è coinvolta nel negoziato per la produttività?
Per il momento no, quel tavolo ha escluso il settore agricolo. Vedremo nelle prossime settimane se parteciparvi o trovare un nostro momento per discutere di produttività.
Ma questo è un problema per le vostre imprese?
Si e no. Per lo più non sentiamo molto forte l’esigenza di recuperare produttività, di discutere di tempi di lavoro, di mobilità. In altri comparti potremmo averne l’esigenza, penso alla filiera del latte, all’alimentare, all’agroindustria, all’agriturismo. Ma non è questo l’interesse preminente delle imprese agricole. Ci interessa di più, per esempio, combattere la concorrenza sleale di chi spaccia come made in Italy prodotti di altri paesi.
Il governo ha azzerato la concertazione. Un bene o un male?
La concertazione fatta a Palazzo Chigi con 32 sigle, che spesso rappresentano ben poco della società, serve solo ad allungare le discussioni, rendendole vane. Nei momenti di crisi servono decisioni veloci, altrimenti si lascia il tempo che si trova. Ma far morire la concertazione no, sarebbe un danno, chi rappresenta il mondo produttivo deve avere un ruolo, sono loro che conoscono i problemi, che sanno dove intervenire. Un esempio, la discussione sul mercato del lavoro. Noi non siamo stati coinvolti, benissimo, ma abbiamo chiesto che non mettessero le mani sui nostri problemi.
E invece l’hanno fatto.
Appunto, creando dei guasti, rendendo per noi le cose più difficili.
Questo ha creato problemi anche alla contrattazione?
Le due cose non sono collegabili, però è indubbio che al livello nazionale c’è stata una reazione. La contrattazione soffre per tante cose, anche per la crisi della concertazione.
Il ruolo delle parti sociali sta scadendo.
Perché si fa fatica a uscire dal corporativismo, inteso in senso positivo, di chi rappresenta interessi di parte. Noi abbiamo cercato di compiere un passo in avanti, non siamo più spinti solo dagli interessi della categoria, siamo attenti alle esigenze della società, ci curiamo della sicurezza alimentare, della salute, del benessere animale, cerchiamo di fare gli interessi del cittadino consumatore. Per questo dico che abbiamo superato l’ambito strettamente di categoria, guardiamo gli interessi collettivi, anche se non dimentichiamo chi rappresentiamo.
Il sindacato ha mostrato qualche difficoltà a compiere questo salto?
Il sindacato sta vivendo un momento di grande difficoltà per questa crisi economica così pervasiva. Tutti ne soffrono, ma forse loro, che rappresentano i lavoratori, hanno qualche problema in più. E questo si avverte nella gestione quotidiana dei problemi.
Lei parla molto di crisi. Ma intravedete una luce in fondo a questo tunnel?
L’estate per noi è stata tremenda, con una siccità che non ha uguali nella nostra memoria. Ma al di là delle contingenze, da queste difficoltà non si esce senza una vera programmazione, senza una gestione del territorio che guardi avanti. Adesso lottiamo contro la siccità, ma domani potremmo trovarci a difenderci dalle esondazioni. Servono degli investimenti nel territorio, serve una politica di ampio respiro, altrimenti saremo sempre alle prese con un problema contingente, senza fine.
Massimo Mascini