• Chi siamo
  • Abbonamenti
  • Contatti
sabato, 1 Novembre 2025
  • Accedi
No Result
View All Result
Il Diario del Lavoro

Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali

Il Diario del Lavoro

Direttore responsabile: Massimo Mascini
Vicedirettrice: Nunzia Penelope
Comitato dei Garanti: Mimmo Carrieri, Innocenzo Cipolletta, Irene Tinagli, Tiziano Treu

  • Rubriche
    • Tutti
    • Poveri e ricchi
    • Giochi di potere
    • Il guardiano del faro
    • Giurisprudenza del lavoro
    Istat, nel 2016 il reddito medio delle famiglie cresce del 2%

    La cessione del credito retributivo per il versamento delle quote sindacali è legittima anche dopo il referendum abrogativo

    Manovra, tutti soddisfatti, da Tajani a Salvini. Meloni vanta l’aumento di salari e sanità e Giorgetti “incassa” i miliardi delle banche: “non saranno contente? Mi aspetto uno sforzo di sistema e che questa cosa non sia drammatizzata”. La conferenza stampa dopo il Cdm

    Fiscal drag, la truffa della politica sociale targata Meloni-Salvini

    Meloni, l’underdog dal consenso inossidabile ottenuto rinnegando sé stessa

    Legge elettorale, problemi per Meloni: spunta la Triplice alleanza Salvini, Tajani, Schlein

    Lavoro, Fondosviluppo: al via call da 500.000 euro per favorire l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate in cooperativa

    Licenziamento e disabilità: l’accomodamento è un dovere, non un miracolo

    Amazon diventa un operatore postale in Italia

    Il futuro del lavoro che non c’è

    Due leghe e due leader. Il modello tedesco della Cdu-Csu nei piani di Zaia

    Due leghe e due leader. Il modello tedesco della Cdu-Csu nei piani di Zaia

  • Approfondimenti
    • Tutti
    • I Dibattiti del Diario
    • L'Editoriale
    • Diario delle crisi
    • La nota
    • Interviste
    • Analisi
    Salario e sviluppo possono attendere? Una riflessione a margine del congresso Cgil

    Salari, fisco e legge delega: così non va

    Rifiuti, siglato protocollo d’intesa con Fise-Assoambiente

    Igiene ambientale, sindacati: il 10 dicembre nuovo sciopero nazionale

    Arsenali o granai

    Fiom e Cgil contro l’economia di guerra: “dal piano di riarmo nessun beneficio per l’industria e i lavoratori. L’Europa si sta consegnando alla marginalità”

    Regge il settore delle costruzioni, anche se si intravedono i primi segnali di crisi. Dalla politica ci aspettiamo una via di sviluppo per il paese. Parla Mauro Franzolini, neo segretario generale della FenealUil

    Regge il settore delle costruzioni, anche se si intravedono i primi segnali di crisi. Dalla politica ci aspettiamo una via di sviluppo per il paese. Parla Mauro Franzolini, neo segretario generale della FenealUil

    Gli italiani e la difesa fai da te: 5 milioni possiedono un’arma e sono pronti a sparare al ladro. Ma i furti sono in calo, mentre crescono i delitti in famiglia contro le donne: ‘’i criminali hanno le chiavi di casa’’. I dati del Rapporto Censis-Verisure sulla sicurezza

    Gli italiani e la difesa fai da te: 5 milioni possiedono un’arma e sono pronti a sparare al ladro. Ma i furti sono in calo, mentre crescono i delitti in famiglia contro le donne: ‘’i criminali hanno le chiavi di casa’’. I dati del Rapporto Censis-Verisure sulla sicurezza

    Di Franco (Fillea Cgil): la nostra contrattazione ha stimolato processi normativi innovativi

    Di Franco (Fillea Cgil): la nostra contrattazione ha stimolato processi normativi innovativi

  • Fatti e Dati
    • Tutti
    • Documentazione
    • Contrattazione
    Metalmeccanici, rinnovato il biennio economico del CCSL: aumenti del 6,6%, 134,96 euro per Stellantis e 139,80 euro per Iveco, Cnhi e Ferrari, una tantum di 480 euro

    Contratto metalmeccanici, sindacati: passi avanti, la trattativa continua. Nuovi incontri il 13 e 14 nivembre

    Censis-Verisure, il quarto rapporto dell’Osservatorio sulla sicurezza della casa

    Portieri, rinnovato il contratto nazionale, coinvolti 40mila lavoratori

    Portieri, rinnovato il contratto nazionale, coinvolti 40mila lavoratori

    I dati provvisori Istat sui prezzi al consumo – Ottobre 2025

    Gruppo Iren, sindacati: raggiunto l’accordo sul premio di risultato 2026-2028

    Gruppo Iren, sindacati: raggiunto l’accordo sul premio di risultato 2026-2028

    I dati Istat su fatturato dell’industria e dei servizi – Agosto 2025

  • I Blogger del Diario
  • Biblioteca
    La Cina ha già vinto, di Alessandro Aresu. Feltrinelli Editore

    La Cina ha già vinto, di Alessandro Aresu. Feltrinelli Editore

    Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

    Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

    Il costruttore e il giocatore. Serafino Ferruzzi, Raul Gardini, e la fine di un grande gruppo industriale, di Luciano Segreto, Feltrinelli

    Il costruttore e il giocatore. Serafino Ferruzzi, Raul Gardini, e la fine di un grande gruppo industriale, di Luciano Segreto, Feltrinelli

    L’umanità di domani. Dieci numeri per comprendere il nostro futuro, di Paul Morland

    L’umanità di domani. Dieci numeri per comprendere il nostro futuro, di Paul Morland

    La rivoluzione della longevità, di Myriam Defilippi e Maurizio De Palma. Editore Il Sole 24 Ore

    La rivoluzione della longevità, di Myriam Defilippi e Maurizio De Palma. Editore Il Sole 24 Ore

    Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global city. Editore Baldini+Castoldi

    Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global city. Editore Baldini+Castoldi

  • Appuntamenti
Il Diario del Lavoro
  • Rubriche
    • Tutti
    • Poveri e ricchi
    • Giochi di potere
    • Il guardiano del faro
    • Giurisprudenza del lavoro
    Istat, nel 2016 il reddito medio delle famiglie cresce del 2%

    La cessione del credito retributivo per il versamento delle quote sindacali è legittima anche dopo il referendum abrogativo

    Manovra, tutti soddisfatti, da Tajani a Salvini. Meloni vanta l’aumento di salari e sanità e Giorgetti “incassa” i miliardi delle banche: “non saranno contente? Mi aspetto uno sforzo di sistema e che questa cosa non sia drammatizzata”. La conferenza stampa dopo il Cdm

    Fiscal drag, la truffa della politica sociale targata Meloni-Salvini

    Meloni, l’underdog dal consenso inossidabile ottenuto rinnegando sé stessa

    Legge elettorale, problemi per Meloni: spunta la Triplice alleanza Salvini, Tajani, Schlein

    Lavoro, Fondosviluppo: al via call da 500.000 euro per favorire l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate in cooperativa

    Licenziamento e disabilità: l’accomodamento è un dovere, non un miracolo

    Amazon diventa un operatore postale in Italia

    Il futuro del lavoro che non c’è

    Due leghe e due leader. Il modello tedesco della Cdu-Csu nei piani di Zaia

    Due leghe e due leader. Il modello tedesco della Cdu-Csu nei piani di Zaia

  • Approfondimenti
    • Tutti
    • I Dibattiti del Diario
    • L'Editoriale
    • Diario delle crisi
    • La nota
    • Interviste
    • Analisi
    Salario e sviluppo possono attendere? Una riflessione a margine del congresso Cgil

    Salari, fisco e legge delega: così non va

    Rifiuti, siglato protocollo d’intesa con Fise-Assoambiente

    Igiene ambientale, sindacati: il 10 dicembre nuovo sciopero nazionale

    Arsenali o granai

    Fiom e Cgil contro l’economia di guerra: “dal piano di riarmo nessun beneficio per l’industria e i lavoratori. L’Europa si sta consegnando alla marginalità”

    Regge il settore delle costruzioni, anche se si intravedono i primi segnali di crisi. Dalla politica ci aspettiamo una via di sviluppo per il paese. Parla Mauro Franzolini, neo segretario generale della FenealUil

    Regge il settore delle costruzioni, anche se si intravedono i primi segnali di crisi. Dalla politica ci aspettiamo una via di sviluppo per il paese. Parla Mauro Franzolini, neo segretario generale della FenealUil

    Gli italiani e la difesa fai da te: 5 milioni possiedono un’arma e sono pronti a sparare al ladro. Ma i furti sono in calo, mentre crescono i delitti in famiglia contro le donne: ‘’i criminali hanno le chiavi di casa’’. I dati del Rapporto Censis-Verisure sulla sicurezza

    Gli italiani e la difesa fai da te: 5 milioni possiedono un’arma e sono pronti a sparare al ladro. Ma i furti sono in calo, mentre crescono i delitti in famiglia contro le donne: ‘’i criminali hanno le chiavi di casa’’. I dati del Rapporto Censis-Verisure sulla sicurezza

    Di Franco (Fillea Cgil): la nostra contrattazione ha stimolato processi normativi innovativi

    Di Franco (Fillea Cgil): la nostra contrattazione ha stimolato processi normativi innovativi

  • Fatti e Dati
    • Tutti
    • Documentazione
    • Contrattazione
    Metalmeccanici, rinnovato il biennio economico del CCSL: aumenti del 6,6%, 134,96 euro per Stellantis e 139,80 euro per Iveco, Cnhi e Ferrari, una tantum di 480 euro

    Contratto metalmeccanici, sindacati: passi avanti, la trattativa continua. Nuovi incontri il 13 e 14 nivembre

    Censis-Verisure, il quarto rapporto dell’Osservatorio sulla sicurezza della casa

    Portieri, rinnovato il contratto nazionale, coinvolti 40mila lavoratori

    Portieri, rinnovato il contratto nazionale, coinvolti 40mila lavoratori

    I dati provvisori Istat sui prezzi al consumo – Ottobre 2025

    Gruppo Iren, sindacati: raggiunto l’accordo sul premio di risultato 2026-2028

    Gruppo Iren, sindacati: raggiunto l’accordo sul premio di risultato 2026-2028

    I dati Istat su fatturato dell’industria e dei servizi – Agosto 2025

  • I Blogger del Diario
  • Biblioteca
    La Cina ha già vinto, di Alessandro Aresu. Feltrinelli Editore

    La Cina ha già vinto, di Alessandro Aresu. Feltrinelli Editore

    Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

    Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

    Il costruttore e il giocatore. Serafino Ferruzzi, Raul Gardini, e la fine di un grande gruppo industriale, di Luciano Segreto, Feltrinelli

    Il costruttore e il giocatore. Serafino Ferruzzi, Raul Gardini, e la fine di un grande gruppo industriale, di Luciano Segreto, Feltrinelli

    L’umanità di domani. Dieci numeri per comprendere il nostro futuro, di Paul Morland

    L’umanità di domani. Dieci numeri per comprendere il nostro futuro, di Paul Morland

    La rivoluzione della longevità, di Myriam Defilippi e Maurizio De Palma. Editore Il Sole 24 Ore

    La rivoluzione della longevità, di Myriam Defilippi e Maurizio De Palma. Editore Il Sole 24 Ore

    Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global city. Editore Baldini+Castoldi

    Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global city. Editore Baldini+Castoldi

  • Appuntamenti
No Result
View All Result
Il Diario del Lavoro
No Result
View All Result

Home - Senato - Commissione Lavoro, previdenza sociale (Dai Resoconti Sommari)

Commissione Lavoro, previdenza sociale (Dai Resoconti Sommari)

3 Febbraio 2015
in Senato

130ª Seduta (2ª antimeridiana)

 

Presidenza della Vice Presidente

SPILABOTTE 

indi del Presidente

SACCONI 

                   

 

            La seduta inizia alle ore 11,55.

 

 

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO 

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (n. 134)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 7 e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella prima seduta antimeridiana di oggi.

 

La senatrice MUNERATO (LN-Aut) conferma le criticità già rilevate in entrambi i decreti attuativi. In particolare, non ritiene giusta la non applicabilità dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti alla pubblica amministrazione, che crea ulteriori divaricazioni nei rapporti di lavoro tra settore pubblico e settore privato, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

            Il decreto in esame inoltre crea disparità tra neo assunti e vecchi assunti: i nuovi assunti saranno i primi ad essere licenziati e percepiranno una pensione di importo minore grazie agli sgravi; inoltre, visto che i contributi saranno solo di natura figurativa, si rischia di creare una categoria di esodati. Nella sua regione di provenienza, non solo non trova imprenditori intenzionati a fare nuove assunzioni, ma semmai situazioni di esubero di personale e di gravi crisi aziendali. A riprova di ciò, enumera alcuni casi concreti di disagio nel settore.

            Per effetto della legge Fornero la disoccupazione giovanile è passata dal 25 al 44 per cento, a causa dell’aumento dell’età pensionabile, e si è tornati ai livelli di disoccupazione giovanile degli anni ’70. In questo contesto, il Jobs Act è del tutto inutile, perché gli incentivi per le assunzioni non servono se un’azienda non ha commesse e quindi introiti. Appare forte perciò la preoccupazione che il decreto in esame, unito alla decontribuzione nella legge di stabilità, possa servire solo alle grandi imprese, dove la forza lavoro viene sfruttata, usata e poi licenziata a seconda dell’interesse dell’imprenditore. L’Italia è però tenuta in piedi non da aziende che sfruttano e che abusano degli aiuti del Governo, ma dalle piccole e medie imprese e dalle partite IVA e i decreti in esame rappresentano il solito specchietto per le allodole.

 

La senatrice SPILABOTTE (PD) concorda con l’invito a procedere nei tempi più rapidi formulato nel suo intervento dalla senatrice Pezzopane. L’esigenza primaria è infatti quella di rendere al più presto operativo l’utilizzo del contratto a tutele crescenti e consentire l’utilizzo degli strumenti finalizzati a sostituire ASpI e mini-ASpI. Pur prendendo atto delle situazioni di disagio evidenziate dalla senatrice Munerato, e che riguardano il Paese nella sua interezza, fa osservare che a dicembre 2014 si è registrato un aumento di posti di lavoro pari a 100.000 unità e si è riscontrato un incremento dei valori economici, sia pur in termini ridotti. Il trend negativo è stato dunque finalmente invertito, e ciò spinge a maggior ragione in direzione di un cambiamento delle regole del mercato del lavoro. E’ percio fondamentale offrire ai lavoratori la possibilità di accedere ai contratti a tempo indeterminato, diminuendo così il precariato e le penalizzazioni cui sono sottoposti soprattutto i giovani. Pur condividendo alcune sottolineature effettuate nel proprio intervento dal senatore Angioni, che ha segnalato l’opportunità di alcune correzioni tecniche, ritiene che nella sostanza l’atto in esame non presenti elementi meritevoli di critiche apocalittiche. Con piccoli ritocchi, il decreto delegato riuscirà infatti a dispiegare effetti di grande positività sul mercato del lavoro e sull’occupazione.

 

Le critiche che la senatrice BENCINI (Misto) esprime al decreto muovono anzitutto dalla monetizzazione del diritto alla tutela in caso di licenziamento illegittimo. Con le disposizioni in esame si accentuano maggiormente le differenze di trattamento tra lavoratori dipendenti di fronte a licenziamenti della medesima natura, instaurando due regimi di tutela (quello ancora vigente e quello delineato dal decreto), in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. L’inserimento di fattispecie non previste esplicitamente dalla disciplina di delega potrebbe inoltre determinare contenziosi. La riforma non creerà maggiore occupazione, ma semmai una migliore occupazione o turn over. Le sue ulteriori critiche si appuntano sulla ulteriore delimitazione rispetto alla Legge Fornero dell’area del reintegro, ossia della tutela reale. Viene infatti eliminata la valutazione del giudice circa la sproporzione del licenziamento e, rimuovendo il criterio della cosiddetta proporzionalità sul tipo di sanzione applicabile, viene di fatto ridotta la discrezionalità del giudice, ovvero il controllo da parte del medesimo sui licenziamenti intimati in modo illegittimo. In altre parole, viene meno il riferimento alle tipizzazioni contenute nei CCNL. Continueranno inoltre a generarsi, in perfetta continuità con la Legge Fornero, contrasti e dubbi interpretativi intorno alla locuzione “fatto materiale contestato”. Il decreto sembra poi favorire l’elusione: in caso di licenziamento economico, si dà luogo unicamente a tutela indennitaria, rendendolo pertanto preferibile per il datore di lavoro, che non rischia così la reintegrazione del lavoratore. Il risarcimento del danno è più basso, anche se certo nel suo ammontare: il giudice, infatti, baserà il calcolo, seppure all’interno dei limiti minimi e massimi stabiliti nel decreto, sull’anzianità di servizio, rispetto a quello previsto dalla Legge Fornero. La “riscrittura” dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i nuovi assunti interesserà anche i licenziamenti collettivi: per essi, infatti, quando irregolarmente licenziati, nel quadro di una riduzione del personale, non troverà più applicazione la tutela reale nei casi di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori, sostituita dagli indennizzi monetari crescenti. Si ampliano, quindi, le occasioni di licenziamenti immotivati e, nella sostanza, discriminatori. Manca poi ogni riferimento al pubblico impiego.

I contenuti dello schema sono comunque in linea con le previsioni della legge delega; altrettanto limpida è l’assenza di disciplina di un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. Viene, invece, definito un nuovo regime di tutela, al tempo stesso sanzionatorio, applicabile ai licenziamenti illegittimi comminati ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto in esame. È, dunque, impossibile definire il nuovo regime sanzionatorio una riforma del mondo del lavoro “rivoluzionaria”, visto che lo schema non modifica in alcun modo l’attuale regime previsto per le forme di assunzione diverse da quelle a tempo indeterminato.

Nell’ottica del legislatore delegato, l’incentivo ai datori di lavoro in caso di licenziamento illegittimo dei dipendenti sarebbe rappresentato da un regime sanzionatorio consistente per lo più  in un indennizzo monetario certo e crescente con l’anzianità di servizio. Non mancherebbe inoltre per determinate fattispecie la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, che rafforzerà le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro. Al riguardo, la senatrice osserva che una liberalizzazione de facto dei licenziamenti di certo non incentiverà alcuna stabilità dei rapporti di lavoro, ritenendo negativo partire dai provvedimenti “sull’uscita” dal lavoro, anziché prendere le mosse dalle politiche attive che sostengono le persone espulse dal ciclo produttivo.

La valutazione sul cosiddetto Jobs Act potrà comunque essere più completa e chiara solamente qualora si conoscerà l’intervento sul riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali e si darà corso al riordino dei servizi per l’impiego.

Lo schema di decreto concerne le nuove assunzioni a tempo indeterminato, identificate in quelle decorrenti dall’entrata in vigore del decreto, o da data successiva, nonché – fattispecie non presente esplicitamente nella disciplina di delega – nelle assunzioni precedenti, qualora il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente, superi i limiti minimi dimensionali ai sensi dell’ottavo e del nono comma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Riguardo a quest’ultima fattispecie, segnala l’esigenza di una norma di chiusura, che faccia salva l’applicazione, ove più favorevoli per il lavoratore, dei criteri di calcolo dell’eventuale indennità risarcitoria già applicabili al datore al di sotto dei limiti minimi dimensionali. Andrebbe inoltre valutato se l’inserimento nell’ambito di applicazione dello schema della fattispecie del superamento successivo dei limiti minimi dimensionali sia suscettibile – in quanto non prevista esplicitamente dalla disciplina di delega – di determinare contenzioso.

Con riferimento ai licenziamenti individuali lo schema definisce due distinte tutele, di cui soltanto una trova applicazione anche qualora il datore non superi i limiti minimi dimensionali.

Dall’articolazione delle tutele discende, rispetto alla disciplina vigente, l’esclusione del diritto alla reintegrazione nei casi in cui il fatto contestato – nei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa – rientri “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” e – nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo – nelle ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento o di mancato rispetto del periodo di comporto in caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio del lavoratore. In sostanza, per le ipotesi rappresentate dai licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, c.d. disciplinari, l’intenzione del legislatore è quella di delimitare l’area del reintegro, escludendo in modo esplicito le situazioni nella quali il fatto contestato sussista, ma venga ritenuto dal giudice di per sé insufficiente a motivare un licenziamento, ovvero venga limitata al solo fatto materiale l’insussistenza del fatto, con esonero, quindi, del caso in cui il giudice accerti il fatto materiale, ma escluda la sussistenza del “fatto giuridico” per carenza dell’elemento psicologico.  Pertanto, non basta più che la decisione del giudice si fondi sull’insufficienza della prova acquisita per documenti o per testimoni, ovvero sulla possibile sussistenza di un ragionevole dubbio circa la colpevolezza del lavoratore. Ed invero, rimuovendo il criterio della cosiddetta proporzionalità sul tipo di sanzione applicabile, viene di fatto ridotta la discrezionalità del giudice, ovvero il controllo da parte del medesimo sui licenziamenti intimati in modo illegittimo; in altre parole, viene meno il riferimento alle tipizzazioni contenute nei CCNL. Pertanto, nella fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 3 occorrerebbe ricomprendere anche quelle ipotesi di licenziamento che si caratterizzano per una sostanziale sproporzione tra il fatto accertato e la sanzione applicata. Per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, dunque, va ripristinato il criterio della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione del licenziamento, nonché il rinvio alle tipizzazioni delle condotte riconducibili alle sanzioni di tipo conservativo, come meglio definite dalla contrattazione collettiva. 

Con riferimento, invece, ai licenziamenti economici, la Legge Fornero aveva modificato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, mantenendo il reintegro in caso di manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il decreto in esame cancella anche questa previsione: dunque se licenziamenti per motivi economici e organizzativi sono illegittimi, scompare per sempre la tutela reale, che lascia il posto a un ristoro economico, seppur certo e crescente con l’anzianità di servizio del lavoratore. Anche per questa fattispecie ritiene vadano apportati miglioramenti, innalzando l’indennizzo previsto, per evitare il rischio che le imprese non corrette utilizzino gli incentivi per garantirsi risorse destinate all’indennità risarcitoria da pagare in presenza di sanzione comminata dal giudice. Del resto, se in caso di licenziamento economico illegittimo è prevista la sola tutela indennitaria, tanto vale andare verso questo tipo di licenziamento di modo tale che, in caso di giudizio, laddove venga dimostrata l’insussistenza del motivo economico, il datore di lavoro non rischi comunque la reintegra. Andrebbe, infine, a suo avviso mantenuta in vita la tutela reale anche per le ipotesi di licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. La tutela reale viene prevista esclusivamente nelle ipotesi in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto al quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento. In tale ipotesi, sostanzialmente, il Giudice dovrebbe limitarsi a verificare la sussistenza o meno del fatto materiale e quindi non riconoscere la tutela reintegratoria anche in riferimento a quelle situazioni nelle quali, seppur sussistente, il fatto materiale risulti essere comunque di nessuna o lieve dannosità nel contesto aziendale: una incomprensibile limitazione del ruolo del giudice nella valutazione della sproporzione. Inoltre, la decisione, così come formulata, sembra introdurre l’inversione dell’onere probatorio, che pone a carico del lavoratore. La locuzione “fatto materiale contestato” risulta poi atecnica, in quanto un fatto esiste solo se può essere qualificato giuridicamente, ossia se esista un inadempimento.

Riguardo alla misura dell’indennità risarcitoria, la disciplina del decreto, rispetto a quella vigente, con riferimento al datore che superi i limiti minimi dimensionali e nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa nonché nel caso di illegittimità del licenziamento per violazione del requisito di motivazione scritta o per altri vizi procedurali, prevede soglie più basse e dunque tutele ridotte. Analoghe considerazioni vanno operate con riferimento ai datori che, invece, non superino i limiti minimi dimensionali per i quali infatti viene posto un tetto massimo (per le indennità) di sei mensilità e si prevede, nell’ambito dei limiti stabiliti, il dimezzamento degli importi. Pertanto andrebbe chiarito se il criterio del dimezzamento della misura si applichi anche ai limiti minimi delle indennità.

Ai fini della determinazione concreta dell’importo dell’indennità risarcitoria, la disciplina vigente fa riferimento a vari parametri, mentre il comma 1 dell’articolo 3 dello schema richiama esclusivamente l’anzianità di servizio. Vengono, pertanto, accentuate le differenze tra dipendenti ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina vigente e nuovi assunti a tempo indeterminato, per i quali la normativa di riferimento sarà quella dello schema di decreto de quo. Ritiene comunque opportuno che l’accesso alla NASpI ed alle misure di ricollocazione sia esteso anche ai lavoratori che accetteranno di definire il contenzioso sul licenziamento tramite la nuova conciliazione “agevolata”.

L’articolo 10 definisce i termini di applicazione dello schema ai licenziamenti collettivi. Le modifiche alla normativa vigente operano soltanto con riferimento ai lavoratori rientranti nelle nozioni di cui all’articolo 1 dello schema; è possibile, quindi, che esse concernano solo una parte dei dipendenti oggetto del licenziamento collettivo, dando così luogo a ulteriori differenze di trattamento tra i dipendenti.

In tale nozione rientrano i casi in cui le imprese che occupino più di 15 dipendenti procedano, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia. Nella vigente disciplina, il diritto alla reintegrazione è stabilito in caso di licenziamenti collettivi in cui siano stati violati i criteri di scelta previsti dalla medesima disciplina, nonché per le ipotesi di licenziamenti collettivi intimati senza l’osservanza della forma scritta. L’articolo 10 limita a quest’ultima fattispecie il diritto alla reintegrazione, mentre dispone l’applicazione della tutela indennitaria per i casi di violazione dei criteri di scelta; per gli altri vizi procedurali, si prevede parimenti il regime di indennità risarcitoria, in analogia con la disciplina vigente per tale fattispecie.

Le novità introdotte dal legislatore fanno sì che a determinare le modalità di individuazione dei lavoratori da licenziare siano sostanzialmente le imprese, per giunta con una sanzione minima in caso di violazione. Residua la tutela reale per la sola, marginalissima ipotesi di licenziamento intimato in forma orale. Vengono, pertanto, accentuate le differenze tra dipendenti ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina vigente (e quindi godranno della tutela reale in caso di violazione dei criteri di scelta) e nuovi assunti a tempo indeterminato, che avranno diritto al solo indennizzo: grande disparità di trattamento, in altri termini, tra lavoratori che impugnano lo stesso tipo di licenziamento. Pertanto, andrebbe eliminata l’estensione del nuovo regime ai licenziamenti collettivi che, in particolare, inficia il valore dell’accordo sindacale al quale la vigente normativa affida i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

Andrebbe infine chiarito se, per i licenziamenti collettivi, trovino applicazione, in ipotesi, le misure ridotte dell’indennità, contemplate dall’articolo 9, comma 1, qualora l’impresa non superi i limiti minimi dimensionali ivi richiamati, caso che si può talora verificare, per esempio, qualora le unità produttive siano ubicate in diversi comuni.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

           

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati (n. 135)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi da 1 a 4, e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella prima seduta antimeridiana di oggi.

 

     La senatrice MUNERATO (LN-Aut) avanza forti critiche sul decreto in esame, lamentando una riduzione delle tutele del lavoratore proprio nel momento di suo maggior bisogno. Tale giudizio critico è motivato dall’assoluta insufficienza degli stanziamenti previsti per i nuovi  ammortizzatori sociali, pari a 2,2 miliardi per il 2015 e il 2016 e 2 miliardi a partire dal 2017, a fronte dei dati INPS sugli ammortizzatori nel 2013, che ne registrano il costo in 7,5 miliardi.Le sue forti critiche risultano pertanto pienamente fondate, visto lo stanziamento di soli 2 miliardi per tutte e cinque le deleghe del Jobs Act, previsto nella legge di stabilità.

            Anticipa che per queste ragioni presenterà alla Commissione uno schema di parere contrario.

 

         La senatrice SPILABOTTE (PD), nell’esprimere un giudizio positivo sulle misure contenute nello schema di decreto in esame e nel richiamarsi alle considerazioni in questo senso già svolte da altri componenti del suo Gruppo, segnala alla relatrice l’opportunità di inserire nella bozza di parere che sottoporrà alla Commissione alcune sottolineature. Andrebbe infatti a suo avviso segnalata l’esigenza di incrementare la NASpI, finalità che peraltro è già implicita nella volontà del Governo ed è evidentemente condizionata dall’individuazione di adeguate risorse finanziarie. Inoltre, riterrebbe opportuno segnalare al Governo l’opportunità di attribuire allo Stato la competenza esclusiva in materia di politiche attive, evitando che in un settore delicato e fondamentale nel nostro Paese si riscontrino diversità stridenti a seconda della regione di appartenenza.

 

A giudizio della senatrice BENCINI (Misto)  il contratto di ricollocazione si configura come una prestazione puramente accessoria; perde, in altri termini, il carattere di politica di inserimento lavorativo e di attivazione e si risolve nella somministrazione di un voucher. Esso non dovrebbe invece essere limitato ai soli casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o di licenziamento collettivo, ma dovrebbe trovare applicazione generale in caso di licenziamento illegittimo; inoltre, dovrebbero essere previste forme di coinvolgimento anche economico del datore di lavoro che ha licenziato. Occorrerebbe innanzitutto una forma generalizzata di politica attiva che rappresenti un vero contatto tra il centro per l’impiego e il lavoratore licenziato, nonché l’introduzione di una partecipazione dell’impresa nella ricollocazione del lavoratore licenziato arbitrariamente.

Deve ugualmente essere valutata l’opportunità di riconoscere l’indennità di disoccupazione anche ai lavoratori che aderiscono alla conciliazione prevista all’articolo 6 dell’Atto di Governo. Le modalità di determinazione della misura della prestazione sono le stesse di quelle precedentemente previste con la Legge Fornero. Sono stati innovati l’importo del massimale (incrementato) ed il sistema delle penalizzazioni, da riproporzionare al numero di mensilità di godimento della prestazione, con significativi scostamenti dal precedente impianto, dove trovavano applicazione solo dopo la sesta e la dodicesima mensilità di fruizione. Il nuovo sistema delle penalizzazioni le sembra rispondere all’esigenza di incentivare comportamenti attivi nel periodo di disoccupazione, in quanto fa in modo che la NASpI subisca un’inferiore decurtazione in presenza di ridotte mensilità di fruizione, e una più gravosa a fronte di elevate mensilità di fruizione. Bisognerebbe, dunque, innalzare la soglia dei 18 mesi prevista nel decreto per gli eventi di disoccupazione verificatosi a partire dal 2017, anno in cui verranno definitivamente cancellati l’indennità di mobilità e gli ammortizzatori in deroga: tali trattamenti scompariranno e, pertanto, la durata massima è penalizzante rispetto al precedente regime.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

 

 

            La seduta termina alle ore 12,40.

 

 

 

129ª Seduta (1ª antimeridiana)

 

Presidenza del Presidente

SACCONI 

                

 

            La seduta inizia alle ore 8,35.

 

 

IN SEDE CONSULTIVA 

 

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Programma di lavoro della Commissione per il 2015. Un nuovo inizio” (COM (2014) 910 definitivo) (n. 52)

(Parere alla 14a Commissione. Esame e rinvio) 

 

     Introducendo l’esame, la relatrice MANASSERO (PD) ricorda che nel suo discorso del luglio 2014 il presidente della Commissione europea Junker ha prospettato il rinnovamento dell’Unione europea sulla base di un programma per l’occupazione, la crescita, l’equità e il cambiamento democratico, elencando 10 priorità su cui orientare la nuova politica europea, tra le quali iniziative per favorire l’occupazione, la crescita e gli investimenti. In collaborazione con la BEI, la Commissione europea intende migliorare il contesto imprenditoriale, rimuovendo gli ostacoli agli investimenti, e rafforzare il mercato unico per dare nuovo impulso all’occupazione. L’esigenza di ottimizzare l’impatto del bilancio UE a favore dell’occupazione, della crescita e degli investimenti e una maggior consapevolezza della necessità di migliorare l’uso dei fondi pubblici faranno riflettere sulla revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale (QFP 2014-2020) e sui preparativi per il pacchetto QFP post-2020. Una parte importante dell’attività della Commissione consisterà nel rilancio degli investimenti in infrastrutture, PMI e imprese a media capitalizzazione, nel miglioramento del quadro normativo e nell’impulso al rinnovamento delle imprese. La Commissione è intenzionata ad aiutare gli Stati membri a ridurre la disoccupazione attraverso riforme strutturali e a sostenere misure che favoriscano la creazione di posti di lavoro e l’occupabilità; sta perciò individuando le modalità secondo le quali investire in conoscenze e competenze, con particolare attenzione ai giovani disoccupati e ai disoccupati di lunga durata. Sarà importante promuovere la mobilità dei lavoratori, specie nei casi in cui l’offerta di lavoro e la richiesta di competenze restano cronicamente insoddisfatte, anche a livello transfrontaliero. La Commissione europea si sta inoltre adoperando per garantire pari opportunità alle persone con disabilità, nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, e  nella promozione delle parità uomo-donna e dell’accesso alle donne al mondo del lavoro.

La relatrice passa quindi ad illustrare il contenuto dell’Atto, corredato da 4 allegati; in particolare, l’allegato 1 contiene le nuove iniziative su cui si concentrerà la Commissione nel 2015 (tra cui il pacchetto per promuovere l’integrazione e l’occupabilità, il pacchetto sulla mobilità dei lavoratori e la strategia di investimento a favore dell’occupazione e della crescita), l’allegato 2 contiene le proposte che devono essere modificate o ritirate, perché non in linea con le nuove priorità assunte o perché obsolete, l’allegato 3 si basa sul programma REFIT che intende semplificare la regolamentazione, riducendo gli oneri normativi e la burocrazia e l’allegato 4 elenca gli atti normativi che entreranno in vigore nel 2015.

Conclusivamente, la relatrice si riserva di sottoporre uno schema di parere all’esito del dibattito.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

 

 

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO 

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (n. 134)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 7 e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.

 

     Il senatore ANGIONI (PD) rileva preliminarmente che la Commissione è chiamata a valutare se gli schemi di decreto ad essa sottoposti si muovano nel rispetto della delega attribuita dal Parlamento al Governo, ovvero aprano a disposizioni in essa non contemplate. A suo giudizio la questione può essere senz’altro positivamente superata: il Governo si è infatti pienamente attenuto ai principi dettati dal legislatore delegante e chi afferma il contrario non trova conforto nelle disposizioni dei due provvedimenti delegati. Inoltre, al di là di ogni considerazione di merito, entrambi gli schemi appaiono scritti con chiarezza, a testimonianza che l’obiettivo della semplificazione è stato senz’altro conseguito. L’Esecutivo ha dunque colto lo spirito e raggiunto le finalità della delega, pur se alcune disposizioni non vanno esenti da notazioni critiche. E’ questo il caso dell’articolo 10 dell’atto in esame, in materia di licenziamenti collettivi, che, pur non violando norme costituzionali, nonostante quanto rilevato nella seduta di ieri dal senatore Ichino nel suo intervento, lascia tuttavia non chiarite le ragioni per le quali, in caso di violazione dei criteri di scelta, non preveda il diritto alla reintegra, ma unicamente una sanzione pecuniaria: ciò significa infatti annullare la stessa tutela del lavoratore, considerata la oggettiva sproporzione tra sanzione e tutela. Si lascia infatti sostanzialmente al datore di lavoro la possibilità di errore, anche doloso, per liberarsi di un lavoratore. Il punto, delicatissimo, andrà dunque rivisto, perché diversamente il compito verrà assolto dal giudice del lavoro. Sempre in tema di licenziamenti collettivi, è poi incomprensibile la disparità di trattamento tra soggetti cui si applica la disciplina prevista nello schema di decreto, cui viene corrisposto un risarcimento minimo di 4 mesi, maggiorato di due per ogni anno di anzianità di servizio, e dirigenti, per i quali è prevista una tutela risarcitoria da 12 a 24 mensilità. Tale disparità non si risolve semplicemente ritoccando al ribasso il minimo previsto per i dirigenti, ma è superabile solo attraverso un riequilibrio complessivo delle previsioni.

Da convinto sostenitore della bontà delle disposizioni contenute nel Jobs Act, sottolinea che la finalità è quella di fare del contratto a tempo indeterminato il contratto di riferimento nel rapporto di lavoro, per facilitare l’inserimento dei giovani nel mercato e garantire maggiormente gli inoccupati. Ma anche i più convinti sostenitori del contratto a tempo indeterminato non possono consentire che alcune disposizioni permettano ai datori di lavoro di utilizzare la nuova normativa in modo leggero, quando non spregiudicato, riuscendo a conseguire un vantaggio rispetto a quelli costretti ad applicare la vecchia disciplina. Ciò, tra l’altro, oltre a vanificare la stessa finalità della delega, finirebbe per creare una forma di sleale concorrenza tra imprese. Per queste ragioni, pur convenendo, come detto nel suo intervento dal senatore Ichino, che nessun datore di lavoro vede nel lavoratore un semplice strumento per affermare le proprie bieche ragioni di arricchimento, osserva tuttavia che non tutti datori di lavoro si muovono come il buon padre di famiglia del codice civile, in un rapporto di collaborazione proficua e leale con i lavoratori. Va pertanto altresì riequilibrato il rapporto tra le agevolazioni fiscali accordate al datore di lavoro che ricorra al contratto a tempo indeterminato e le sanzioni in cui egli incorrerebbe in caso di licenziamento illegittimo. Il dubbio riguarda l’incongruità delle sanzioni, ovvero se esse rappresentino un reale disagio economico per l’imprenditore, in presenza di agevolazioni fiscali. Chiede quindi al Governo di rivalutare l’importo delle sanzioni, quanto meno con riferimento agli importi minimi.

Nel suo complesso, il decreto rappresenta un passo in avanti. L’Italia non è Paese di contenziosi, e non sempre da quei contenziosi, peraltro dopo un certo lasso di tempo, il lavoratore riesce ad avere soddisfazione. E’ dunque opportuno in molti casi accentuare maggiormente l’aspetto sanzionatorio rispetto a quello della reintegra. Se infatti è vero che l’Italia è l’ultimo Paesi in Europa in cui è sopravvissuto l’articolo 18 dello Statuto, è pur vero che anche in Paesi dotati di normative più fluide rispetto a quella italiana, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, pur in assenza di disposizioni analoghe, si sta creando una giurisprudenza secondo la quale il giudice del lavoro in molti casi ritiene la sanzione economica non congrua rispetto al licenziamento.

 

Il senatore BAROZZINO (Misto-SEL) ribadisce le sue notazioni fortemente critiche nei confronti del Jobs Act, destinato al più a dar luogo ad una sostituzione di lavoratori, anziché a favorire e incrementare le nuove assunzioni. Ha affermato questi concetti con forza nel corso del dibattito sul disegno di legge delega, ma, allora come ora, lamenta una evidente insofferenza all’ascolto, soprattutto da parte di alcuni componenti la Commissione. Di fatto il Parlamento legifera per gli altri e non per sé: il ritardo con il quale molti componenti sono oggi giunti in Commissione sarebbe infatti, secondo quanto previsto dal decreto n. 134, causa di licenziamento per un lavoratore. Ancora una volta il Parlamento si muove in una logica astratta e avulsa dalla realtà, ignorando il grande disagio evidente nel mondo del lavoro. Al riguardo, cita il caso recente di un lavoratore fattosi dimettere dal nosocomio in cui era stato ricoverato per il timore di perdere il proprio posto di lavoro e deceduto a causa di una polmonite il giorno successivo. L’affermazione che, con le disposizioni in esame, si avrà una estensione generalizzata del contratto a tempo indeterminato è del tutto destituita di verità, determinandosi unicamente la precarizzazione a vita dei lavoratori. Il contratto a tempo indeterminato può infatti definirsi tale se il lavoratore è tutelato dalla legge, mentre in questo caso ci si limita a mercificare il lavoro. Non è contratto a tempo indeterminato quello in base al quale il lavoratore può perdere il proprio posto di lavoro in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo ed andrebbe una volta per tutte superata la tendenza ad affermare che le garanzie dell’articolo 18 siano un unicum italiano, ignorando il contesto del welfare: in molti Paesi d’Europa, ad esempio, esiste il reddito minimo garantito, ancora sconosciuto in Italia. Inoltre, in molte aziende, dopo anni di attività, il lavoratore viene qualificato RCL. E’ evidente che da un lato nessuna azienda motiverà il licenziamento con questa ragione, come è altrettanto evidente che sarà assai difficile ricollocare un lavoratore RCL licenziato. Per queste ragioni, confermando forti critiche nei confronti dell’atto, anticipa che proporrà una bozza di parere contrario.

 

La senatrice PEZZOPANE (PD) fa notare che il ritardo con il quale i componenti della Commissione giungono talora a lavori già iniziati è unicamente dovuto – e tale è il suo caso nella giornata di oggi – alla necessità di presenziare contemporaneamente a riunioni di più organi convocati in orari coincidenti. Ciò che ad un occhio superficiale potrebbe apparire disimpegno è dunque  semmai causato da senso di responsabilità e dalla necessità di corrispondere compiutamente alla propria funzione. Ritiene quindi sconsigliabile il ricorso permanente a toni apocalittici, applicati indistintamente a qualsiasi comportamento o decisione della maggioranza e basati su valutazioni apodittiche e superficiali, sollecitando che si entri più proficuamente nel merito delle questioni.

Con i decreti legislativi in esame si entra nel cuore della concretizzazione della delega, ed è bene, per quanto possibile, accelerare i tempi di esame. Si tratta dei primi decreti legislativi attuativi del Jobs Act: sono passaggi importanti, molto attesi, nei quali il Governo ha saputo trasferire con equilibrio i temi delegati, a testimonianza dell’assoluta serietà con cui si è proceduto nell’attuazione della delega lavoro, al netto di qualche precisazione. Nessun eccesso di delega e nessuna mortificazione di diritti, dunque, ma un equilibrato riallineamento alla legislazione di gran parte d’Europa e l’articolazione di tutele nuove e crescenti. Il dibattito è peraltro favorito da quanto emerso nel corso delle audizioni, da cui, tranne qualche fuoco d’artificio retorico e qualche boutade ideologica, sono venuti sostegni, conferme e suggerimenti che nei pareri potranno essere acquisiti. Ciò la conferma in un giudizio pienamente positivo sul decreto legislativo in esame.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

           

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati (n. 135)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi da 1 a 4, e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.

 

     Il senatore BAROZZINO (Misto-SEL) ribadisce il proprio giudizio nettamente critico sull’impianto complessivo del Jobs Act, sottolineando che le disposizioni delegate, lungi dal conseguire un incremento dell’occupazione, potranno al più avere un effetto di sostituzione tra lavoratori. Il decreto legislativo n. 134 parla di un contratto a tempo indeterminato che nella realtà non esisterà, attesa la maggiore precarizzazione cui i lavoratori sono soggetti. Per parte sua, il decreto legislativo n. 135 finisce con lo snaturare la storia stessa e la finalità degli ammortizzatori sociali, dando corso ad un sistema devastante ai fini della sicurezza dei lavoratori. Nell’auspicare un ripensamento complessivo di queste disposizioni, suggerisce di riconsiderare quanto espresso da alcuni rappresentanti nel corso delle audizioni svolte con riferimento allo schema di decreto legislativo in esame, e nei cui confronti ha colto unicamente segnali di insofferenza.

           

La senatrice PEZZOPANE (PD) si sofferma sugli aspetti positivi del decreto in esame, richiamando innanzitutto la sostituzione delle ASpI e mini-ASpI con la NASpI e ed auspicando che il Governo la mantenga a 24 mesi anche dopo il 2017. Giudica significativa anche l’istituzione della nuova indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e per gli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel corso del 2015. Positivo è poi il cambiamento dei criteri di calcolo dell’indennità, facendo riferimento al reddito derivante dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Reputa significativo anche l’articolo 16, con l’istituzione sperimentale dell’Asdi, assegno di disoccupazione per alcuni soggetti già titolari nel 2015 della NASpI, misura che a suo avviso andrebbe resa strutturale e che dovrebbe essere destinataria di risorse maggiori.

Esprime quindi soddisfazione per l’equilibrio con cui il Governo ha affrontato la delicata materia del licenziamento discriminatorio, che facoltizza il risarcimento. L’articolo 18 viene fortemente migliorato, se si guarda alla delega ed ai suoi decreti come provvedimenti fortemente interconnessi: cambiato, ma non stravolto. Il licenziamento disciplinare può essere intimato solo in presenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo; in tal senso alcune osservazioni le paiono frutto più di una lettura pregiudiziale della contrapposizione che di una riflessione sugli effettivi problemi del testo. Nel parere sarà comunque bene specificare la natura delle previsioni in relazione a quanto arbitrariamente sostenuto da alcuni interventi. Sia la semplificazione delle procedure che la definizione di norme finalizzate ad evitare il contenzioso sono obiettivi in parte raggiunti; una valutazione complessiva sarà possibile solo allorché tutti i decreti legislativi saranno stati predisposti. E’ fondamentale quindi che il Governo trasmetta al Parlamento nelle prossime settimane gli altri schemi di decreti, al fine di dare attuazione in maniera omogenea alla riforma del mercato del lavoro. Il testo in esame è a suo avviso fondamentale per consentire il superamento della cassa in deroga e il passaggio ai nuovi ammortizzatori sociali. In questo contesto, sottolinea l’urgenza del decreto legislativo sulle politiche attive del lavoro e sull’agenzia nazionale per l’impiego per sostenere i lavoratori nel difficile processo di ricollocazione e collocazione. Auspica conclusivamente che il parere confermi l’equilibrio del testo, chiarendo però alcuni spunti derivanti dal dibattito su tempi e scadenze, e conferma il suo convinto sostegno alle misure in esame.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

 

 

            La seduta termina alle ore 9,30.

 

128ª Seduta

 

Presidenza del Presidente

SACCONI 

 

            Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Cassano.                

 

            La seduta inizia alle ore 14.

 

 

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO 

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (n. 134)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 7 e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.

 

     La senatrice CATALFO (M5S) anticipa l’intenzione del suo Gruppo di presentare su entrambi gli schemi di decreto delle proposte di parere alternative a quelle che verranno sottoposte dai due relatori. Auspica comunque che nel parere su cui si registrerà la maggioranza dei consensi possano trovare spazio anche alcune loro considerazioni. Con riferimento allo schema in esame, osserva quindi anzitutto che il giudizio negativo della sua parte origina dalla avvenuta soppressione della legge n. 407 del 1990, un intervento a carattere strutturale che consentiva importanti sgravi contributivi alle imprese che assumevano disoccupati di lunga durata e che non era sottoposta al vincolo del pareggio di bilancio. Inoltre, le misure in esame finiscono con l’avere ricadute negative nei confronti delle imprese artigiane, e segnatamente delle imprese situate nelle regioni del sud d’Italia. Di fatto con il contratto a tutele crescenti si finisce con l’agire più sul licenziamento del lavoratore che sulla sua tutela: ne andrebbe dunque modificata anche la denominazione. L’articolo 10 dello schema presenta inoltre un eccesso di delega, atteso che nella legge n. 183 del 2014 non si affronta il tema dei licenziamenti collettivi; la disposizione andrebbe perciò cassata dal testo. La circostanza che il lavoratore soggetto a licenziamento collettivo ingiusto non possa più rivalersi non pare poi rispondere a principi di equità e giustizia. In ogni caso, un sistema complessivo basato sulla facilitazione della flessibilità in uscita non può funzionare in assenza di un consistente incremento degli strumenti di politica attiva del lavoro, reso possibile unicamente da un aumento delle risorse, sia in termini finanziari che di capitale umano.

 

         La senatrice D’ADDA (PD), apprezzata la contestualità con la quale i primi due schemi di decreto adottati dal Governo in attuazione delle deleghe alla legge n. 183 del 2014 sono stati sottoposti alle Camere, sottolinea che il contratto a tutele crescenti, che si caratterizza sostanzialmente per un ridimensionamento delle tutele nel caso dei licenziamenti illegittimi, va controbilanciato con un intervento più ampio e complessivo di rafforzamento delle tutele per la disoccupazione involontaria. Il quadro si comporrà definitivamente solo con i decreti successivi, con la razionalizzazione e il contenimento delle forme contrattuali precarie e, soprattutto, con la costituzione di un sistema per le politiche attive del lavoro, necessarie a controbilanciare la contrazione di risorse per gli ammortizzatori sociali prevista dal Jobs Act. L’impianto, se non governato, rischia invece di complicare la situazione economica e lo stesso spirito della nuova normativa. La necessità di politiche dello sviluppo, della formazione continua, dell’investimento sulla ricerca rimane una priorità indifferibile.

Osserva quindi che la dizione di “contratto a tutele crescenti” sembra far riferimento ad una nuova forma contrattuale, mentre si tratta unicamente dell’introduzione di nuova disciplina del licenziamento per i nuovi assunti. Ciò che cresce con il passare del tempo sono le indennità di risarcimento, peraltro ridotte rispetto al regime vigente.

Nella relazione si afferma esplicitamente che la nuova disciplina si applica anche al pubblico impiego; ritiene questa interpretazione non corretta, sottolineando che il tema non è emerso nel dibattito parlamentare ed è stato successivamente smentito dai ministri Madia e Poletti e dallo stesso Presidente del Consiglio. Sarebbe comunque opportuna una riaffermazione chiara del Governo, nonché un riferimento esplicito nel parere che verrà espresso. Ciò non impedisce di lavorare per la maggiore omogeneizzazione possibile delle regole, purché lo si faccia con il disegno di legge ad hoc, attualmente in esame presso la 1a Commissione permanente del Senato.

Per quanto attiene al comma 1 dell’articolo 3, che disciplina il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico), anche qualora non sussistessero i requisiti, il datore di lavoro sarebbe soggetto non al reintegro ma al pagamento di una indennità che diminuisce con la minore anzianità di servizio. Ritiene che si debbano mantenere le sei mensilità, quanto meno per scoraggiare eventuali comportamenti di convenienza, considerando che in questo modo il sacrificio finanziario sostenuto per il licenziamento è al di sotto dei benefici acquisiti con gli sgravi previsti nella legge di stabilità.

Quanto al comma 2 dell’articolo 3, che regola la tutela reale per licenziamenti ingiustificati, ricorda che nella legge vigente si faceva riferimento a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, mentre nel caso di specie il richiamo è solo ad una, peraltro non particolarmente diffusa. Sarebbe pertanto opportuno e giusto ripristinare un criterio di proporzionalità tra la gravità dell’azione e la sanzione, ponendosi, in caso di mantenimento della attuale disposizione, i presupposti per licenziamenti con una minima o nulla rilevanza sul piano disciplinare. Inoltre, l’onere che prova la sussistenza della giusta causa o del fatto contestato deve rimanere in carico al datore di lavoro.

Allo stesso criterio viene assoggettato il periodo di comporto – cioè del periodo di astensione in cui si ha diritto alla conservazione del posto di lavoro – in caso di infortunio, malattia, di gravidanza o di puerperio del lavoratore. Al riguardo, avanza il timore che ciò possa avere l’effetto di colpire il lavoratore nei momenti di maggiore debolezza.

L’articolo 10 disciplina le conseguenze del “licenziamento collettivo illegittimo”; vi è tutela reale solo nel caso sia intimato in forma orale. Vale invece quella obbligatoria di cui all’articolo 3, comma 1, nel caso di violazione delle disposizioni relative alla procedura sindacale e ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. La disposizione varrebbe solo se “licenziamenti economici” possa ritenersi sinonimo di “licenziamenti collettivi”; diversamente, potrebbe in questo caso pensarsi che ciò integri un eccesso di delega, oltre che una disparità di trattamento. In aziende con più di 15 dipendenti che effettuino licenziamenti collettivi che riguardino tanto lavoratori già in servizio quanto lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti, in caso di mancato rispetto dei criteri di scelta previsti per legge, i vecchi assunti sarebbero reintegrati, mentre ai nuovi sarebbe riconosciuta solo la tutela indennitaria.

 

Il senatore ICHINO (SCpI) invita chiunque voglia formulare un giudizio sulla delega lavoro e sugli schemi di decreto legislativo conseguenti a valutare se essi migliorino o peggiorino la posizione dei lavoratori. L’elemento cruciale su cui riflettere è se, nel caso in cui un determinato assetto della protezione piena dei lavoratori non sia applicabile a tutti, ciò sia compatibile con i principi di cui agli articoli 3 e 35 della Costituzione. Ci può essere dissenso nel merito, ma deve essere chiaro che il legislatore è partito dalla considerazione che la tutela reale, per la sua stessa struttura, non è suscettibile di applicarsi all’universalità dei lavoratori. Ciò è dimostrato dalla circostanza che persino la CGIL guidata da Cofferati, nel 2003, fece sostanzialmente fallire il referendum finalizzato a conseguire una universalizzazione delle tutele, evidentemente proprio perché convinta dell’impossibilità di estenderle alla generalità dei lavoratori. L’intendimento della riforma è appunto quello di realizzare un ordinamento del diritto del lavoro non ispirato a filosofie di apartheid. Se, per effetto delle norme, ci sarà un rimbalzo quantitativo delle assunzioni a tempo indeterminato, si dimostrerà che si sta dando la possibilità di accedere al contratto a tempo indeterminato a un maggior numero di persone, e potenzialmente a tutti. Quanto agli interrogativi della senatrice D’Adda riferiti al periodo di comparto, fa presente che lo schema non mette in discussione l’articolo 2110 del Codice civile; se invece il periodo è scaduto, il licenziamento è efficace, come peraltro già oggi è possibile. La nullità del licenziamento per matrimonio del lavoratore è invece esplicitamente normata all’articolo 2. Ogni allarme determinatosi a questo proposito è dunque frutto di un difetto di informazione, atteso che le norme dello schema si limitano ad allineare l’ordinamento giuslavoristico italiano a quello vigente in Francia, in Spagna e nel Regno Unito.

Quanto al licenziamento collettivo, la cultura giuslavoristica prende in esame due categorie, quello per motivi disciplinari e quello a carattere oggettivo, derivante da problemi organizzativi e finanziari dell’azienda, vale a dire il licenziamento economico. Dire quindi che il licenziamento collettivo non rientri in quello economico è una forzatura. In proposito occorre semmai ricordare che nell’ordinamento italiano il diritto del lavoratore non è basato sulla property rule, ma sulla liability rule. Questo è il motivo per cui la regola generale è l’indennizzo. Abbassare la soglia dell’indennizzo minimo è dunque l’unico modo di favorire le assunzioni a tempo indeterminato. Quanto alla lamentata inversione dell’onere dalla prova, osserva che la reintegrazione è una sanzione che colpisce il datore di lavoro con riferimento a comportamenti cui l’ordinamento annette rilevanza. E’ dunque evidente che, essendo nel caso di specie posto sotto accusa il datore di lavoro, spetterà al lavoratore fornire la prova necessaria, ciò che è perfettamente in linea con i principi costituzionali. Conclusivamente, propone che la bozza di parere del relatore contenga alcune precisazioni, anche al fine di abbattere il contenzioso, che ha un tasso di incidenza del tutto anomalo rispetto agli altri Paesi d’Europa. Suggerisce quindi di chiarire anzitutto che la nuova disciplina si applica anche al contratto a termine e a quello di apprendistato. Il comma 3 dell’articolo 3 dello schema andrebbe inoltre spostato nell’articolo 2. Andrebbe poi chiarito che rientra nella disciplina indennitaria in caso di esito negativo della prova il caso in cui risulti che il periodo era scaduto allorché il licenziamento è stato intimato. Nell’apprezzare il contenuto dell’articolo 9, ritiene tuttavia importante che si chiarisca che la disposizione si applica a tutti, salvo che nella parte relativa alla reintegrazione, perché diversamente si reintrodurebbe il concetto di job property.

 

            Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

           

 

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati (n. 135)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi da 1 a 4, e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

 

            Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.

 

     La senatrice CATALFO (M5S) fa presente preliminarmente che i lavoratori disoccupati di lunga durata difficilmente potranno trovare accesso al NASpI. Pur apprezzando il meccanismo della condizionalità, ritiene inoltre che il lavoratore rimasto inoccupato dovrebbe essere seguito da una adeguata rete di servizi, che invece realisticamente non saranno disponibili. Reputa inoltre pericolosa la diminuzione del sostegno a partire dal quinto mese di inattività, vale a dire nel momento in cui il disoccupato è più debole. Nel suo complesso è lo stesso istituto del NASpI che presenta problemi, perché il sostegno è sempre in misura inferiore alla soglia di povertà, viene corrisposto per un lasso di tempo troppo breve ed è condizionato al fatto che si tratti di lavoratore inoccupato. Si ignora così che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli inoccupati restano tali perché entrano in uno stato di demotivazione complessiva, che li porta a non rivolgersi ai centri per l’impiego e a non cercare più un’occupazione. La questione è efficacemente affrontata anche nell’ultimo rapporto OCSE. Di fatto, le misure contenute nello schema di decreto non immettono l’Italia in un meccanismo virtuoso che consenta una più agevole entrata ed uscita dal mercato del lavoro, sorretta però da efficaci centri per l’impiego, ma si risolvono in una eliminazione dei diritti dei lavoratori cui la sua parte non può consentire. Se si vogliono temperare gli effetti negativi indotti dal contratto a tutele crescenti, occorre quanto meno investire fortemente in servizi per l’impiego; diversamente, si genererà un incremento meramente statistico, ma non reale del tasso di occupazione. In questo quadro, la senatrice coglie l’occasione per domandare al Governo le ragioni per le quali il testo non sembri tener conto della Direttiva europea sull’intervento occupazionale, in base alla quale l’assunzione dei lavoratori deve dar luogo ad un incremento dell’occupazione e non ad una mera sostituzione dei lavoratori stessi, direttiva che peraltro non è neppure richiamata dal testo.

 

         Il presidente SACCONI osserva incidentalmente che la direttiva citata fa riferimento ai licenziamenti economici.

 

         La senatrice D’ADDA (PD) ritiene che, a supporto della sperimentazione che attiene alle politiche di sostegno per la perdita della disoccupazione, occorrerà effettuare un adeguato monitoraggio della congruenza fra ampliamento dei soggetti e condizionalità delle politiche. L’articolo 17 prevede infatti l’istituzione presso l’INPS del Fondo delle politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, in cui confluiscono le risorse del Fondo per le politiche attive del lavoro istituito presso il Ministero del lavoro, che per la verità non ha avuto grande fortuna. E’ vero che non si occuperà più del reinserimento lavorativo dei fruitori degli ammortizzatori sociali, ma sarebbe bastata una semplice modifica legislativa, e non un ulteriore rinvio dell’attuazione. Esso riguarda la possibilità di stipula di un contratto di ricollocazione per lavoratori licenziati illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o nell’ambito di un licenziamento collettivo.

Il campo di applicazione, salvo ripensamenti, è circoscritto ai soli licenziamenti illegittimi avvenuti o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo. La conseguenza di non poco conto è quella di escludere, almeno per ora, il contratto di ricollocazione non solo per i licenziamenti disciplinari, ma anche per i licenziamenti economici sorretti da adeguata motivazione e persino per i lavoratori che abbiano raggiunto un accordo. Il lavoratore ha diritto di ricevere dal centro per l’impiego territorialmente competente un voucher, che può essere presentato presso un’agenzia per il lavoro, pubblica o privata accreditata, ai fini dell’esercizio del diritto ala stipulazione di un contratto di ricollocazione. In sė il meccanismo è condivisibile; occorre però fare i conti con la realtà del Paese. Rilevanti sono i limiti dei servizi per l’impiego nel far fronte alle pratiche di incontro fra domanda e offerta di lavoro, aspetto complicato dall’attuale difficoltà delle Province, che mancano di risorse, e dalla loro futura soppressione. È risaputo poi che i centri per l’impiego hanno una diversa dinamicità a seconda dei territori, per cui si potrebbe incorrere nel rischio di uno strumento che funziona a macchia di leopardo, a discapito delle regioni più deboli e in difficoltà. Per queste ragioni insiste sullo sviluppo delle politiche del lavoro, giudicando non più rinviabile una riorganizzazione dei servizi, conseguendo una maggiore capacità di raggiungere l’utenza, un maggiore coinvolgimento e professionalità degli enti locali coinvolti, e una integrazione profonda fra sistema dell’istruzione, della formazione e delle imprese.

Analogo problema riguarda l’articolo 16, che introduce in via sperimentale un sussidio di carattere assistenziale, l’assegno di disoccupazione, a carico della fiscalità generale, da erogare a coloro che, dopo la fruizione della NASpI, non siano riusciti a trovare un’occupazione e versino in stato di bisogno. Lo strumento – in sé pienamente condivisibile – è subordinato all’adesione ad un programma personalizzato, e quindi richiede che le strutture preposte siano già in grado di operare al meglio per evitare che la legge resti parzialmente attuabile. Politiche attive e politiche passive richiedono un coordinamento che dev’essere costituito presto e bene, pena l’inutilità dello sforzo.

L’articolo 12 introduce poi un limite alla contribuzione figurativa – inerente al periodo di godimento della NASpI. Al riguardo, ritiene infine opportuno rivedere la disposizione, riportando il massimale alla disciplina vigente, ai fini sia del diritto che della misura dei trattamenti pensionistici.

 

         Il senatore ICHINO (SCpI), dopo essersi richiamato alle considerazioni di carattere generale riguardanti i rapporti tra legge delega e decreto legislativo svolte nell’intervento sullo schema n. 134, esprime apprezzamento per il testo in esame. Suggerisce però di invitare il Governo a proporzionalizzare ulteriormente il contributo a carico del datore di lavoro, riducendone l’importo inizialmente, per incrementarlo successivamente. Ritiene inoltre che andrebbe ampliato l’accesso al NASpI, estendendolo anche alle risoluzioni consensuali del rapporto ed al contratto di ricollocazione. La disciplina del contratto di ricollocazione nel suo complesso andrebbe poi ridefinita, precisando che l’attività di riqualificazione mirata non rientra nella prestazione retribuita con voucher. Suggerisce inoltre di accogliere la disponibilità offerta dalle imprese a partecipare al rifinanziamento del contratto di ricollocazione. Sarà altresì necessario chiarire che nel caso di specie si sta definendo il contratto di ricollocazione dello Stato, ma che la fattispecie andrebbe utilmente consentita anche alle regioni. Un chiarimento deve infine riguardare anche il concetto di condizionalità, precisando anzitutto che il lavoratore che non adempia agli impegni assunti con il contratto di ricollocazione decade dal trattamento di disoccupazione.

 

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

 

 

            La seduta termina alle ore 15,10.

127ª Seduta

Presidenza del Presidente

SACCONI 

indi della Vice Presidente

MUNERATO 

Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Teresa Bellanova.              

La seduta inizia alle ore 16.

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO 

Proposta di nomina del professor Tito Boeri a Presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (n. 43)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, e dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479. Esame. Parere favorevole) 

La relatrice D’ADDA (PD) illustra il curriculum del candidato, di cui evidenzia  le qualifiche e l’esperienza professionale maturata, che correla alle caratteristiche dell’INPS, nonché alla storia ed alle prospettive dell’ente, anche con riferimento alle problematiche digovernance. Ritiene che la circostanza che dal curriculum non emergano specifici profili di esperienza manageriale non sia tale da impedire al candidato lo svolgimento ottimale del ruolo di vertice dell’Ente. Proprio al fine di approfondire le problematiche connesse allagovernance dell’INPS, prospetta la opportunità di richiedere una audizione del Presidente dell’Ente, immediatamente dopo il suo insediamento, affinché egli possa delineare le future strategie dell’Ente medesimo.

Sulla proposta della relatrice si apre il dibattito.

Il senatore ICHINO (SCpI) sottolinea che il professor Boeri è autore di studi e proposte in materia di ristrutturazione della spesa pensionistica particolarmente interessanti ed incisive, sostenute da una spiccata capacità di ingegnerizzazione di un intervento sul comparto pensionistico, con specifico riferimento a quei trattamenti non corrispondenti ad analoghi versamenti contributivi. E’ un’opera non facile e che necessita di una persona capace di dar corpo a quella che oramai si profila come una vera necessità del sistema, ai fini del completamento della riforma pensionistica. Il suo parere favorevole alla nomina del candidato alla presidenza dell’INPS riposa appunto sulla considerazione delle difficoltà nell’individuare altro soggetto dotato di caratteristiche altrettanto corrispondenti al compito. La presunta mancanza di capacità manageriale del candidato gli appare infondata, atteso che al Presidente si richiedono capacità di visione e competenza tecnica, restando al top management affidata ogni funzione di gestione.

Dissente il senatore MALAN (FI-PdL XVII), il quale, ancorché convinto delle spiccatissime credenziali accademiche del professor Boeri, non le ritiene contigue alle funzioni spettanti all’INPS, anche in relazione agli enormi flussi finanziari gestiti dall’Ente. Riterrebbe perciò opportuna una proposta di nomina maggiormente legata alle oggettive necessità dell’Ente, anziché riconducibile presumibilmente ad appartenenze di area. Ciò a maggior ragione in considerazione delle dichiarazioni forti già effettuate dal professor Boeri in ordine alle linee di intervento sul sistema pensionistico, che rischiano di minare la fiducia nello Stato da parte dei cittadini, con inevitabili conseguenze negative sulla domanda interna.

Il senatore PUGLIA (M5S) valuta positivamente la circostanza che il professor Boeri non abbia in passato avuto legami col mondo politico; data l’enorme responsabilità cui dovrà corrispondere il Presidente del più grande Ente previdenziale in Europa, la sua parte confida perciò nell’autonomia e nell’autorevolezza intellettuale del candidato. Il sistema pensionistico necessita di approfondimento sotto vari profili. Anzitutto andrebbe cancellata la riforma Fornero, dando soluzione definitiva alla delicata problematica degli esodati. Sul tema delle cosiddette pensioni d’oro, egli richiama con favore alcune considerazioni svolte dal candidato, concordando sull’opportunità di un limite di importo, salvo definire preliminarmente quali siano i trattamenti da far rientrare in tale definizione, atteso che in alcuni casi l’assegno pensionistico assolve anche a una funzione di ammortizzatore sociale. Sul tema, il suo Gruppo riproporrà uno strumento di indirizzo, di contenuto analogo a quello già presentato alla Camera dei deputati e respinto da quel ramo del Parlamento. Dopo aver auspicato l’introduzione del reddito di cittadinanza, condizionato all’inserimento lavorativo dei soggetti, richiama il problema dei cosiddetti contributi “silenti”, spesso utilizzati per coprire gestioni allegre dei fondi pensionistici. Sul tema va avviato un confronto, finalizzato ad esaminare le modalità con le quali essi possano essere totalizzati. Anche di questa questione il suo Gruppo confida che il prossimo Presidente dell’INPS possa farsi carico. Analogamente, egli auspica un attento esame della questione dei fondi INPS, che a suo avviso vanno trasformati in fondo aperto. Il suo Gruppo, lungi dall’effettuare un’opposizione preconcetta, fornisce il proprio sostegno alle proposte del Governo che ritenga meritevoli. Questo è il caso della proposta in esame, che trova il pieno consenso della sua parte.

A giudizio della senatrice BENCINI (Misto) il valore del curriculum del candidato non è sminuito da una sua presunta mancanza di capacità manageriale. Personalmente, esprime anzi apprezzamento per l’annuncio da lui effettuato riguardo all’opportunità di una revisione della disciplina pensionistica. Tale compito spetta peraltro al legislatore, ma sarà più agevole poter rimediare ai danni della cosiddetta legge Fornero sulla base di dati economici certi forniti dall’INPS. Annuncia conclusivamente di appoggiare la proposta del Governo.

La senatrice PARENTE (PD) esprime soddisfazione per il fatto che la Commissione sia oggi finalmente nella condizione di poter esaminare la proposta, ritenendo che l’espressione del parere sia di fondamentale rilievo, attesa l’importanza delle funzioni svolte dall’INPS. Il suo Gruppo valuta con assoluto favore la proposta. Il dibattito, anche pubblico, sul tema della idoneità del candidato è risultato inficiato da alcune questioni non del tutto fondate: alcune opinioni da lui sostenute vanno infatti ricondotte alla sua caratura accademica. Non spetta invece al Presidente dell’INPS legiferare, e quindi non è a lui attribuibile alcuna iniziativa in materia di revisione del sistema pensionistico, che ricade invece nella responsabilità del Governo. Il profilo della presunta mancanza di capacità manageriale le pare poi possa essere ampiamente superato alla luce dell’esperienza gestionale del professore all’interno della Università Bocconi. La proposta offre peraltro l’occasione di segnalare l’opportunità di approfondire e rivedere le qualifiche richieste all’organo di vertice dell’INPS, questione che andrà affrontata nell’ambito della più generale tematica della governance dell’istituto. In questo senso, sarà opportuno che, una volta insediato, il nuovo Presidente dell’INPS venga ascoltato dalla Commissione proprio con riferimento alle problematiche di governance dell’Ente, anche in relazione alle modifiche che si stanno verificando nel mercato del lavoro e nel settore delle politiche attive. E’ a maggior ragione importante che oggi la Commissione dia il proprio assenso alla proposta di nomina, che costituisce dunque un buon viatico per affrontare le sfide che attendono l’Istituto.    

A giudizio del senatore PAGANO (AP (NCD-UDC)) il curriculum del candidato è ineccepibile e ne testimonia le grandi capacità. L’esperienza maturata dal professor Boeri a livello accademico e culturale sarà senz’altro foriera di risultati eccellenti anche nello svolgimento delle funzioni di Presidente dell’INPS. Il suo qualificatissimo curriculum gli consentirà inoltre senz’altro una rapida acquisizione di capacità manageriali. Quanto alle opinioni da lui anche recentemente espresse, esse vanno beninteso separate dalle funzioni di vertice dell’Ente, cui non spetta l’iniziativa legislativa.

Nessun altro chiedendo la parola, il presidente SACCONI indice quindi la votazione.

Partecipano al voto i senatori ANGIONI (PD), BENCINI (Misto), CRIMI (M5S), in sostituzione della senatrice Catalfo, D’ADDA (PD),FAVERO (PD), ICHINO (SCpI), LEPRI (PD), MANASSERO (PD), PAGANO (AP (NCD-UDC)), PAGLINI (M5S), PARENTE (PD), RANUCCI (PD), in sostituzione della senatrice Pezzopane, PUGLIA (M5S), SACCONI (AP (NCD-UDC)), MALAN (FI-PdL XVII), in sostituzione del senatore Serafini, e SPILABOTTE (PD).

La proposta di parere favorevole risulta approvata, con 14 voti favorevoli, uno contrario e una scheda bianca.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (n. 134)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi 7 e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

Riprende l’esame, sospeso nella seduta del 22 gennaio.

La senatrice PAGLINI (M5S) si richiama ai principi costituzionali di cui agli articolo 1, 4 e 41, da cui si evince che il lavoro non può essere merce pari alle altre; punto, questo,  fondamentale per la sua parte. Lo schema di decreto legislativo in esame assomiglia ad un percorso che porterà verso la mercificazione della dignità umana e all’innalzamento della precarietà.

Non è in discussione la legittimità o meno del licenziamento, che, se legittimo, può essere anche ora legittimamente intimato, ma la ricetta risolutiva, che muove dalla volontà di dare gli strumenti a chi da domani potrà liberarsi del cittadino lavoratore anche senza una giusta causa o un giustificato motivo, semplicemente con la corresponsione di un indennizzo.

Fino agli anni ’60, e precisamente sino all’accordo interconfederale del 1966 che spianò la strada allo Statuto dei Lavoratori, era consolidato in diritto del lavoro l’inquadramento del contratto di lavoro subordinato nella categoria delle locazioni. Accanto alle locazioni delle cose, c’era la locazione della forza lavoro. Ma la messa a disposizione delle proprie energie lavorative non è assimilabile alla categoria dei fattori produttivi a disposizione dell’imprenditore ed il lavoro non è una merce al pari delle altre. Con il decreto in esame, invece, si mercifica il tempo delle persone, monetizzando ciò che è un diritto, e si creano situazioni conflittuali tra lavoratori, si aumentano le tensioni sociali e si mettono i cittadini in ulteriore crisi di precarietà.

Nello schema le tutele sono affidate alla bontà individuale del datore di lavoro. Tutto ciò proprio mentre l’Italia continua a violare i diritti dei lavoratori.  A rivelarlo è il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa nel suo ultimo rapporto, in cui viene fotografata, anche se in ritardo, la situazione in cui si trovavano i lavoratori italiani e si enuncia la violazione di una serie di diritti; tra questi, il preavviso in tempi ragionevoli della cessazione del contratto di lavoro e il diritto dei lavoratori con gli stipendi più bassi a non vedersi infliggere tassazioni che non permetterebbero più di mantenere se stessi o le loro famiglie.

Lo schema in esame si basa sul concetto di dare alle imprese un grande incentivo economico per le nuove assunzioni, pari al 40 per cento di profitto per ogni lavoratore assunto e la mancata inclusione nella base di calcolo dell’IRAP per ogni contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Quindi, si invoglia l’impresa ad assumere, vista l’erogazione di ben 5 volte a carico della fiscalità generale, che ovviamente viene alimentata dagli stessi lavoratori e dai pensionati attraverso le loro tasse. Se questa misura fosse corretta, dovrebbe prevedere dei paletti, per evitare che qualcuno possa approfittarne, e aggiungere delle condizioni inderogabili, come chiedere che l’azienda nel recente passato  non si sia avvalsa di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. In questo modo si farebbe chiarezza e si eviterebbe la beffa che la collettività si faccia carico delle risorse necessarie per i nuovi assunti e di quelle necessarie per le indennità assistenziali per i licenziamenti sostituiti dai nuovi assunti. Si tratta di un drastico regresso della condizione lavorativa dei lavoratori subordinati.

Per quanto attiene ai profili sostanziali destinati a regolamentare la disciplina dei licenziamenti (individuali e collettivi) a partire dalla entrata in vigore del decreto, si registra un drammatico abbattimento del livello di tutela precedentemente accordato ai dipendenti.

Preliminarmente, va sottolineato che l’ambito soggettivo di operatività del decreto è ben diverso da quello descritto dal Governo. La nuova disciplina si applica, infatti, ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla sua data di entrata in vigore: non solo ai lavoratori assunti successivamente all’entrata in vigore del decreto, dunque, ma anche a coloro che siano già alle dipendenze di datori che superino il requisito dimensionale dei 15 dipendenti successivamente all’entrata in vigore del provvedimento. A tutti i lavoratori subordinati in questione si applicherà quindi solo una tutela risarcitoria di consistenza variabile a seconda dell’anzianità di servizio maturata.

La stabilità del posto di lavoro contro provvedimenti di recesso illegittimo scompare dall’ordinamento e con essa l’argine più importante contro condotte del datore di lavoro in violazione di norme di legge. Ciò rappresenta non solo un passo indietro dal punto di vista dei lavoratori, ma anche un forte ridimensionamento del livello di civiltà giuridica del sistema. Si amplifica così ulteriormente la condizione di fragilità dei lavoratori, che per salvaguardare il posto di lavoro dovranno accettare supinamente ogni pretesa del proprio datore di lavoro. La circostanza trova ulteriore conferma se si considera che la legge delega affida al Governo anche la rielaborazione della disciplina in materia di demansionamento e di controllo da remoto, indebolendo irrimediabilmente la posizione dei dipendenti ed azzerando anni di battaglie sindacali. E’ chiaro, infatti, che questi interventi non potranno non spiegare effetti negativi anche sul piano della rappresentatività sindacale. E’ difficile immaginare che un lavoratore esposto al rischio di licenziamento o di demansionamento e controllato a distanza si possa permettere di contrariare il datore maldisposto verso forme di associazionismo.

Né ciò è destinato ad incrementare l’occupazione, poiché secondo le previsioni del DEF il Jobs Act è destinato ad incrementare il tasso di occupazione di una percentuale infima, mentre il diritto al lavoro verrà asfaltato.

Anche con riferimento al licenziamento disciplinare ingiustificato, cioè non supportato da giusta causa e giustificato motivo soggettivo, il legislatore sceglie la strada di privilegiare la tutela indennitaria rispetto a quella reintegratoria. Inoltre, la valutazione relativa alla legittimità del licenziamento andrà effettuata considerando esclusivamente il fatto contestato nella sua materialità e,  ciò che è ancora più grave, viene sottratto al giudice il sindacato di proporzionalità.

Nel caso in cui il datore di lavoro nel licenziare sia incorso in errori formali, invece, è previsto solo un risarcimento da una fino a 12 mensilità, mentre in precedenza era previsto un risarcimento minimo di 6 mensilità; il datore di lavoro, nel termine previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, può offrire un corrispettivo per la definizione bonaria della controversia da 2 fino a 18 mensilità, importo esente da tasse e da contribuzione previdenziale, e il lavoratore, davanti al rischio di doversi sobbarcare tempi e costi di una causa, sarà probabilmente disposto ad accettare una eventuale offerta dal datore di lavoro. Per coloro che fossero alle dipendenze di datori di lavoro con meno di 16 assunti, inoltre, i valori di risarcimento nel caso di licenziamento illegittimo sono dimezzati rispetto a quelli previsti per i datori di lavoro con più di 15 dipendenti.

Un eccesso di delega inaccettabile concerne poi i licenziamenti collettivi, mai menzionati nei passaggi che hanno preceduto il decreto delegato; ad essi si applicherà la tutela del risarcimento monetario, ad eccezione del caso, quantomeno inverosimile,  in cui il licenziamento collettivo venga intimato senza la forma scritta.

Il decreto abbatte le tutele per una parte dei lavoratori, lasciandole invariate per altri, e prefigura quindi cittadini di serie A e di serie B. Si crea così una condizione che può determinare ripercussioni anche da un punto di vista di coesione sociale.

Ai nuovi licenziamenti si applicherà non più il rito Fornero, che, pur con tutti i suoi limiti aveva comunque generato una accelerazione nella trattazione dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, ma le norme antecedenti la legge 92 del 2012. I destinatari della nuova disciplina sui nuovi licenziamenti, oltre a vedersi applicate tutele di minore consistenza, dovranno dunque accettare tempi interminabili e comunque più lunghi nell’ipotesi, remota, in cui decidessero di attivarsi in sede processuale per farne valere i vizi.

A fronte di tutte queste penalizzazioni, il legislatore introduce il contratto di ricollocazione: al lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo viene riconosciuto un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, che attribuisce il diritto a sottoscrivere con una agenzia pubblica o privata il contratto di ricollocazione. Resta indefinito quali strumenti abbia il lavoratore per valutare quale agenzia sarà più solerte a rioccuparlo e se potrà eventualmente cambiarla in corso di disoccupazione. Né è chiaro quale tipo di contributo concreto il lavoratore potrà conseguire rivolgendosi alla agenzia pubblica di somministrazione.

La senatrice FAVERO (PD) ritiene che, per capire la portata dello schema di decreto in esame, si debba non solo far riferimento alle modifiche normative contenute nel Jobs Act, ma allargare altresì l’orizzonte alla cospicua riduzione del costo del lavoro contenuta nella legge di stabilità. Il nuovo contratto a tempo indeterminato è stato infatti agevolato con una riduzione della tassazione del lavoro e tre anni di decontribuzione per i neoassunti nel 2015, rendendo così il lavoro stabile più conveniente rispetto alle altre forme di contratto. Si tratta di un primo fondamentale tassello per il contrasto alla precarietà, che verrà rafforzato con il prossimo decreto attuativo finalizzato a semplificare le tipologie contrattuali. Dal febbraio 2015 le nuove assunzioni a tempo indeterminato saranno dunque più flessibili. Il lavoratore ingiustamente licenziato per motivi economici riceverà un indennizzo crescente in relazione all’anzianità di servizio e l’impresa potrà offrirgli una conciliazione con un pagamento immediato, evitando l’attesa della sentenza del giudice. Si offrono così maggiori certezze alle imprese riguardo all’esito della interruzione di un rapporto di lavoro ed al lavoratore con l’indennizzo. Peraltro già oggi nella maggior parte dei casi il lavoratore opta per il risarcimento economico, invece che per la reintegra. Il Governo ha inoltre esteso la disciplina anche ai licenziamenti collettivi senza giusta causa: ciò significa che le imprese potranno ridurre l’organico anche senza accordo sindacale, dovendo però risarcire il lavoratore. La reintegra prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori resterà per i licenziamenti disciplinari senza giusta causa, richiedendosi però al giudice di accertare la non sussistenza del fatto contestato al lavoratore. L’onere della prova sarà a carico del lavoratore, ma le imprese dovranno prestare estrema attenzione ai dettagli della contestazione. Il lavoratore inoltre sarà incentivato a rivelare al giudice se il licenziamento economico, che non prevede più la reintegra, stia in realtà mascherando un provvedimento disciplinare infondato. Si tratta di un grosso passo in avanti per la normalizzazione del mercato del lavoro. Dopo aver richiamato le osservazioni svolte dal commissario Katainen nel corso di una recente audizione dinanzi alle Commissioni congiunte 5a, 8a, 10a e 11a del Senato e V, VIII, X e XI della Camera dei deputati, la senatrice richiama la necessità di superare le rigidità in uscita del mercato del lavoro segnalata numerose volte da parte dell’Unione europea, della BCE e dell’OCSE nel corso degli ultimi anni. Anche dalle linee di indirizzo della nuova Commissione europea riguardanti il mercato del lavoro, presentate nella strategia di crescita a dicembre 2014, emerge la necessità che gli Stati dell’Unione europea mettano in campo misure per creare occupazione, offrendo modelli di protezione moderni, che prendano atto delle attuali dinamiche del mercato del lavoro e tutelino adeguatamente sia l’occupato che il cittadino senza lavoro. Le misure di cui lo schema in esame è la traduzione sono peraltro state giudicate con favore nel corso della predetta audizione dal commissario Katainen, che ha sottolineato come esse aiuteranno le assunzioni ed un più equo rispetto nei confronti dei giovani.

Il senatore LEPRI (PD), premette un preliminare giudizio di piena coerenza dello schema di decreto in esame, al pari di quello riguardante gli ammortizzatori sociali, rispetto alla delega attribuita al Governo; ciò con riferimento, in particolare, alla necessità di semplificare le procedure e la conflittualità, in presenza di veri motivi che possono condurre il datore di lavoro al licenziamento. L’impianto complessivo dello schema è infatti teso a favorire forme di conciliazione, ove possibili. Egli giudica ragionevole la soluzione riguardante i licenziamenti disciplinari, che lascia al datore di lavoro la sanzione, escludendo che la valutazione con sanzioni possa essere oggetto di contestazione in sede di valutazione da parte del giudice del lavoro. Ne esce così un quadro di evidente semplificazione. Appare coerente altresì la misura dell’indennità risarcitoria, se emerga l’assenza di motivi per un licenziamento per giusta causa, ovvero a carattere disciplinare. Egli segnala invece l’opportunità di approfondire la tematica riguardante l’inidoneità fisica o psichica, di cui all’articolo 3 comma 3, al fine di evitare comportamenti opportunistici del datore di lavoro, eventualmente circoscrivendo il concetto per ridurre questo rischio. Analogamente ritiene che la tutela in caso di disabilità vada mantenuta nel caso di aziende al di sotto dei 15 dipendenti. Andrà altresì valutato il profilo dello svolgimento di attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione e di religione e di culto, di cui all’articolo 9 comma 2, riducendo l’applicabilità integrale del regime previsto nella delega. La questione andrà approfondita con riferimento alla circostanza in cui venga meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e il reintegro non appaia conseguentemente opportuno.

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati (n. 135)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, commi da 1 a 4, e 11,  della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Seguito dell’esame e rinvio) 

Riprende l’esame, sospeso nella seduta del 22 gennaio.

La senatrice PAGLINI (M5S) ritiene che l’atto mantenga forte connotazione assistenziale e che peserà sulle casse pubbliche senza offrire valore aggiunto. La riforma nel suo insieme è infatti presentata in minima parte, in quanto mancano i decreti che si devono far carico della completa rivisitazione delle politiche attive, oggi completamente inefficaci per accompagnare il cittadino in un percorso di reinserimento lavorativo. Pertanto, per l’ennesima volta, il Parlamento si trova costretto a dare valutazioni a comparti stagni, senza avere un’idea dell’insieme. La Commissione ha recentemente incardinato l’esame del disegno di legge n. 1148, in tema di reddito di cittadinanza, che rappresenta una misura vera e autentica di sostegno, ma, nello stesso tempo, di forte promozione professionale del lavoratore e di inclusione sociale. Questa è una misura che l’Europa chiede e che solo l’Italia, insieme alla Grecia e all’Ungheria, non ha ancora adottato.

Si tratta di una misura capace di generare un percorso reale di accompagnamento al lavoro ed alla ricollocazione dei soggetti estromessi dall’impiego e dall’inclusione sociale e di una misura di garanzia della disponibilità individuale di un reddito garantito che svincolerà dal ricatto occupazionale.

Oggi 10 milioni di cittadini vivono in situazione di estrema precarietà e 6 milioni si trovano al di sotto della soglia di povertà relativa. Se ad ogni cittadino venisse riconosciuto il diritto alla vita, alla dignità e all’inclusione sociale, si renderebbe finalmente libera un’intera popolazione, e nello stesso tempo ci sarebbe una netta ripresa economica, liberando l’individuo dallo scambio elettorale/politico/mafioso e dalla sottomissione imposta dalla Germania e dalla BCE.

La senatrice FAVERO (PD), dopo aver segnalato gli aspetti dello schema di decreto che giudica meritori, segnala la particolare delicatezza ed importanza delle misure riguardanti le politiche attive. In proposito ricorda che nel disegno di legge di modifica del sistema bicamerale (Atto Camera n. 2613) si affida allo Stato la legislazione esclusiva sul tema. Non potranno così più esserci regole diverse da regione a regione sugli interventi e le modalità per l’attivazione al lavoro. Ciò consentirà di allineare l’Italia al resto dell’Europa e sposterà la funzione delle regioni sulla programmazione ed erogazione degli interventi. Una maggiore responsabilità dello Stato sulle politiche attive giustifica l’attivazione anche in Italia, come in Germania, di una forte agenzia nazionale. Dopo aver evidenziato gli aspetti di particolare rilievo contenuti nello schema, osserva conclusivamente che la delega lavoro, lungi dal costituire un intervento isolato, è invece il frutto di un disegno complessivo, che dovrà avvalersi anche di altri interventi positivi, come la decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato, la sterilizzazione dell’aumento IRAP per le imprese e l’attribuzione di un bonus IRPEF.

Il senatore LEPRI (PD) ritiene che lo schema presenti perfetta coerenza e tenuta. E’ evidente che la misura avrà costi assai più elevati; è auspicabile tuttavia che i maggiori oneri possano essere coperti dalle risorse provenienti dal riordino delle politiche passive del lavoro e dalla progressiva eliminazione della cassa integrazione in deroga. Queste misure inseriscono elementi di condizionalità tesi a mantenere in attività chi beneficia del sussidio. Sarà certamente non facile definire una larga gamma di opportunità con le quali questi soggetti possano essere impiegati attivamente, in attesa di una nuova occupazione. Ove ciò non avvenisse, c’è il rischio di un fallimento di questa condizionalità. Egli esprime pertanto l’auspicio che il Governo definisca al più presto l’insieme dei decreti legislativi e che avvii consultazioni con rappresentanti sindacali e associazioni di categoria, specialmente nel settore del piccolo commercio e dell’artigianato, per far sì che possa al più presto essere prefigurata questa rete di opportunità.

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

La seduta termina alle ore 17,50.

 

redazione

redazione

In evidenza

Salario e sviluppo possono attendere? Una riflessione a margine del congresso Cgil

Salari, fisco e legge delega: così non va

31 Ottobre 2025
Confcommercio, dato novembre buon segnale per l’economia

Confcommercio su dati Istat: economia ferma e consumi senza slancio, la ripresa non si vede

31 Ottobre 2025
CONFERENZA STAMPA CON MAURIZIO LANDINI

Roma, nuove minacce contro la Cgil, aggrediti sindacalisti davanti a Cdl via Ostiense

31 Ottobre 2025
Sindacato, Salvatore Pellecchia confermato alla guida della Fit-Cisl

Anas, Pellecchia (Fit-Cisl): “chiudere subito il rinnovo contrattuale. Sullo scorporo da Fs chiediamo chiarezza e confronto”

31 Ottobre 2025
Arsenali o granai

Fiom e Cgil contro l’economia di guerra: “dal piano di riarmo nessun beneficio per l’industria e i lavoratori. L’Europa si sta consegnando alla marginalità”

31 Ottobre 2025
Ulteriori informazioni

Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali

Direttore responsabile: Massimo Mascini
Vicedirettrice: Nunzia Penelope
Comitato dei Garanti: Mimmo Carrieri,
Innocenzo Cipolletta, Irene Tinagli, Tiziano Treu

© 2024 - Il diario del lavoro s.r.l.
Via Flaminia 287, 00196 Roma

P.IVA 06364231008
Testata giornalistica registrata
al Tribunale di Roma n.497 del 2002

segreteria@ildiariodellavoro.it
cell: 349 9402148

  • Abbonamenti
  • Newsletter
  • Impostazioni Cookies

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Password dimenticata?

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.

Accedi
No Result
View All Result
  • Rubriche
    • Poveri e ricchi
    • Giochi di potere
    • Il guardiano del faro
    • Giurisprudenza del lavoro
  • Approfondimenti
    • L’Editoriale
    • La nota
    • Interviste
    • Analisi
    • Diario delle crisi
  • Fatti e Dati
    • Documentazione
    • Contrattazione
  • I Blogger del Diario
  • Appuntamenti
Il Diario del Lavoro

Direttore responsabile: Massimo Mascini
Vicedirettrice: Nunzia Penelope
Comitato dei Garanti: Mimmo Carrieri, Innocenzo Cipolletta, Irene Tinagli, Tiziano Treu

  • Accedi