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Home - Senato - Commissione lavoro, previdenza sociale: dal resoconto sommario

Commissione lavoro, previdenza sociale: dal resoconto sommario

22 Ottobre 2009
in Senato

Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Sacconi.

IN SEDE REFERENTE

(848-bis) Delega al Governo in materia di incentivi alla occupazione, di ammortizzatori sociali, di misure sperimentali a sostegno dell’occupazione regolare e delle assunzioni a tempo indeterminato nonché di arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, risultante dallo stralcio deliberato dall’Assemblea il 13 giugno 2002 degli articoli 2, 3, 10 e 12 del disegno di legge di iniziativa governativa.
(514) MANZIONE. – Modifica all’articolo 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, in materia di licenziamenti individuali.
(1202) RIPAMONTI. – Modifiche ed integrazioni alla legge 11 maggio 1990, n. 108, in materia di licenziamenti senza giusta causa operati nei confronti dei dipendenti di organizzazioni politiche e sindacali.
(2008) DI SIENA ed altri. – Misure per l’estensione dei diritti dei lavoratori.
e petizione n. 449 ad essi attinente
(Seguito dell’esame congiunto e rinvio)

Si riprende l’esame congiunto sospeso nella seduta di ieri.

Il PRESIDENTE ricorda che si è conclusa la discussione generale.

Interviene in sede di replica il sottosegretario SACCONI, evidenziando preliminarmente che la discussione generale è risultata utile e proficua, in quanto ha contribuito a mettere a fuoco la questione essenziale che il Governo ha inteso sottoporre all’attenzione delle forze politiche e sociali, attinente all’individuazione di un congruo punto di equilibrio tra flessibilità e sicurezza, nel mercato del lavoro.
In tale contesto, la prospettazione, da parte di taluni esponenti dei gruppi politici dell’opposizione, della necessità di fronteggiare, attraverso la modifica dell’assetto disciplinare inerente agli ammortizzatori sociali, il fenomeno della precarizzazione del lavoro – a giudizio degli stessi destinato ad accentuarsi a seguito all’attuazione delle disposizioni contenute nella legge n. 30 del 2003 – risulta del tutto priva di fondamento. Le analisi statistiche hanno infatti evidenziato che in Italia la diffusione di rapporti di lavoro precario si è mantenuta entro una dimensione molto più ridotta di quella riscontrabile in altri paesi europei, anche se negli ultimi anni l’area dei rapporti di lavoro a termine si è estesa in modo significativo, soprattutto per effetto delle innovazioni normative introdotte in tale materia durante la scorsa legislatura, che risultano peraltro condivisibili relativamente ai profili in questione. Il Governo in carica si è limitato a varare, nel 2001, il decreto legislativo che recepisce l’avviso comune europeo sul contratto a tempo determinato, e, pertanto, ove da parte dei Gruppi dell’opposizione si volessero riproporre le preoccupazioni inerenti la cosiddetta precarizzazione – preoccupazioni peraltro non suffragate dalle statistiche – occorrerebbe però anche riconoscere che le cause di esse devono essere individuate nelle misure adottate nella passata legislatura.
A fronte di tale situazione, non si può dunque sostenere che la legge n. 30 del 2003 tende a favorire l’ulteriore diffusione di situazioni di precarietà sul lavoro, a meno che non si voglia introdurre un’impropria ed inaccettabile equazione tra precarietà e flessibilità. La ratio sottesa alla disciplina legislativa di delega si incentra essenzialmente sull’obiettivo di “spalmare” il carico di lavoro, a parità di fatturato, sul maggior numero possibile di lavoratori, attraverso la promozione di forme lavorative a tempo parziale e a chiamata, fermo restando l’obiettivo di fondo di incoraggiare la stabilizzazione e la diffusione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Le misure proposte dal Governo intendono perseguire tale finalità attraverso il miglioramento del rapporto dell’impresa col fattore lavoro, fino ad oggi problematico a tal punto da indurre molti imprenditori all’effettuazione di abnormi investimenti sulle tecnologie di processo – proprio al fine di ridurre l’utilizzo della forza lavoro – con conseguente sottrazione di risorse agli investimenti finalizzati all’innovazione del prodotto.
L’introduzione in ambito lavoristico di fattispecie innovative, quali lo staff leasing, si inquadra anch’esso in un’ottica del tutto avulsa da quella attinente alla precarizzazione, essendo in particolare finalizzata a favorire l’aumento degli standard di terzializzazione – che al momento risultano inferiori a quelli degli altri paesi europei – nonché a superare i numerosi dubbi interpretativi spesso insorti in relazione alle fattispecie dell’ appalto di servizi illecito e dell’interposizione illecita di manodopera.
In riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative, occorre considerare che molte disposizioni sono state introdotte su richiesta della parte sindacale. E’ comunque importante evidenziare che la legge n. 30, per questo specifico profilo, intende ricondurre nell’ambito del lavoro autonomo, con la modalità delle collaborazioni “a progetto”, forme improprie di rapporto atipico, spesso volte a celare rapporti effettivi di lavoro subordinato. Al tempo stesso, il Governo intende incentivare le imprese a ricorrere al lavoro a tempo parziale e alle tipologie innovative di rapporto a tempo determinato.
Dalle considerazioni fin qui espresse emerge la reale ottica di fondo, sottesa al cosiddetto “pacchetto Biagi”, orientata, come già detto, nella direzione della armonizzazione dei profili inerenti alla flessibilità del lavoro con quelli attinenti alla sicurezza nel mercato del lavoro. In riferimento a tale ultima problematica va evidenziato che il mercato del lavoro non offre attualmente adeguati standard di sicurezza, non solo riguardo alle realtà economiche svantaggiate delle regioni meridionali, ma anche in relazione alle aree geografiche del nord-est, in cui la domanda di lavoro risulta in taluni settori superiore all’offerta.
La riforma degli ammortizzatori sociali, necessaria nel contesto complessivo fin qui descritto, presuppone la preventiva creazione di condizioni atte ad accrescere l’efficienza e la trasparenza del mercato del lavoro. A tal proposito risulta evidente che in taluni settori le politiche del lavoro promosse in passato sono state del tutto inadeguate, e le critiche spesso formulate in questo senso da Marco Biagi non hanno fatto altro che riprendere i rilievi mossi dalle istanze competenti dell’Unione europea. Efficienza e trasparenza del mercato del lavoro costituiscono comunque l’elemento fondante di politiche efficaci: basti pensare ai limiti degli interventi per la formazione professionale, risultati fino ad oggi inefficaci in quanto incentrati su analisi dei fabbisogni formativi spesso effettuate tardivamente e basate su dati incerti.
Sono state sollevate anche questioni relative alla costituzionalità del disegno di legge di delega all’esame, e, in proposito, appare grave e ingiustificata la decisione della regione Emilia Romagna di impugnare la legge n. 30 innanzi alla Corte costituzionale, senza neanche attendere di conoscere gli atti di esercizio della delega.
Con riferimento alle questioni attinenti al riparto di competenza legislativa fra lo Stato e le regioni, in materia di ammortizzatori sociali, la configurabilità di una competenza statuale esclusiva risulta comunque evidente, alla luce della connessione sussistente tra il sistema degli ammortizzatori e il sistema previdenziale. L’adesione a una diversa tesi interpretativa risulterebbe non solo erronea, ma anche pericolosa per l’equilibrio complessivo del sistema, in quanto rischierebbe di instaurare un meccanismo in base al quale a fronte di una prevedibile competizione fra le regioni per l’ampliamento della tutela inerente agli ammortizzatori sociali, resterebbe poi allo Stato il solo compito di fare fronte agli oneri previdenziali, con tutte le conseguenze negative derivanti da tale anomala separazione.

Dopo che il senatore BATTAFARANO ha precisato che le forze politiche di opposizione non hanno mai ipotizzato la sussistenza di una competenza delle regioni in materia di ammortizzatori sociali, mentre invece ritengono che essa sussista per quanto concerne gli incentivi all’occupazione, il sottosegretario SACCONI esprime la propria soddisfazione per tale opinione, condivisa anche dalle forze politiche di maggioranza. Osserva altresì che nel dialogo, non sempre facile, con le province e le regioni, circa il riparto delle reciproche competenze in materia di ordinamento del mercato del lavoro, il Governo ritiene essenziale dare priorità all’attuazione della nuova disciplina del collocamento ordinario e del Sistema informativo lavoro, che, nella sua nuova veste, tende sempre più a configurarsi come una rete di servizi all’impiego.
Il Sottosegretario prosegue quindi la sua esposizione, evidenziando che la riforma degli ammortizzatori sociali, ridefinita nell’ambito del Patto per l’Italia, si articola su due differenti pilastri, uno di tipo universale, fondato sull’indennità di disoccupazione, e l’altro di tipo mutualistico, incentrato sulle intese fra le parti sociali e volto a garantire l’adozione di interventi di sostegno al reddito caratterizzati dall’equilibrio tra prestazioni e contribuzioni.
Il meccanismo di accesso alle prestazioni inquadrabili nell’ambito del sistema degli ammortizzatori sociali va necessariamente ancorato a un insieme di criteri improntati ad un principio di rigore e responsabilità, sia per quanto concerne i requisiti pieni sia per i requisiti cosiddetti “ridotti”, risultando invece aberrante l’idea di garantire in maniera indifferenziata un reddito minimo a tutti i soggetti che ne siano privi. Quest’ultima scelta rischierebbe infatti di risolversi in un disincentivo generalizzato nei confronti dell’attività lavorativa, con la conseguente legittimazione dell’idea che le prestazioni erogate abbiano carattere sostitutivo del reddito lavorativo.
Diversamente dal reddito minimo di inserimento, che, soprattutto nel Mezzogiorno, si è rivelato uno strumento del tutto inidoneo ad assicurare l’accesso sul mercato del lavoro delle fasce sociali più disagiate, il reddito di ultima istanza, delineato all’interno del Patto per l’Italia, deve costituire una extrema ratio, da adottare solo in relazione a quelle situazioni eccezionali in cui le politiche del lavoro promosse non abbiano consentito il conseguimento gli obiettivi ad essi inerenti, obiettivi che devono essere incentrati sull’accrescimento degli standard di efficacia dei servizi destinati al mercato del lavoro, piuttosto che sulla elargizione indifferenziata di provvidenze ai disoccupati.
Il Governo non condivide l’idea di estendere in modo indiscriminato il sistema degli ammortizzatori sociali ai lavoratori autonomi, ma non esclude di prendere in considerazione la possibilità di studiare specifici interventi di sostegno al reddito – ferma restando l’esigenza di adottare criteri di accesso particolarmente rigorosi e nel limite delle risorse finanziarie disponibili – per quei soggetti che, operando in posizione di indipendenza, anche nella forma dell’autoimprenditorialità, versino tuttavia in una condizione di dipendenza socio-economica.
In riferimento alle questioni attinenti ai salari – in particolare per quel che concerne i profili inerenti alla congruità degli stessi – l’adozione da parte del Governo di politiche orientate nella direzione della detassazione ha determinato un’attenuazione degli aspetti problematici riscontrabili in tale materia.
Relativamente alle forme di tutela contro i licenziamenti illegittimi, contemplate nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è importante evidenziare che la disciplina proposta dal Governo in attuazione del Patto per l’Italia non è suscettibile di modificare la conformazione strutturale di tale fattispecie, limitandosi la stessa a incidere sul mero ambito applicativo della stessa. Tale ottica di fondo, richiamata di recente anche da autorevoli dirigenti delle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il Patto per l’Italia, risulta non del tutto divergente rispetto a quella sottesa alle varie misure adottate in passato, incentrate anch’esse sul principio del non computo di unità lavorative ai fini del raggiungimento della soglia dei quindici dipendenti – necessaria per l’applicabilità della tutela reintegratoria – per finalità sostanzialmente riconducibili all’incentivazione di nuove assunzioni. La CGIL, che attualmente si oppone all’adozione di tali politiche, non ha mai manifestato in passato la propria contrarietà rispetto alle sopracitate misure di incentivazione dell’occupazione .

Il senatore VIVIANI precisa brevemente che tali misure, assunte in passato, costituivano il punto di partenza di politiche del lavoro inquadrabili in un’ottica di più ampio respiro e orientate comunque in una prospettiva evolutiva, mentre attualmente gli interventi posti in essere si connotano essenzialmente come il momento conclusivo di una strategia, insuscettibile di ulteriori sviluppi.

Il rappresentante del GOVERNO ribadisce che la disciplina prevista, in riferimento alla materia inerente alla tutela contro i licenziamenti illegittimi, si prefigge l’obiettivo di incentivare la crescita dimensionale delle imprese e si pone in un’ottica attuativa rispetto al Patto per l’Italia, a cui hanno aderito quasi tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Nel ribadire la disponibilità del Governo ad un confronto ampio e senza pregiudiziali su tutti i temi oggetto del disegno di legge n. 848-bis, il rappresentante del Governo auspica un rapido iter di approvazione dello stesso, prospettando l’opportunità che l’esame parlamentare prosegua contestualmente alla celebrazione del referendum del 15 giugno, anche al fine di evidenziare temi ad argomenti che pongano in luce la sostanziale inutilità della consultazione popolare.

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

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