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Il Diario del Lavoro

Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali

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Home - Camera - Commissione Lavoro, pubblico e privato (Dai Resoconti Sommari)

Commissione Lavoro, pubblico e privato (Dai Resoconti Sommari)

19 Luglio 2018
in Camera

AUDIZIONI INFORMALI
Giovedì 19 luglio 2018.
Audizioni nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 924, di conversione del decreto-legge n. 87 del 2018, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
Audizione di rappresentanti del CONI.
L’audizione informale è stata svolta dalle 14.05 alle 14.30.
Audizione di esperti della materia.
L’audizione informale è stata svolta dalle 14.35 alle 15.55.
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro.
L’audizione informale è stata svolta dalle 16 alle 16.35.

AUDIZIONI INFORMALI
Giovedì 19 luglio 2018.
Audizione del Presidente dell’INPS nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 924, di conversione del decreto-legge n. 87 del 2018, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
L’audizione informale è stata svolta dalle 17.30 alle 18.35.

SEDE REFERENTE
Giovedì 19 luglio 2018. — Presidenza della presidente della VI Commissione, Carla RUOCCO. – Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Claudio Cominardi.
La seduta comincia alle 20.45.
DL 87/2018: Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
 
C. 924 Governo. 
(Seguito dell’esame e rinvio).
Le Commissioni proseguono l’esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 18 luglio scorso.
Carla RUOCCO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, dichiara chiuso l’esame preliminare del provvedimento, rinviandone il seguito dell’esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 20.50.


UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L’Ufficio di presidenza si è riunito dalle 21 alle 21.05.

ERRATA CORRIGE
Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 38 del 18 luglio 2018, a pagina 28, seconda colonna, trentaquattresima riga, dopo le parole «Carla RUOCCO, presidente,» inserire il seguente periodo: «avverte i colleghi che nel corso della giornata odierna sono state definite le ultime audizioni che si svolgeranno alle ore 13,30 di domani. Dopo l’audizione del Presidente dell’INPS, prevista alle ore 17,30, le Commissioni proseguiranno l’esame preliminare del provvedimento, in sede referente, come stabilito lunedì 16 dall’Ufficio di Presidenza congiunto, che ha fissato alle ore 20 di domani il termine per la presentazione degli emendamenti. Alle ore 21 si svolgerà una riunione congiunta dell’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, che potrà stabilire le modalità per il seguito dell’esame del provvedimento.»

AUDIZIONI INFORMALI
Mercoledì 18 luglio 2018.
Audizione di rappresentanti di Confindustria nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 924, di conversione del decreto-legge n. 87 del 2018, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
L’audizione informale è stata svolta dalle 8.35 alle 9.50.

SEDE REFERENTE
Mercoledì 18 luglio 2018. – Presidenza della presidente della VI Commissione, Carla RUOCCO. – Interviene il Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio.
La seduta comincia alle 14.05.
DL 87/2018: Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese. 
C. 924 Governo.
 
(Seguito dell’esame e rinvio).
Le Commissioni proseguono l’esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 16 luglio scorso.
Carla RUOCCO, presidente, rammenta che lo scorso lunedì 16 luglio i relatori, on. Tripiedi e on. Centemero, hanno illustrato i contenuti del decreto-legge e che, con la seduta odierna, si prosegue quindi l’esame preliminare del provvedimento. 
Comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata mediante l’attivazione dell’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l’attivazione.
Il ministro 
Luigi DI MAIO osserva preliminarmente che il decreto-legge in esame interviene in settori ben definiti, caratterizzati da una vera e propria emergenza sociale, introducendo disposizioni che, pur non essendo risolutive ed esaustive, costituiscono senz’altro un primo passo nella direzione del superamento dei problemi, dando, in primo luogo, un segnale al Paese sulla volontà del Governo di intervenire. Le emergenze affrontate sono riassumibili in quattro punti: il precariato dei giovani, le delocalizzazioni selvagge, gli eccessivi appesantimenti burocratici a carico dei professionisti e il gioco d’azzardo. Con riferimento alle difficoltà lamentate dai professionisti, il decreto-legge interviene sugli istituti dello spesometro, del redditometro e dello split payment. La loro eliminazione consentirà ai contribuenti di avere a disposizione maggiore liquidità per fare fronte ai versamenti tributari di fine anno. Quanto alle disposizioni in materia di lavoro, concorda con quanti affermano che i posti di lavoro non si creano con norme di legge ma, piuttosto, con investimenti ed aiuti alle imprese e, infatti, la finalità del decreto non è l’aumento dell’occupazione, ma la riduzione del precariato, specie dei giovani, attraverso la lotta all’abuso che si è finora fatto dei contratti a tempo determinato. Gli strumenti individuati sono la riduzione della durata complessiva del rapporto di lavoro a termine, l’introduzione, a partire dal secondo contratto, delle causali e l’aumento crescente del contributo addizionale a carico del datore di lavoro nei casi di rinnovo. Si tratta di misure su cui si può avere opinioni diverse, ma è incontrovertibile che il loro intento è dare tutele ai giovani che sono alla mercé di una piccola quota di datori di lavoro. Gli imprenditori onesti, la maggior parte, infatti, non si prendono gioco dei loro dipendenti, ma investono su di loro. Per questo, preannuncia l’intenzione di introdurre disposizioni che incentivino il ricorso al contratto a tempo indeterminato. 
Passando al tema delle delocalizzazioni, rifacendosi a quanto detto in Aula nel corso di un’informativa urgente sui tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello sviluppo economico, segnala che la maggior parte delle vertenze all’esame del suo Ministero riguarda, appunto, le conseguenze occupazionali di delocalizzazioni selvagge. Si tratta di imprese che, dopo aver avuto accesso ad incentivi pubblici e dopo avere sfruttato il 
know how dei propri dipendenti, scelgono, per la loro convenienza, di spostare altrove la produzione. Riconosce che passi avanti nella lotta a questa prassi sono stati fatti anche con i Governi precedenti, ma il decreto-legge in esame alza il tiro, per coprire ogni tipo di aiuto erogato da qualsivoglia amministrazione pubblica. Anche le sanzioni sono più incisive, essendo prevista la restituzione degli aiuti, comprensivi di interessi e sanzioni, per i casi di delocalizzazione al di fuori dell’Unione europea, e degli aiuti e dei soli interessi per le delocalizzazioni all’interno dell’Unione europea. L’intenzione è di utilizzare le somme così introitate per iniziative che, al contrario, premino le imprese che non delocalizzano. 
Quanto al divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, osserva che le maggiori resistenze sono venute dalle grandi realtà produttive che hanno in corso contratti milionari con le società del settore del gioco d’azzardo. Si tratta di resistenze ingiustificate, dal momento che il decreto-legge prevede un congruo periodo transitorio per permettere la rescissione dei contratti in essere. A tale proposito, ha preso atto con soddisfazione della recente decisione di 
Google di vietare ai suoi inserzionisti la pubblicità del gioco d’azzardo. 
In conclusione, il decreto-legge affronta alcune delle questioni sulle quali si è espresso il Paese nelle recenti elezioni dello scorso 4 marzo e non è un caso che esso sia stato adottato nella medesima seduta del Consiglio dei ministri in cui sono stati adottati anche il decreto-legge sulle competenze del Ministero dell’ambiente sulle problematiche attinenti alla Terra dei fuochi e il decreto-legge che prevede aiuti per il potenziamento della Guardia costiera libica. 
Viene, quindi, alla questione più dibattuta, ossia se il decreto-legge crei disoccupazione, riferendosi, in particolare, alla stima di 8.000 disoccupati alla scadenza del nuovo limite di ventiquattro mesi del
contratto a termine, recata dalla relazione tecnica, redatta dall’INPS. Anche a nome del Ministro dell’economia e delle finanze, afferma che tale stima non è condivisibile e ripercorre la vicenda che ha portato alla trasmissione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in successione, di due versioni della relazione tecnica dell’INPS: la prima, del 5 luglio, nella quale non erano ravvisate conseguenze finanziarie e la seconda, dell’11 luglio, nella quale, addirittura, era richiesta la copertura per la maggiore spesa connessa all’erogazione della NASpI. L’infondatezza di tale ultima ipotesi è, del resto, dimostrata anche dal fatto che, nella scorsa legislatura, la relazione tecnica allegata al decreto-legge di abolizione dei voucher non stimava alcun effetto negativo sull’occupazione, ipotizzando, anzi, la riconversione dei rapporti di lavoro persino in contratti a tempo indeterminato. Osserva, infine, che la vicenda da lui ripercorsa è stata almeno l’occasione per prevedere una maggiore attenzione da parte delle strutture burocratiche sul processo che segue l’adozione dei provvedimenti da parte del Consiglio dei ministri. 
Date queste premesse, pertanto, il Governo è intenzionato ad andare avanti sulla strada che si è prefisso, aprendo anche alle proposte di modifica del Parlamento che giudicherà coerenti con l’impianto delle disposizioni del decreto-legge. Un’ultima annotazione la riserva alla questione dei 
voucher: d’accordo con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, ritiene ragionevole reintrodurre tale strumento limitatamente a specifiche mansioni nel settore dell’agricoltura, evitando un’estensione indiscriminata e senza vincoli che potrebbe riaprire l’emergenza sociale che ha portato alla promozione di un referendum, per scongiurare il quale il Governo precedente ha imboccato la strada dell’abolizione totale dello strumento. Ora la situazione è cambiata e un intervento in tale ambito non sarebbe dettato dalla paura di una pronuncia referendaria, ma rappresenterebbe un vero e proprio obiettivo politico.
Walter RIZZETTO (FdI), ringraziando il ministro per la sua disponibilità e pur apprezzando le misure del decreto-legge riguardanti le delocalizzazioni e il gioco d’azzardo, crede che le altre disposizioni non presentino la necessaria incisività per arrivare al cuore del problema del precariato.
Carla RUOCCO, presidente, interrompendo brevemente il deputato Rizzetto, sollecita i colleghi a contenere i tempi dei loro interventi per permettere a tutti coloro che lo desiderano di intervenire e al ministro di replicare.
Walter RIZZETTO (FdI), proseguendo nel suo intervento, osserva la contraddizione rappresentata, da un lato, dalla riduzione della durata massima del rapporto di lavoro a termine e, dall’altro, dall’aumento dell’ammontare dell’indennità a carico del datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Parlando come imprenditore e non come politico, osserva che tale ultima misura va in direzione opposta all’auspicata stabilizzazione dei lavoratori precari. Chiede poi al ministro di precisare meglio come intende intervenire sui voucher e come pensa che, alla luce delle disposizioni recate dal decreto-legge, un imprenditore sia dissuaso dall’intenzione di licenziare il dipendente alla scadenza del primo contratto a termine. Rileva, tuttavia, che per l’approfondimento di tali questioni le Commissioni dovrebbero avere a disposizione un tempo più lungo di quello loro riservato, in considerazione dell’avvio della discussione in Assemblea previsto già all’inizio della prossima settimana. Tale calendarizzazione, tra l’altro, ha compromesso anche la possibilità di continuare l’audizione sulle linee programmatiche del Ministero, la cui prima seduta si è tenuta la scorsa settimana.
Carla RUOCCO, presidente, invita i colleghi a contenere la durata del proprio intervento, al fine di consentire a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta di prendere la parola.
Silvia FREGOLENT (PD) rileva con soddisfazione la disponibilità annunciata dal Ministro ad apportare modifiche al provvedimento, i cui potenziali danni sociali sono stati, nel corso delle audizioni già svolte dalla Commissioni, evidenziati, tra l’altro, dalle organizzazioni sindacali, da R.ETE. Imprese Italia e da ultimo, da Confindustria. Sebbene nessuno possa dichiararsi contrario alla necessità di diminuire la burocrazia, ridurre il precariato, combattere le delocalizzazioni selvagge e il gioco d’azzardo – finalità annunciate dal Governo con la presentazione del decreto-legge «Dignità» – passando dagli slogan alle concrete disposizioni vengono alla luce evidenti difficoltà. 
Appare certo condivisibile un intervento di sburocratizzazione, ma si deve comprendere allora come il Governo intenda condurre la lotta all’evasione fiscale, posto che, in altri provvedimenti, si rinvia l’entrata in vigore della fatturazione elettronica. Si assiste in realtà, a suo avviso, ad un irrigidimento del mercato del lavoro, che sotto l’apparenza della lotta al precariato, serve in realtà unicamente a dare alle imprese maggiore libertà in ambito fiscale, con buona pace dei pensionati e di coloro che onestamente pagano le tasse. 
Anche in materia di gioco d’azzardo, sembra prevalere la propaganda rispetto alla volontà di introdurre norme efficaci contro la ludopatia. Nella stessa relazione illustrativa del provvedimento si evidenzia come l’azione perpetrata rischi di essere vanificata dall’assenza di una disciplina sovranazionale. 
Evidenzia, richiamando sul punto la relazione tecnica che accompagna il provvedimento, che la pubblicità degli apparecchi da divertimento, settore ritenuto a più forte rischio per il gioco cosiddetto problematico, sarebbe quasi pari a zero, mentre per il gioco 
on line la pubblicità e la sponsorizzazione rappresenterebbero l’unico modo per evitare il gioco illegale. È quindi la stessa relazione tecnica ad evidenziare la contraddizione delle misure in questione: non si interviene che per gli apparecchi da divertimento, mentre si incentiva il gioco illegale.
Carla RUOCCO, presidente, invita la deputata Fregolent a concludere il proprio intervento.
Silvia FREGOLENT (PD) osserva infine, sul tema delle delocalizzazioni, che già i Governi precedenti avevano previsto che chi, dopo aver usufruito di aiuti da parte dello Stato, decideva di delocalizzare la propria attività produttiva, dovesse restituire tali aiuti. Le misure contenute nel provvedimento determineranno maggiori difficoltà per le imprese italiane che vogliano internazionalizzarsi e per le imprese straniere che intendano invece investire in Italia. Segnala come tali interventi finiscano per colpire la parte meridionale del Paese, che avrebbe bisogno di misure atte ad attrarre investimenti e non a scoraggiarli.
Gian Mario FRAGOMELI (PD), nel ringraziare il Ministro per la presenza, evidenzia che il provvedimento si occupa, giustamente, di coloro che hanno investito nel nostro Paese e poi lo abbandonano, con le conseguenti ricadute occupazionali, ma non si preoccupa a sufficienza di coloro che intenderebbero investire in Italia. 
Ricorda al riguardo che Confindustria, nel corso della odierna audizione, ha sottolineato l’insostenibilità per molte imprese di alcune delle misure recate dal decreto-legge, come quella sui crediti d’imposta ricerca e sviluppo, a fronte di investimenti tecnologici che spesso devono essere trasferiti su altre società facenti parte della stessa 
holding. 
Analogamente, con riferimento alle misure in tema di iperammortamento, rileva come vi siano grandi imprese edili italiane che hanno commesse all’estero, per le quali impiegano strumenti in alcuni casi acquistati con agevolazioni. Sottolinea il rischio che questo decreto diventi il decreto
dei disinvestimenti piuttosto che della dignità dei lavoratori e delle imprese. 
Con riferimento ai tavoli di crisi su cui il ministro ha svolto oggi alla Camera una informativa urgente, chiede quanti di questi tavoli riguardino le delocalizzazioni «selvagge». 
Quanto alle misure in ambito fiscale, come il superamento del redditometro e dello spesometro, osserva che il decreto non fa altro che anticipare interventi legislativi già previsti dal precedente Governo.
Mauro DEL BARBA (PD) ringrazia il Ministro per la sua presenza e si rallegra che questi sia passato rapidamente da dichiarazioni piene di entusiasmo sul tema della dignità dei lavoratori ad affermazioni assai più prudenti sulle misure concrete che il Governo intende mettere in campo. Ritiene sia un bene passare dalle dichiarazioni trionfalistiche che vengono riportate dai media a quelle ben più caute espresse dal Ministro oggi. 
Con riferimento alla questione degli 8 mila posti di lavoro che andrebbero persi attuando le misure contenute nel decreto, invita il Ministro a prendere atto della necessità di un sano rapporto dialettico con le istituzioni dello Stato, giovando questo alla democrazia ed al provvedimento stesso. Sottolinea come, al di là delle stime, che il Ministro non ritiene attendibili, i timori circa un aumento della disoccupazione siano in realtà fondati, dato che il decreto reca in sé una grave contraddizione: vi sono misure atte a creare ostacoli al lavoro a tempo determinato che però non incoraggiano, come sarebbe stato logico attendersi, quello a tempo indeterminato, anzi finiscono per renderlo più oneroso. Non comprende per quale ragione il Governo, coerentemente con le proprie dichiarazioni, non abbia previsto sgravi contributivi per le fasce giovanili. Invita quindi il Ministro ad evitare inutili conflitti con le istituzioni dello Stato e a disporsi con maggiore pacatezza ad ascoltare le parti sociali, le Commissioni e l’Aula. Auspica che la capacità di ascolto si manifesti nei prossimi giorni, posto che questo decreto può provocare ingenti danni, mentre, se vi saranno tempi e spazi adeguati per un lavoro comune, vi sarà modo di migliorarlo.
Vita MARTINCIGLIO (M5S) fa riferimento all’articolo 5 del decreto, concernente i limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti, e più precisamente al comma 3, che dispone che i tempi per la restituzione dei benefìci fruiti in caso di accertamento della decadenza, siano definiti da ciascuna amministrazione con propri provvedimenti. Rivolge al Ministro una richiesta di chiarimenti sul punto, al fine di comprendere se in tali amministrazioni siano ricompresi gli enti locali o le regioni che sostengono gli investimenti produttivi e per capire in quale modo le stesse si coordineranno tra loro al fine di svolgere efficacemente i controlli e ottenere dalle imprese la restituzione dei benefìci fruiti da cui siano decadute. 
Auspica che le misure proposte possano scongiurare il ripetersi di situazioni particolarmente deplorevoli, quale ad esempio il caso verificatosi nel 2016 in Puglia, dove la impresa Tua AutoWorks, dopo aver presentato un contratto di sviluppo che prevedeva un contributo statale di 36 milioni di euro, è fallita a pochi mesi dall’insediamento, con grave danno per i lavoratori coinvolti. 
Esprime in conclusione un plauso alle misure in tema di delocalizzazione, che mettono fine alla visione dell’Italia come terra di conquista da saccheggiare, lasciando i lavoratori senza la dignità di un impiego.
Luca MIGLIORINO (M5S) ricorda che, fatta eccezione per Confindustria, le parti sociali ascoltate dalle Commissione hanno tutte espresso un parere nettamente positivo sul provvedimento. Ritiene che nel possibile aumento dei contenziosi, da alcuni paventato, risieda piuttosto il concetto di dignità che dà il nome al decreto: infatti essi rappresentano maggiore tutela dei diritti dei lavoratori e non un onere o una perdita di tempo per gli imprenditori, magari stranieri. Lavoratori con più diritti e con un impiego più sicuro recano benefici agli imprenditori stessi.
Paolo ZANGRILLO (FI), apprezzando la presenza in seduta del ministro, dichiara che avrebbe ancor più apprezzato, se fosse stata possibile, la presenza del Presidente della Repubblica, che avrebbe potuto dare chiarimenti sui requisiti costituzionali di straordinaria necessità e urgenza alla base del decreto-legge. Da un punto di vista metodologico, esprime la sua critica per il fatto che il provvedimento affronta una materia estremamente delicata per il futuro del Paese senza che il Governo abbia prima proceduto alla consultazione delle parti sociali. Ma le sue critiche riguardano anche il merito del decreto, non comprendendo l’enfasi posta sul fenomeno del precariato. Dei 23,5 milioni di occupati in Italia, infatti, solo tre milioni sono lavoratori con contratti a termine, perfettamente in linea con la media europea. In Germania, un buon esempio che l’Italia dovrebbe tenere presente, il contratto a termine per le nuove aziende può arrivare fino a quattro anni. Se è d’accordo con il ministro quando dice che il lavoro non si crea con la legge, osserva che essa però può creare gravissimi danni. Il principio sanzionatorio, sotteso a tutto l’impianto del provvedimento, infatti, non appare idoneo ad incentivare gli imprenditori a investire e ad assumere. Se il ministro avesse ascoltato le parti sociali, non avrebbe definito il contratto di somministrazione un caporalato, ma avrebbe convenuto che si tratta, al contrario, di uno strumento fondamentale, come messo in luce dalle audizioni condotte dalle Commissioni riunite. Se le parti sociali fossero state preventivamente ascoltate, il decreto avrebbe contenuto norme volte a promuovere il miglioramento delle competenze dei lavoratori, competenze richieste dalle imprese, ma che sono estremamente rare sul mercato del lavoro. Ricorda, infatti, che gli ultimi dati disponibili certificano circa 500.000-600.000 posti di lavoro vacanti per mancanza delle competenze necessarie.
Debora SERRACCHIANI (PD), intervenendo sull’ordine dei lavori, auspica che il ministro Di Maio si adoperi per consentire alle Commissioni di approfondire i temi del decreto-legge, consentendo uno slittamento dell’inizio dei lavori dell’Assemblea. Venendo, quindi, al merito del provvedimento, osserva che per il Partito democratico lo strumento per creare occupazione non è l’aumento dei costi del contratto a tempo determinato, ma, al contrario, la riduzione di quelli del contratto a tempo indeterminato. A tale proposito, ricorda che il ministro ha preannunciato la proposta di una disposizione che incentivi la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, ma non è chiaro se intenda la presentazione di una proposta emendativa al decreto-legge all’esame o una proposta autonoma. Preannuncia che il suo gruppo presenterà un emendamento che prevede la riduzione per i primi quattro anni di un punto percentuale del costo del lavoro che grava sul contratto a tempo indeterminato. La proposta del ministro, invece, prevederebbe la restituzione del contributo aggiuntivo versato in occasione del rinnovo del contratto a termine, nel caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato. Si tratta, però, di una misura già prevista dall’articolo 2 della legge n. 92 del 2012. Con riferimento al contratto di somministrazione, ricorda che tutti i soggetti sentiti dalle Commissioni riunite hanno convenuto che si tratta di uno strumento diverso dal contratto a tempo determinato, più garantita e sicura, coerente con la normativa europea. A tale tipo di contratto non possono imporsi né le causali, né l’obbligo di un intervallo di tempo tra un contratto e l’altro (il cosiddetto «stop and go»), obblighi non compatibili con la sua natura. Invita, pertanto, il Governo a eliminare dal testo del decreto le disposizioni riguardanti tale tipo di contratto.
Carla RUOCCO, presidente, invita la deputata Serracchiani a terminare il suo intervento.
Debora SERRACCHIANI (PD), con riferimento ai voucher, ricorda che, in occasione della richiesta di referendum, il ministro Di Maio si era detto favorevole alla loro abolizione, definendoli, insieme all’allora deputato Di Battista, un’indecenza. Da ministro, di fronte alla richiesta di una loro reintroduzione, ha affermato che avrebbe alzato un muro di cemento armato. Visto che tale muro appare crollato, chiede come intenda procedere alla reintroduzione di tale istituto, considerando che i voucher nel settore agricolo già sono previsti, anche se in forma un po’ diversa dal passato.
Sebastiano CUBEDDU (M5S), ringraziando il ministro per la sua presenza, condivide la sua decisione di adottare il decreto-legge. Osserva che le audizioni tenute dalle Commissioni riunite lo hanno ancora di più convinto della bontà della strada intrapresa dal Governo. I rappresentanti di Confindustria, infatti, hanno sottolineato più volte lo sforzo richiesto alle imprese dalle nuove disposizioni, con particolare riferimento alla reintroduzione dell’obbligo delle causali. È la dimostrazione, a suo giudizio, che, creando una discontinuità con il passato, il decreto-legge pone fine agli attuali abusi del ricorso al contratto a termine, che nel 2017 ha rappresentato la forma contrattuale del 90 per cento dei rapporti costituiti nell’anno. Il decreto-legge, pertanto, veramente restituisce dignità ai lavoratori.
Debora SERRACCHIANI (PD) osserva che la presidente non interrompe i colleghi della maggioranza, per invitarli a concludere.
Carla RUOCCO, presidente, invita la deputata Serracchiani a non interrompere il collega, visto che tutti gli intervenuti hanno avuto la possibilità di esprimersi e il deputato Cubeddu, finora, ha parlato per meno tempo rispetto agli altri colleghi intervenuti in precedenza.
Sebastiano CUBEDDU (M5S) conclude rilevando che tutte le critiche degli oppositori del decreto-legge non riguardano il merito del provvedimento, limitandosi a stigmatizzare la scelta di fondo assunta dal Governo, ovvero la promozione dell’uso corretto del contratto a tempo determinato.
Carla RUOCCO, presidente, fa presente di avere ancora undici richieste di intervento.
Davide ZANICHELLI (M5S) rammenta che il contrasto all’azzardopatia è uno dei punti qualificanti del «decreto dignità» poiché tratta della salute dei cittadini italiani. Dagli ultimi dati emerge che oltre 1 milione di persone in Italia sono considerate «a rischio azzardopatia». Le liberalizzazioni introdotte negli scorsi anni hanno portato a una situazione allarmante: 102 miliardi di euro «azzardati», con solo 9 miliardi di entrate per lo Stato. 
Evidenzia inoltre come questo fenomeno stia rovinando migliaia di persone, con costi incalcolabili e pesanti danni per l’economia reale e il sistema sanitario. Ritiene che abolire la pubblicità del settore dei giochi d’azzardo sia un primo passo importante per diminuire questo fenomeno e non comprende come Confindustria possa continuare a difendere la possibilità di pubblicità dei giochi d’azzardo e non tenere conto dei danni che questo fenomeno reca all’economia reale. 
Giudica favorevolmente il decreto pur sapendo che vi è ancora molto da fare per risolvere la piaga sociale improduttiva che questo fenomeno costituisce, dalle concessioni alle regolamentazioni, fino alle sanzioni più pesanti per gli abusi. Auspica che il Governo vada avanti su questa strada e chiede di sapere quali saranno le prossime iniziative del Governo in questo senso.
Graziano MUSELLA (FI) auspica che il Ministro Di Maio dia seguito alle sue odierne dichiarazioni, permettendo che il decreto-legge sia modificato con misure di premialità, che limitino gli effetti negativi sulle imprese. Con riferimento alle disposizioni contro il gioco d’azzardo, a suo giudizio il divieto di pubblicità è una disposizione che non raggiungerà l’obiettivo. Lamenta, inoltre, la mancanza nel provvedimento di disposizioni che favoriscano lo svecchiamento della pubblica amministrazione, ad esempio misure che permettano ai comuni virtuosi di assumere personale e misure che consentano la mobilità volontaria dei dipendenti all’interno della pubblica amministrazione. Si tratta di previsioni che si augura possano venire introdotte nel provvedimento nel prosieguo del suo esame.
Ettore Guglielmo EPIFANI (LeU), osservando quanto sia impegnativa la denominazione del decreto «dignità», osserva che, tuttavia, esso non affronta i veri nodi della precarietà, ossia i fattorini privi di qualsiasi tutela, le false cooperative, i contratti pirata, e via dicendo. Certo, i temi affrontati sono condivisibili, ma le soluzioni proposte non sono incisive. Chiede, pertanto, al ministro di accogliere le soluzioni che saranno elaborate nel corso dell’esame parlamentare, in quanto si tratterà di contributi al miglioramento del provvedimento. Sul contratto a termine, se, da un lato, condivide la reintroduzione delle causali, dall’altro capisce gli imprenditori che, attraverso la loro organizzazione di categoria, hanno espresso preoccupazione per il prevedibile aumento del contenzioso. Per evitarlo, è pertanto necessario o rendere le norme più chiare, o rinviare alla contrattazione collettiva un maggiore dettaglio. Non condivide l’estensione della disciplina del contratto a tempo determinato al contratto di somministrazione, in quanto si tratta di un contratto che, già a legislazione vigente, offre maggiori garanzie e prevede costi maggiori per l’imprenditore che vi fa ricorso. Crede che sia necessario un ulteriore approfondimento anche sul tema della delocalizzazione, allo scopo di distinguerla dalla internazionalizzazione e di differenziare le penalizzazioni tra i casi delocalizzazione di tutta l’attività di impresa e i casi in cui la delocalizzazione interessi sono una parte di essa.
Carlo FATUZZO (FI), dopo avere salutato con entusiasmo la possibilità che finalmente gli è offerta di parlare con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, auspica la piena realizzazione nei prossimi cinque anni del contratto di Governo, con particolare riferimento alla pensione di cittadinanza, all’aumento dell’indennità agli invalidi civili, al superamento della riforma Fornero. Si tratta di misure che si sarebbe aspettato fossero già contenute nel decreto-legge «dignità», nel quale sarebbe stato anche opportuno introdurre disposizioni più incisive sul gioco d’azzardo, di cui propone addirittura il divieto assoluto.
Galeazzo BIGNAMI (FI) sottolinea innanzitutto, pur nella massima condivisione del contrasto alla ludopatia e al gioco d’azzardo, la distinzione tra gioco d’azzardo e gioco di abilità – richiama a titolo di esempio alcuni giochi di carte, come la briscola – da tenere in considerazione per non colpire indistintamente un settore che rischia, altrimenti, di essere esposto ad una vera e propria caccia alle streghe. 
In materia di delocalizzazione, evidenzia come assai difficilmente le multinazionali mantengono la medesima struttura societaria quando si spostano da un paese all’altro, e chiede pertanto al Ministro se il Governo stia valutando forme e modalità di intervento rispetto a tali fattispecie, per evitare che le modifiche nel passaggio da nazione a nazione eludano le finalità delle disposizioni. 
Con riferimento allo 
split payment, chiede se il Governo abbia valutato il caso delle aziende che hanno rapporti bivalenti con la pubblica amministrazione e con il settore privato e che rischiano, per effetto di questo meccanismo, di trovarsi esposte a crisi di liquidità, non potendo portare in compensazione l’IVA maturata nei rapporti con la P.A. 
Quanto infine alla fatturazione elettronica, esprime grande preoccupazione, soprattutto con riferimento agli artigiani o piccoli imprenditori, che si trovano esposti ad adempimenti e a complessità burocratiche che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto agli intenti, condivisibili, di semplificazione annunciati dal Governo. Queste categorie, dovendosi affidare a professionisti per adempiere agli
obblighi previsti, dovrebbero affrontare costi e un aggravio delle procedure che non appaiono compatibili con uno snellimento delle procedure.

Renata POLVERINI (FI), apprezzando la presenza, di certo irrituale, di un ministro nel corso del dibattito sulle linee generali, avrebbe tuttavia preferito un’organizzazione diversa della seduta, che desse la possibilità ai deputati di esprimersi più compiutamente. Tornando sulla vicenda, ripercorsa dal ministro, della successione delle relazioni tecniche dell’INPS e premesso che il ministro ha il suo appoggio quando critica il presidente dell’INPS sul modo con cui svolge il suo lavoro, osserva che l’Istituto non dovrebbe elaborare stime sulle conseguenze delle scelte politiche del Governo. Venendo, quindi, al merito del decreto-legge, prende atto dell’apertura del ministro alle eventuali modifiche proposte dal Parlamento, ma non le è chiaro su quali temi. Auspica, ad esempio, che sia eliminata la disposizione che riguarda il contratto di somministrazione, da lei avversato quando fu introdotto nell’ordinamento, ma che ora, provvisto di garanzie, le sembra ben rispondere alle esigenze dell’attuale mercato del lavoro. Quanto ai voucher, osserva che il problema si è creato con la liberalizzazione progressivamente introdotta dai Governi precedenti e, pertanto, la soluzione, a suo giudizio, sarebbe quella di tornare allo spirito della legge Biagi, che aveva introdotto tale strumento. Altri punti che, a suo avviso, sarebbero meritevoli di interventi in questa sede sono il tema della rappresentanza e dei contratti nazionali, per superare l’attuale «giungla», e quello, già menzionato dal collega di gruppo, dello svecchiamento e della digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Romina MURA (PD), osservando che non è chiaro se il decreto-legge in esame sia espressione di tutta la maggioranza di Governo o del solo Movimento 5 Stelle, come sembrerebbe visto il dibattito sui voucher, rileva due difetti di impostazione alla base del provvedimento. Il primo è rappresentato dall’adozione di disposizioni di grande impatto sul mercato del lavoro, senza la preventiva concertazione con le parti sociali. Ciò ha causato problemi, per esempio sulla questione delle causali, che si sarebbero potuti evitare. Il secondo difetto di impostazione da lei ravvisato riguarda la contraddizione tra la volontà dichiarata di tutelare i lavoratori combattendo il precariato e i costi posti a carico delle imprese, gli unici soggetti che possono creare lavoro. Ciò comporterà una riduzione del numero dei rinnovi dei contratti a tempo determinato e nuova disoccupazione. Infine, ritiene che le disposizioni contro il gioco d’azzardo siano l’ennesimo spot elettorale, in quanto l’unica strada valida sarebbe stata quella di dare risorse ai comuni, che già molto stanno facendo, per implementare le misure già adottate.
Stefano LEPRI (PD) chiede al ministro, in primo luogo, se ritiene ancora valide le misure del decreto-legge, visto che tutti i soggetti ascoltati dalle Commissioni riunite sono stati concordi nel prevedere il fallimento delle misure adottate e l’aumento del precariato. In secondo luogo, chiede chiarimenti sulla sua attuale posizione sui voucher, dal momento che nella scorsa legislatura si era espresso nettamente per la loro abolizione. Infine, osserva che le misure volte a ridurre gli oneri burocratici per le imprese non aggiungono nulla di nuovo a quanto già previsto dall’ordinamento in tema di spesometro, redditometro e split payment, se non, in minima parte, per i professionisti.
Marco LACARRA (PD), apprezzando la disponibilità del ministro, auspica che accolga le critiche emerse dalle audizioni condotte dalle Commissioni riunite, che, si augura, possano proseguire nei prossimi giorni, per permettere ai deputati di avere un quadro più chiaro della situazione. Sul merito del provvedimento, osserva la mancanza di chiarezza sulla ratio delle disposizioni: il fatto che siano previsti solo aggravi a carico delle imprese, sia per il contratto a tempo determinato, sia per quello a tempo indeterminato, risulta contraddittorio. Per questo, sul punto auspica che il Governo accetti di apportare correzioni. Sulle causali, concorda con coloro che ritengono necessaria una maggiore chiarezza già nella norma o attraverso un rinvio alla contrattazione collettiva, allo scopo di evitare l’insorgere di contenzioso. Tale fenomeno può essere indotto, a suo giudizio, anche dal previsto aumento dell’indennità a carico del datore di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato. Da questo punto di vista, inoltre, non si realizza affatto la tutela del lavoratore, dal momento che è prevedibile che il datore di lavoro cercherà una via stragiudiziale, con costi minori per lui, per definire la vertenza. Infine, invita il ministro a ripensare le disposizioni riguardanti il contratto di somministrazione, evitando la sovrapposizione con il contratto a termine, da cui si differenzia per molti aspetti, tra i quali, ricorda, l’orientamento al lavoro.
Carla RUOCCO, presidente, rammenta che alle ore 16 riprenderanno i lavori dell’Assemblea ed invita quindi i colleghi ancora iscritti a parlare a contenere i propri interventi.
Sestino GIACOMONI (FI) chiede alla Presidente di garantire a tutti deputati la possibilità di esprimersi compiutamente, ai fini di un confronto il più ampio e approfondito possibile. Ringrazia il ministro Di Maio per la sua presenza ed osserva come egli abbia impegnato larga parte del suo intervento a giustificarsi. Dopo aver ascoltato le parti sociali in questi giorni, ritiene che la previsione del 10 per cento di posti di lavoro a tempo determinato che non verrà riconfermato sia in realtà una previsione ottimistica. Rileva come i numerosi incontri del ministro con gli imprenditori dovrebbero oramai averlo messo al corrente della loro contrarietà al decreto in esame, che rischia di provocare un aumento del costo del lavoro e del numero dei contenziosi tra imprese e lavoratori, nonché di scoraggiare i contratti a tempo determinato, così come la internazionalizzazione delle imprese. Ritiene che il provvedimento rappresenti in realtà un «incidente di percorso», anche dovuto al fatto che il ministro ricopre un doppio incarico. 
In qualità di vicepresidente della Commissione Finanze, riterrebbe inoltre opportuno che il Ministro illustrasse quanto prima alla Commissione l’atteso provvedimento sulla 
flat tax, preannunciato nel contratto di Governo.
Alessandro CATTANEO (FI) pur evidenziando come il tema della lotta al precariato sia un’esigenza ampiamente condivisa e come sarebbe certamente auspicabile garantire a tutti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, occorre tuttavia prendere atto dell’impossibilità di un tale obiettivo. Il suo gruppo intende piuttosto intervenire con un vero e proprio «shock fiscale» sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato, introducendo misure di detassazione totale per i lavoratori più giovani. Ritiene inoltre opportuno evidenziare l’autorevolezza di istituzioni come Confindustria, che non devono essere oggetto di attacchi di natura pretestuosa da parte del Governo.
Carla CANTONE (PD) intende dare al ministro alcuni consigli che, pensa, gli saranno utili. Il suo non è un «decreto dignità», perché crea angoscia nei lavoratori, non più sicuri del rinnovo dei loro contratti, pone limitazioni alla libertà di assunzione a tempo indeterminato delle imprese e esclude le parti sociali dalla possibilità di discutere sui contenuti dei contratti e sulle causali. Infine, giudica sbagliato il modo con cui si intende reintrodurre i voucher. 
Il ministro 
Luigi DI MAIO, nel premettere che cercherà, nel breve tempo a disposizione, di rispondere al maggior numero di questioni sollevate nel corso dei numerosi interventi, si sofferma in primo luogo sull’accusa che viene avanzata al Governo di aver aumentato, con il provvedimento in esame, il costo dei contratto a tempo indeterminato, con riferimento all’introduzione di penali, ovvero di mensilità da corrispondere, in caso di ingiusto licenziamento. In realtà, ciò che il Governo intende conseguire è un aumento delle sanzioni e quindi delle tutele a favore di coloro che subiscono, nel contratto a tempo indeterminato, un licenziamento ingiustificato. Si tratta di misure di contrasto al precariato, ovvero di quello stato continuo di incertezza nel quale vivono i lavoratori, che nel corso degli ultimi anni hanno progressivamente perduto garanzie, strumenti di tutela e certezza del posto di lavoro, soprattutto con riferimento al lavoro presso multinazionali o grandi centri commerciali. 
Analogamente, con riferimento alla disciplina delle causali, evidenzia come si intenda introdurre la possibilità per i lavoratori di acquisire maggiore peso contrattuale, fornendo loro uno strumento contro gli abusi, poiché il lavoro a tempo determinato deve essere giustificato da esigenze oggettive. Sottolinea come, in ogni caso, proprio in considerazione della natura del mondo delle imprese e al fine di consentire che datore di lavoro e lavoratore imparino a conoscersi bene, non si è previsto, per il primo anno di contratto a tempo determinato, alcuna causale. 
Rileva quindi come sul decreto-legge in discussione vi siano valutazioni positive e negative, tutte ugualmente preziose per il Governo; si permette tuttavia di dubitare di alcuni centri studi che attaccano il decreto dignità. Ritiene inaccettabile che soggetti come Confindustria, che rappresenta le aziende di stato, difenda il gioco d’azzardo; vi è una responsabilità sociale delle imprese nazionali, che dovrebbero pretendere dal proprio organo di rappresentanza un comportamento eticamente corretto nei confronti di una piaga sociale quale il gioco d’azzardo. Anche la lotta al precariato e allo sfruttamento dei lavoratori deve partire dalle aziende nazionali, che dovrebbero dare il buon esempio. 
Passando al tema delle delocalizzazioni, ha ascoltato posizioni non condivisibili, circa il fatto che le misure previste disincentiverebbero gli investimenti in Italia da parte delle imprese. Invita i colleghi a riflettere sul caso di un imprenditore che intenda investire in Italia, riceva a tal fine fondi dallo Stato e programmi di non rimanere nel Paese nemmeno per cinque anni dopo la percezione dell’incentivo. Ebbene, non si tratta di un investitore, ma solo di qualcuno che vuole prendere i soldi dello Stato italiano con la chiara intenzione di andarsene. 
Sottolinea quindi la distinzione tra internazionalizzazione e delocalizzazione ed invita i colleghi parlamentari a non confondere i due piani, mettendoli strumentalmente in contrapposizione. Ribadisce la posizione favorevole del Governo rispetto alla internazionalizzazione, all’aumento dell’export e allo sviluppo dei rapporti con l’estero delle imprese italiane. Tutto ciò non va confuso con il problema della delocalizzazione. 
Si attacca il provvedimento del Governo con argomenti che sono mirati alla drammatizzazione della situazione, si parla di fine del lavoro in Italia, sulla base di previsioni che non considera attendibili. Ribadisce come il Governo non abbia mai affermato di voler creare più lavoro, ma piuttosto di avviare un processo di stabilizzazione nei confronti di coloro che vivono gli abusi del contratto a tempo determinato. Si tratta cioè di ridare dignità ad una categoria sociale, ad una componente della società italiana, che anche se fosse piccola – come qualcuno sostiene – merita attenzione da parte del Governo. 
Rileva quindi come, quando il Governo ha preannunciato l’abolizione di redditometro, spesometro e 
split payment, qualcuno ha chiesto di sapere come il Governo intendesse allora combattere l’evasione fiscale. Evidenzia sul punto che questi strumenti, sebbene nati per combattere l’evasione fiscale, hanno finito per penalizzare pesantemente proprio gli imprenditori più diligenti nei confronti del fisco, penalizzando le loro attività economiche; solo lo spesometro, nel secondo semestre dell’anno, prevedeva l’onere di due ulteriori comunicazioni. 
È particolarmente soddisfatto del provvedimento presentato dal Governo al Senato che consente il rinvio degli obblighi
di fatturazione elettronica per i distributori di carburante ed auspica che in fase di conversione del decreto-legge la misura possa essere estesa anche agli appalti pubblici. Ciò perché le aziende in questione non sono mai state preparate ad affrontare la fatturazione elettronica. 
Il Governo con le misure recate dal decreto-legge in discussione ha quindi inteso dare una tregua, per così dire, alle imprese, alleggerendole del carico burocratico dello spesometro, eliminando il redditometro, dando ai professionisti maggiore liquidità, affinché nei prossimi sei mesi si possano preparare alla fatturazione elettronica, anche mediante l’istituzione di tavoli presso il Governo. 
Quanto all’assenza di un divieto di pubblicità del gioco d’azzardo in ambito europeo, auspica che su questo tema la passività di Bruxelles e il potere delle lobby di settore possano cedere il passo, magari a seguito delle prossime elezioni europee e ad un cambio di maggioranza nel Parlamento europeo, ad una riflessione sul punto. Nel frattempo l’Italia procede all’abolizione di questa forma di pubblicità. Condivide le preoccupazioni manifestati riguardanti il gioco d’azzardo con riferimento ai minori, evidenziando come spesso i ragazzi possano trovare esempi negativi proprio nella pubblicità, magari fatta da personaggi di spicco del mondo dello sport. Si può certo fare di più ulteriori misure potranno essere affrontate in altra sede. 
Evidenzia in conclusione come il provvedimento in discussione non esaurisca certo gli interventi che debbono essere rivolti al mondo del lavoro. Qualcuno ha sollevato il tema dei 
riders, delle false cooperative e di altri ambiti di sfruttamento nostro paese, e si tratta di problemi che il Governo sta affrontando in altra sede. Sui riders, in particolare, il Governo ha costituito un tavolo di contrattazione collettiva, che se non dovesse avere esiti positivi nei prossimi giorni potrebbe portare il Governo all’introduzione di una specifica disposizione nel decreto-legge in esame. 
Con riguardo invece alle false cooperative, rammenta che vi è in materia una proposta di legge già pronta, a tutela delle cooperative serie e oneste, che potrebbe anche assumere la forma di un disegno di legge del Governo e della quale auspica che il Parlamento possa avviare il prima possibile l’esame. 
Conferma infine la piena volontà del Governo di intervenire su tutti questi fronti. Si è cominciato dal decreto-legge «Dignità», ma si intende proseguire con convinzione, nell’intento di aiutare le imprese, stabilizzare i lavoratori, sostenere il tessuto produttivo del Paese punendo le delocalizzazioni selvagge, salvare famiglie e anche vite dal vortice del gioco d’azzardo.
Debora SERRACCHIANI (PD) chiede ulteriori chiarimenti sulla possibile reintroduzione dei voucher.
Il ministro 
Luigi DI MAIO conferma sui voucher quanto già detto nella propria iniziale relazione.
Carla RUOCCO, presidente, avverte i colleghi che nel corso della giornata odierna sono state definite le ultime audizioni che si svolgeranno alle ore 13,30 di domani. Dopo l’audizione del Presidente dell’INPS, prevista alle ore 17,30, le Commissioni proseguiranno l’esame preliminare del provvedimento, in sede referente, come stabilito lunedì 16 dall’Ufficio di Presidenza congiunto, che ha fissato alle ore 20 di domani il termine per la presentazione degli emendamenti. Alle ore 21 si svolgerà una riunione congiunta dell’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, che potrà stabilire le modalità per il seguito dell’esame del provvedimento. 
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.

SEDE CONSULTIVA
Martedì 17 luglio 2018. — Presidenza del presidente Andrea GIACCONE.
La seduta comincia alle 9.05.
Rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato per l’esercizio finanziario 2017. 
C. 850 Governo.

Disposizioni per l’assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l’anno finanziario 2018. 
C. 851 Governo.

Stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (limitatamente alle parti di competenza).
Stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (limitatamente alle parti di competenza). 
(Parere alla V Commissione). 
(Esame congiunto e rinvio).

La Commissione inizia l’esame congiunto dei provvedimenti.
Andrea GIACCONE, presidente, avverte che la Commissione inizia l’esame congiunto, ai sensi dell’articolo 119, comma 8, del Regolamento, del disegno di legge recante «Rendiconto generale dello Stato per l’anno finanziario 2017» e del disegno di legge recante «Assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l’anno finanziario 2018», per le parti di competenza. 
Si tratta dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.
Ricorda che l’esame dei provvedimenti si conclude con l’approvazione di relazioni alla V Commissione e con la nomina di un relatore incaricato di riferire alla medesima Commissione. 
Comunica che nella seduta odierna si svolgerà la relazione introduttiva e si avvierà l’eventuale dibattito sui provvedimenti in titolo, mentre il seguito dell’esame
e la sua conclusione avranno luogo nella seduta prevista per domani, mercoledì 18 luglio. 
Ricorda che il disegno di legge di approvazione del rendiconto è sostanzialmente inemendabile, essendo ammissibili soltanto gli emendamenti volti ad apportare modifiche di carattere meramente tecnico o formale. Per quanto concerne gli emendamenti al disegno di legge di assestamento, devono ritenersi ammissibili esclusivamente gli emendamenti alle voci di spesa oggetto di votazione parlamentare, vale a dire ai programmi di spesa, che contengono al loro interno capitoli rimodulabili. Gli emendamenti che comportano una maggiore spesa devono essere compensati da corrispondenti diminuzioni di spesa. 
Ricorda peraltro che gli emendamenti possono essere presentati anche direttamente presso la Commissione Bilancio e che, qualora fossero presentati in questa sede, saranno nuovamente esaminati dalla Commissione Bilancio. 
Avverte, infine, che, se non vi sono obiezioni, il termine per la presentazione di eventuali emendamenti al disegno di legge recante l’assestamento potrebbe essere fissato alle ore 10 di domani, mercoledì 18 luglio.
Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito.
Filippo Giuseppe PERCONTI (M5S), relatore, iniziando la relazione introduttiva del Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2017, ricorda che, in base agli articoli da 35 a 38 della legge di contabilità e finanza pubblica, esso è lo strumento attraverso il quale il Governo, alla chiusura del ciclo di gestione della finanza pubblica, adempie all’obbligo, previsto dall’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, di rendere conto al Parlamento dei risultati della gestione finanziaria e costituisce, pertanto, un importante momento di verifica, da parte delle Camere, dell’andamento delle diverse politiche di settore. 
Nell’anno 2017, le linee di intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno fatto riferimento a tre macro-aree che ricomprendono: le politiche previdenziali, volte al coordinamento e all’applicazione della normativa in materia di contributi e di trattamenti pensionistici; le politiche per l’occupazione e la tutela del lavoro; le politiche sociali, con particolare riferimento alla prevenzione e alla riduzione delle condizioni di bisogno e di disagio delle persone e delle famiglie, nonché all’integrazione e all’inclusione delle fasce deboli della popolazione (rientranti però queste ultime, prevalentemente, nell’ambito di competenza della XII Commissione). 
Il Ministero ha gestito risorse per un ammontare pari a 123,3 miliardi di euro in termini di stanziamenti definitivi di competenza, in lieve diminuzione rispetto al precedente esercizio, destinati in massima parte al trasferimento all’INPS per l’attività di previdenza e assistenza proprie dell’Istituto. 
Le risorse allocate nel 2017 nello stato di previsione del Ministero sono destinate ad attuare dodici programmi facenti parte di cinque missioni, tutte condivise con lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. 
Si tratta di: missione n. 24 «Diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia», missione n. 25 «Politiche previdenziali», missione n. 26 «Politiche per il lavoro» e missione n. 27 «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti», alle quali si affianca la missione n. 32 «Servizi istituzionali e generali delle Amministrazioni pubbliche». 
Quanto all’andamento degli stanziamenti nel corso della gestione, segnala che le risorse inizialmente assegnate al Ministero con la legge di bilancio ammontavano a 123,4 miliardi (+0,1 per cento rispetto allo stanziamento definitivo, pari, come detto, a 123,3 miliardi). Il dato finale è la risultante di variazioni in aumento e in diminuzione, avvenute nel corso dell’esercizio. 
Le variazioni in diminuzione sono state apportate, in massima parte, con decreti ministeriali e hanno riguardato le missioni
«Politiche previdenziali» (cap. 2539) e «Diritti sociali, politiche sociali e famiglie» (cap. 2401). 
Le variazioni in aumento hanno interessato soprattutto la missione «Politiche per il lavoro» (cap. 2230 e 2402) e sono state introdotte con il provvedimento di assestamento del bilancio. 
Confrontando gli stanziamenti definitivi di competenza con quelli del precedente esercizio, si rileva una leggera flessione (0,4 per cento). 
Confermando le caratteristiche riscontrate negli esercizi già trascorsi, la spesa finale primaria del Ministero è formata per la quasi totalità dello stanziamento da spesa corrente, che rappresenta oltre il 99,9 per cento del totale. Quest’ultima, rispetto al 2016, diminuisce leggermente, mentre risulta in aumento del 15,2 per cento la spesa in conto capitale, aumento dovuto principalmente al programma «Sistemi informativi per il monitoraggio e lo sviluppo delle politiche sociali e del lavoro». 
Per quanto attiene all’incidenza delle diverse missioni di spesa, segnala, per la parte di specifico interesse della XI Commissione, che circa il 65,5 per cento delle risorse assegnate al Ministero, pari a 80,8 miliardi di euro, riguarda la missione «Politiche previdenziali», il cui peso sul totale della spesa registrata dallo stato di previsione aumenta rispetto all’esercizio 2016. 
Gli stanziamenti per le «Politiche per il lavoro», che rappresentano il 9,3 per cento del Ministero, risultano in diminuzione rispetto all’anno precedente del 24 per cento ed ammontano, nel 2017, a 11,5 miliardi di euro. 
Infine, la spesa destinata alla missione «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» ha avuto uno stanziamento definitivo di 30,9 miliardi, quasi interamente dedicato (74,5 per cento) al trasferimento all’INPS delle risorse necessarie all’erogazione degli interventi assistenziali di competenza dello Stato (assegno sociale, invalidità civile, indennità di accompagnamento, e via dicendo). 
Con riferimento alle singole missioni, premesso che gli interventi ricompresi in quelle riguardanti diritti sociali, politiche sociali e famiglia, nonché immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, sono prevalentemente di competenza della XII Commissione, segnala che la Missione 25 «Politiche previdenziali» è la più rilevante in termini finanziari del Ministero e si esplica nell’unico programma «Previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali», che assorbe, con uno stanziamento definitivo di competenza di 80,8 miliardi, il 65,5 per cento delle risorse presenti nello stato di previsione del Ministero stesso. 
La missione ha fatto registrare impegni per 92.343 milioni di euro e pagamenti per 86.953 (10,8 per cento degli impegni e 10,4 per cento dei pagamenti complessivi), destinati per la maggior parte, al finanziamento del programma «Previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali». 
Quasi la totalità delle somme è costituita da trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche (trasferimenti all’INPS), che, come accennato, rappresenta la quasi totalità della spesa finale primaria (99,5 per cento). Nel 2017, la spesa finale primaria di tale missione è aumentata, rispetto al 2016, dell’1,7 per cento. La spesa per la previdenza si è attestata nel 2017 su un valore pari a 304 miliardi (+1,6 per cento rispetto al 2016), valore corrispondente al 15,4 per cento del prodotto interno lordo. Le pensioni in senso stretto hanno avuto un costo pari a 264 miliardi (+1,2 per cento). 
Nel corso del 2017, inoltre, il Ministero ha gestito le operazioni relative alla cd. «ottava salvaguardia», disposta con legge di bilancio per il predetto anno, che, nelle previsioni, avrebbe dovuto riguardare circa 30.000 lavoratori. Più specificamente, i dati di consuntivo, aggiornati al mese di novembre 2017, evidenziano, a fronte di oltre 35.000 domande presentate, l’accoglimento di 13.837 richieste (il 45 per cento del limite numerico massimo stabilito dalla legge). Complessivamente, le otto operazioni di salvaguardia sinora attivate
hanno visto poco più di 142.000 certificazioni positive, a fronte di un numero ipotizzato di oltre 203.000, e la liquidazione anticipata di 114.247 trattamenti. 
Ulteriori interventi in campo previdenziale sono stati inoltre effettuati con la legge di bilancio per il 2017, volti ad accrescere i redditi da pensione meno elevati (cd. «quattordicesima mensilità»), ovvero a mitigare il rigore delle norme contenute nella legge Fornero (rimozione delle penalità in caso di pensionamento anticipato, anticipo pensionistico per i lavoratori precoci, cumulo gratuito dei periodi contributivi maturati presso diverse gestioni, Anticipo pensionistico-Ape volontario e Rendita integrativa temporanea anticipata – RITA). Di tali interventi, la più rilevante in termini di impatto sulla finanza pubblica è l’Ape sociale, introdotto in via sperimentale per il periodo maggio 2017-dicembre 2018, consistente nell’erogazione di un’indennità di importo pari a quello della rata di pensione mensile maturata al momento dell’accesso anticipato alla prestazione (fino ad un massimo di 1.500 euro), destinato a durare fino alla maturazione dei requisiti previsti per la corresponsione del trattamento ordinario. Per quanto attiene a tale istituto, risultano accolte (fonte INPS) 17.683 domande (il 45 per cento di quelle presentate). 
Per quanto riguarda la Missione 26 «Politiche per il lavoro», che – come nota la Corte dei conti – identifica l’attività più significativa del Ministero, che meglio ne connota il ruolo istituzionale, la quasi totalità degli stanziamenti è assorbita dal programma «Politiche passive del lavoro e incentivi all’occupazione», che ha una dotazione pari a circa 10,7 miliardi di euro, a fronte dei circa 11,5 destinati alla missione, che rappresentano il 9,3 per cento del bilancio del Ministero e risultano in diminuzione, rispetto al 2016, del 24 per cento. 
Le politiche passive si sono incentrate nel 2017 nella gestione del nuovo sistema degli ammortizzatori sociali. Secondo i dati comunicati dal Ministero, nel 2017 le erogazioni della NASpI sono state 2.926.000, riferite a 2.466.563 beneficiari per un costo totale di 4,8 miliardi, onere stimato per l’intero esercizio sulla base di una puntuale valutazione dell’andamento della spesa. 
Dal maggio 2017 è stata avviata una sperimentazione relativa all’Assegno di ricollocazione nei confronti di 28.000 titolari di NASpI, in vista della entrata a regime dell’istituto a partire dal 2018. Secondo quanto riportato dal Ministero, ipotizzando diverse percentuali di adesione a regime e applicando un tasso medio di successo occupazionale, la spesa prevista per il 2018 oscilla tra i 75,8 e 151,6 milioni per anno. Le richieste volte all’ottenimento della DIS-COLL sono state 20.577, di cui 13.000 accolte, per un numero di beneficiari pari a 12.850. La spesa per la DIS-COLL è stata di 43 milioni (cap. 2402). A fronte della istituzione dell’ASpI prima e della NASpI poi, la spesa connessa alla cassa integrazione in deroga è progressivamente diminuita dal 2013 al 2016. La misura è stata definitivamente abolita a partire dall’esercizio 2017, con conseguente progressivo abbattimento delle risorse impegnate negli anni, sia per quanto riguarda le concessioni e proroghe ministeriali, sia per quanto riguarda gli interventi a livello regionale. 
Inoltre, le politiche passive del lavoro si sono avvalse, come nei precedenti esercizi, delle risorse stanziate nel Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (cap. 2230), pari a 585,3 milioni di euro. 
Il capitolo presenta un rilevante ammontare di residui passivi mantenuti in bilancio a termine dell’esercizio, conseguente ai ritardi nella rendicontazione da parte degli enti destinatari, che viene effettuata negli anni successivi rispetto a quelli degli esercizi in cui vengono assunti gli impegni. Al riguardo, il Ministero ha richiesto agli Enti previdenziali di trasmettere nell’anno di competenza, per ogni singolo intervento finanziato, sia la previsione annuale di spesa, sia i c.d. «preconsuntivi», per poter effettuare un costante monitoraggio della spesa sostenuta, anche al fine di allineare le risorse in relazione ai reali fabbisogni. Tale monitoraggio ha avuto come conseguenza l’effettuazione di
undici disimpegni, relativi ad attività non svolte, per un totale di 315,3 milioni rimasti nella disponibilità del capitolo per finanziare interventi diversi. Segnala che, in proposito, la Corte dei conti ha più volte sottolineato l’opportunità di una revisione del dimensionamento e della ripartizione del capitolo 2230, da effettuare sulla base di una rivalutazione all’attualità, della necessità dei diversi interventi risalenti nel tempo e di un’aggiornata quantificazione delle risorse necessarie a ciascuna linea d’azione. Nel 2017 tra le gestioni a carico del Fondo per l’occupazione e la formazione, particolarmente complessa inoltre si è rivelata l’attività di finanziamento alle Regioni ed agli Enti locali per lo svuotamento del bacino dei lavoratori socialmente utili attraverso procedure di stabilizzazione. 
Ricorda, inoltre, che dal 1
o gennaio 2017 le attività di competenza della Direzione Generale per l’attività ispettiva e delle Direzioni interregionali e territoriali del lavoro e, in particolare quelle relative al programma «Contrasto al lavoro nero e irregolare, prevenzione e osservanza delle norme di legislazione sociale e del lavoro», sono state trasferite all’Ispettorato Nazionale del Lavoro-INL, istituito ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149. L’INL ha operato con 2.832 unità di personale trasferite dal Ministero, di cui 2.100 effettivamente adibite all’attività ispettiva, alle quali vanno aggiunti il gruppo Carabinieri per la tutela del lavoro (391 unità), 1.182 ispettori dell’INPS e circa 300 dell’INAIL. Le visite ispettive sono state oltre 160.000, numero inferiore a quello del 2016, ma superiore del 3 per cento all’obiettivo indicato nella convenzione con il Ministero. Le aziende irregolari sono state oltre 103.000, con un numero di lavoratori irregolari di 253.000, di cui 48.000 completamente in nero. Il recupero dei contributi e dei premi evasi è stato di 1,1 miliardi di euro, mentre le sanzioni effettivamente introitate nell’anno ammontano a 75 milioni, cui vanno aggiunti 5,5 milioni di euro versati dagli interessati per ottenere la revoca dei provvedimenti di sospensione delle attività. 
In materia di politiche attive del lavoro, l’attività dell’ANPAL, succeduta al Ministero nei relativi compiti, si è incentrata, in particolare, nella prosecuzione del progetto «Garanzia giovani», finanziato attraverso l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo. Al 1
o gennaio 2018, i soggetti registrati nell’ambito del progetto, in progressivo costante aumento, erano 1.256.431. I soggetti effettivamente presi in carico risultavano essere 995.000 (il 78,6 per cento dei registrati). Tra questi ultimi, un’alta percentuale appartiene ad un profilo elevato che evidenzia difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro attraverso i canali tradizionali. Il 55 per cento dei presi in carico è stato avviato a un intervento di politica attiva. Le misure effettivamente erogate – talvolta più di una nei confronti del medesimo soggetto – sono state principalmente il tirocinio extracurriculare (attivato nel 60 per cento degli interessati), seguito dalla formazione e dal ricorso ad incentivi occupazionali. Pressoché residuali gli altri istituti (servizio civile, autoimprenditorialità, apprendistato). Quasi la metà dei giovani che hanno completato il percorso ha avuto uno sbocco occupazionale nei sei mesi successivi. L’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto nel 40 per cento dei casi con un contratto di apprendistato; nel 22,5 per cento con contratto a tempo indeterminato. 
Infine, la missione «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» ha evidenziato impegni per 32.084 milioni di euro e pagamenti per 31.318 milioni (il 3,8 per cento sia per gli impegni che per i pagamenti), destinati per lo più al finanziamento del programma «Trasferimenti assistenziali a enti previdenziali, finanziamento nazionale spesa sociale, programmazione, monitoraggio e valutazione politiche sociali e di inclusione attiva». 
Per quanto attiene agli stanziamenti afferenti a materie di competenza della XI Commissione, presenti nell’ambito della Tabella n. 2 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, vengono in rilievo in particolare gli stanziamenti della Missione 25 «Politiche previdenziali»,
pari a 11,5 miliardi di euro, con particolare riguardo al cap. 7301 (Fondo di garanzia per l’accesso all’APE, con uno stanziamento definitivo di 70 milioni di euro sia in termini di competenza sia di cassa); al cap. 2148 (Contribuzione aggiuntiva all’INPS – ex gestione INPDAP a carico delle amministrazioni statali, con uno stanziamento definitivo di 10.800 milioni di euro in termini sia di competenza sia di cassa); al cap. 2156 (Intervento contributivo per i fondi gestori di previdenza complementare dei pubblici dipendenti, con uno stanziamento definitivo di 50.398,5 milioni di euro in termini sia di competenza sia di cassa). 
Riguardo al disegno di legge di assestamento per il 2018, ricorda preliminarmente che si tratta dello strumento attraverso il quale il Governo propone gli aggiornamenti delle previsioni di entrata e degli stanziamenti di bilancio per l’esercizio in corso, in termini di competenza e di cassa, alla luce dell’aggiornamento del quadro macroeconomico alla base del Documento di economia e finanza, presentato lo scorso mese di aprile, della disponibilità di informazioni aggiornate sugli andamenti di finanza pubblica, delle richieste formulate dalle Amministrazioni centrali in relazione alle nuove esigenze legate alla loro operatività, nonché della consistenza dei residui accertata in sede di rendiconto dell’esercizio precedente. Le variazioni proposte dal provvedimento in esame integrano le variazioni di bilancio adottate tra il 1
o gennaio e il 31 maggio dell’anno in corso e, tenendo conto degli effetti finanziari dei provvedimenti legislativi entrati in vigore dopo l’approvazione della legge di bilancio 2018, forniscono le previsioni assestate per il corrente esercizio finanziario. 
Nell’ambito della flessibilità prevista dalla normativa contabile (e nei limiti dei saldi programmatici di competenza e di cassa definiti con la legge di bilancio), con il disegno di legge di assestamento possono essere proposte variazioni compensative tra le dotazioni finanziarie previste a legislazione vigente, anche tra unità di voto diverse, ferma restando, anche in assestamento, la preclusione all’utilizzo degli stanziamenti di conto capitale per finanziare spese correnti. 
Come si legge nella Relazione illustrativa al disegno di legge di assestamento, le variazioni che si propongono determinano un miglioramento del saldo netto da finanziare pari a 2.450 milioni di euro in termini di competenza e 38 milioni di euro in termini di cassa. 
Passando al contenuto del disegno di legge, segnala che esso consta di quattro articoli e di quattordici tabelle, la prima delle quali rappresenta lo stato di previsione dell’entrata, mentre le restanti corrispondono allo stato di previsione della spesa dei singoli ministeri. 
Quanto ai profili di competenza della XI Commissione, assume particolare rilievo il contenuto della Tabella n. 4, che reca lo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Come si legge nella nota illustrativa alla Tabella, il disegno di legge di assestamento, da un lato, dà conto delle variazioni amministrative intervenute nel periodo 1
ogennaio – 31 maggio 2018 rispetto alle previsioni di competenza per il 2018, pari a 125,70 miliardi di euro, e alle autorizzazioni di cassa pari a 126,98 miliardi di euro, previste dalla legge di bilancio 2018, e, dall’altro, ne propone di ulteriori. 
Con riferimento al primo aspetto, le modifiche derivanti da atti amministrativi interessano le previsioni relative ai residui, alla competenza e alla cassa e derivano da provvedimenti legislativi intervenuti nel frattempo o da norme di carattere generale, che determinano un incremento delle previsioni rispettivamente di 339,7 milioni di euro in termini di residui, di 396,29 milioni di euro in termini di competenza e di 736,03 milioni di euro in termini di cassa. 
Anche le variazioni proposte dal disegno di legge di assestamento interessano le previsioni riferite a residui, competenza e cassa. 
Per i residui, si prevede un incremento delle appostazioni di bilancio pari a circa 25,52 miliardi di euro, essenzialmente riferibili a spese di parte corrente (essendo
l’incremento previsto per i residui in conto capitale pari a soli 25,7 milioni di euro). La relazione illustrativa precisa che, come di regola avviene, le variazioni proposte traggono origine dall’esigenza di adeguare gli importi presunti previsti in sede di approvazione del bilancio per il 2018 a quelli risultanti dal rendiconto riferito all’anno 2017. 
Per gli stanziamenti in termini di competenza e di cassa si prevede, invece, una diminuzione di circa 804 milioni di euro. Per quanto attiene alle variazioni delle previsioni di competenza, la relazione illustrativa evidenzia, in via generale, che esse sono connesse alle esigenze emerse dall’effettivo svolgimento della gestione, tenendo altresì conto della situazione della finanza pubblica, mentre per le autorizzazioni di cassa le variazioni proposte tengono conto della nuova consistenza dei residui e delle variazioni proposte per la competenza, anche alla luce delle concrete capacità operative dell’Amministrazione. Si precisa, inoltre, che le principali variazioni proposte sono il risultato di un’attenta e rigorosa valutazione delle richieste delle Amministrazioni e riguardano l’integrazione di spese di natura indifferibile o inderogabile. 
Per effetto delle modifiche sopra riassunte, le previsioni dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il 2018 risultano assestate in 29,56 miliardi di euro quanto ai residui, in 124,90 miliardi di euro quanto alla competenza e in 126,51 miliardi di euro per quanto attiene alle previsioni di cassa. In tutti i casi, le spese sono essenzialmente riferite alla parte corrente, considerata la limitata incidenza delle spese per investimento nell’ambito delle politiche di competenza del Ministero. 
La Tabella n. 4 dà quindi conto delle variazioni proposte, articolate per unità di voto. 
Dal prospetto risulta che per la Missione 24 «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» le variazioni in aumento ammontano a circa 3,62 miliardi di euro in termini di residui e a circa 36 mila euro tanto in termini di competenza quanto in termini di cassa. Le variazioni in termini di competenza e di cassa sono riconducibili al programma di spesa relativo al Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali) e alla responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni. 
Per quanto riguarda la Missione 25 «Politiche previdenziali», il disegno di legge propone un incremento degli stanziamenti di 19,25 miliardi di euro in termini di residui e una diminuzione delle poste iscritte in termini di competenza e di cassa di circa 1 miliardo di euro, integralmente riconducibile al programma «Previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali». Nell’ambito di tale programma le riduzioni più consistenti, pari rispettivamente a circa 262 e a 966 milioni di euro in termini di competenza e di cassa, interessano i capitoli n. 2539 e n. 4339, relativi alle somme da trasferire all’INPS a titolo di anticipazioni di bilancio sul fabbisogno finanziario delle gestioni previdenziali, rispettivamente per i lavoratori pubblici e privati. Segnalo anche che si prevede un incremento del capitolo n. 4331, relativo al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale, per un importo di 141,88 milioni di euro in termini di competenza e di cassa. 
Per la Missione 26 «Politiche per il lavoro», si propone un incremento degli stanziamenti di 2,61 miliardi di euro in termini di residui e una diminuzione di 183,80 milioni di euro in termini di competenza e di 183,94 milioni di euro in termini di cassa. 
Nell’ambito di tale missione, le variazioni più consistenti riguardano il programma «Politiche passive del lavoro e incentivi all’occupazione», per il quale è proposto un incremento degli stanziamenti pari a 2,33 miliardi di euro in termini di residui, e una diminuzione pari a 184 milioni di euro in termini di competenza e di cassa, interamente ascrivibile al cap. 2402, concernente gli oneri relativi ai trattamenti di mobilità dei lavoratori e di disoccupazione. 
Un significativo incremento dei residui, pari a 1,42 miliardi di euro, riguarda il
capitolo 2402, concernente gli oneri relativi ai trattamenti di mobilità dei lavoratori e di disoccupazione, con particolare riferimento alla revisione degli ammortizzatori sociali in attuazione della legge sulla riforma del mercato del lavoro. Il capitolo 2230, relativo al Fondo sociale per l’occupazione e formazione, registra inoltre un significativo incremento dell’ammontare dei residui, per i quali si propone una variazione in aumento di circa 536,91 milioni di euro. 
Segnala, inoltre, che si prevede un incremento degli stanziamenti in termini di residui per 15 milioni di euro con riferimento al programma «Politiche di regolamentazione in materia di rapporti di lavoro», destinato integralmente al capitolo n. 4776, che reca le somme da trasferire all’INPS per gli oneri connessi agli accertamenti medico-legali sostenuti dalle amministrazioni pubbliche. Ulteriori 17 milioni di euro in termini di competenza e di cassa sono destinati al programma «Sistemi informativi per il monitoraggio e lo sviluppo delle politiche sociali e del lavoro e comunicazione istituzionale», finalizzati principalmente alle spese per lo sviluppo dei sistemi informativi per il lavoro. 
Da ultimo, segnala che si prevede una variazione in aumento in termini di residui pari a 24,5 milioni di euro con riferimento al Programma «Contrasto al lavoro nero e irregolare, prevenzione e osservanza delle norme di legislazione sociale e del lavoro», destinato quasi integralmente al capitolo n. 1231, che reca le somme da trasferire all’Ispettorato nazionale del lavoro. 
Con riferimento alla Missione 27 «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti», le variazioni proposte si riferiscono essenzialmente all’incremento per circa 9,8 milioni di euro in termini di residui del programma «Flussi migratori per motivi di lavoro e politiche di integrazione sociale delle persone immigrate». Variazioni sono apportate anche alla Missione 32 «Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche» per la quale si propone un incremento degli stanziamenti di 16,7 milioni di euro in termini di residui, e di 109 mila euro in termini di competenza e di cassa. 
Per quanto attiene agli stanziamenti afferenti a materie di competenza della Commissione nell’ambito della Tabella n. 2, relativa allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, le variazioni proposte dal disegno di legge che riguardano la Missione 24 «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» prevedono un aumento delle previsioni di 62,2 milioni di euro in termini di residui e di 881 mila euro in termini di cassa, e una diminuzione di 5 mila euro in termini di competenza, di 99,5 milioni di euro in termini di cassa e di 136,5 milioni di euro in conto residui.

Andrea GIACCONE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame dei provvedimenti ad altra seduta.
La seduta termina alle 9.35.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI
Lunedì 16 luglio 2018.
L’ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.45 alle 17.30.

SEDE REFERENTE

Lunedì 16 luglio 2018. — Presidenza della presidente della VI Commissione, Carla RUOCCO. – Intervengono il Sottosegretario Stato per l’economia e le finanze, Massimo Garavaglia, e il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Claudio Cominardi.
La seduta comincia alle 17.35.

DL 87/2018: Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese. 
C. 924 Governo. 

(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l’esame del provvedimento.

Carla RUOCCO, presidente, ricorda che la Conferenza dei Presidenti di Gruppo, nella riunione del 10 luglio scorso, ha convenuto di avviare la discussione del provvedimento in Assemblea già a partire dal prossimo martedì 24 luglio.

Giulio CENTEMERO (Lega), relatore per la VI Commissione, introduce la relazione illustrativa del provvedimento in esame, preannunciando che si soffermerà in particolare sugli articoli da 7 a 14, di più diretta competenza della Commissione Finanze.

Ricorda quindi che l’articolo 7 subordina l’applicazione dell’iperammortamento fiscale alla condizione che il processo di trasformazione tecnologica e digitale delle imprese, su cui si fonda l’agevolazione, riguardi strutture produttive situate nel territorio nazionale, ivi incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti. 

Il comma 1 dell’articolo in commento fa riferimento al territorio nazionale di cui all’articolo 6, comma 1. 

Ai sensi del comma 2, se nel periodo di fruizione del beneficio i beni agevolati vengono ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all’estero,anche se appartenenti alla stessa impresa, si procede al recupero dell’iperammortamento.

Tale recupero avviene attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile del periodo d’imposta in cui si verifica la cessione a titolo oneroso o la delocalizzazione degli investimenti agevolati, per un importo pari alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte nei precedenti periodi d’imposta, senza applicazione di sanzioni e interessi. 
Il comma 3 fissa la decorrenza delle norme suesposte, che si applicano agli investimenti effettuati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ovvero successivamente al 14 luglio 2018. 
Il comma 4 dell’articolo intende coordinare le nuove disposizioni con la disciplina dei c.d. investimenti sostitutivi. Tale disciplina è stata introdotta dai commi 35 e 36 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 e prevede che non venga meno il beneficio dell’iperammortamento – per le quote residue – se il bene originariamente agevolabile viene sostituito nel tempo con un bene materiale strumentale nuovo (avente caratteristiche tecnologiche analoghe), purché il nuovo abbia caratteristiche tecnologiche analoghe o superiori e siano soddisfatte le altre condizioni di legge. Nel caso di investimenti sostitutivi, il comma 4 in esame impedisce che si applichi la revoca dell’agevolazione (di cui al comma 2), anche in caso di delocalizzazione. 
L’articolo 8 esclude dal credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo (previsto dal decreto-legge n. 145 del 2013) taluni costi di acquisto – anche in licenza d’uso – di beni immateriali connessi ad operazioni tra imprese del medesimo gruppo. Si tratta, in particolare, di spese relative a competenze tecniche e privative industriali. La disposizione trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame). 

In particolare l’articolo, al comma 1, riconduce alla nozione di imprese appartenenti al medesimo gruppo, le imprese controllate da medesimo soggetto, controllanti o collegate, come definite dall’articolo 2359 del codice civile. Quanto alle persone fisiche, si tiene conto anche di partecipazioni, titoli o diritti detenuti da un familiare dell’imprenditore. 
Il comma 2 stabilisce che l’esclusione dal beneficio trovi applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del presente decreto-legge) in deroga alle disposizioni sull’efficacia temporale delle norme tributarie dettate dallo Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000). 

Restano esclusi dal beneficio i costi già attribuiti all’impresa italiana in relazione alla partecipazione ai progetti di ricerca e sviluppo relativi ai beni oggetto di acquisto, anche nell’ambito di operazioni infragruppo condotte nei periodi di imposta precedenti a quello di prima applicazione della norma in esame. 

Il comma 3 ribadisce la condizione secondo cui, ai fini del credito di imposta, i costi sostenuti assumono rilevanza solo se i beni immateriali acquisiti vengono utilizzati direttamente ed esclusivamente nello svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo considerate ammissibili al beneficio. 
L’articolo 9, facendo salve le restrizioni già introdotte dal legislatore, vieta qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali e artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet (comma 1). 

Per i contratti di pubblicità in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame) si prevede che continui ad applicarsi la normativa previgente (c.d. decreto Balduzzi e legge di stabilità 2016), fino alla loro scadenza, e comunque per non oltre un anno dalla medesima data. 
A partire dal 1
o gennaio 2019, inoltre, il divieto si estende anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche, e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti. Sono esclusi dal divieto le lotterie nazionali a estrazione differita, le manifestazioni di sorte locali, lotterie, tombole e pesche o banchi di beneficenza (di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430), e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. 
Il comma 2 dell’articolo 9 introduce sanzioni amministrative pecuniarie a carico del committente della pubblicità, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell’organizzatore della manifestazione, dell’evento o dell’attività, che violino i divieti del comma 1. A tali soggetti si applica la sanzione pecuniaria del pagamento di una somma pari al 5 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e, in ogni caso, non inferiore, per ogni violazione, a 50 mila euro. 

Il comma 3 individua nell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’autorità competente alla contestazione e alla irrogazione delle predette sanzioni amministrative, ai sensi della legge n. 689 del 1981.

Il comma 4 destina le risorse provenienti dalle sanzioni amministrative comminate in base ai commi precedenti all’apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della salute, finalizzate ad incrementare il Fondo per il contrasto al gioco d’azzardo patologico istituto in base alle norme della legge di stabilità per il 2016.

Il comma 6, introduce una norma di copertura finanziaria. La misura del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi idonei per il gioco lecito (articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), vale a dire quelli dotati di attestato di conformità rilasciato dal Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, slot machine, e quelli facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa, videolottery, è fissata rispettivamente nel 19,25 per cento e nel 6,25 per cento dell’ammontare delle somme giocate a decorrere dal 1 o settembre 2018, e nel 19,5 per cento e nel 6,5 per cento a decorrere dal 1omaggio 2019. 
Nel comma 7, si prevede che agli oneri derivanti dai divieti di cui al comma 1, pari a 147 milioni di euro per l’anno 2019 e 198 milioni a decorrere dall’anno 2020, si provveda mediante quota parte delle maggiori entrate derivanti dalla misura del PREU sugli apparecchi idonei per il gioco lecito, stabilita al comma precedente. 

L’articolo 10 reca disposizioni finalizzate a modificare l’istituto dell’accertamento sintetico del reddito complessivo (cd. redditometro), introducendo il parere dell’Istat e delle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori. Contestualmente viene abrogato il decreto ministeriale contenente gli elementi indicativi necessari per effettuare l’accertamento. 
Il comma 1 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze possa emanare il decreto che individua gli elementi indicativi di capacità contributiva dopo aver sentito l’Istituto nazionale di statistica (Istat) e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica di ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa e alla propensione al risparmio dei contribuenti. 

Al comma 2 si dispone che il decreto ministeriale emanato il 16 settembre 2015, contenente gli elementi indicativi necessari per effettuare l’accertamento, è abrogato e non ha più effetto per i controlli ancora da effettuare sull’anno di imposta 2016 e successivi. 
Dal tenore della norma sembra dunque evincersi che per gli accertamenti successivi a quelli indicati al comma 2 l’istituto del redditometro non trova applicazione fino all’entrata in vigore del nuovo decreto attuativo ai sensi del comma 1.

Il comma 3 fa salvi gli inviti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e agli altri atti previsti dall’articolo 38, comma settimo, del d.P.R. 600 del 1973, per gli anni di imposta fino al 31 dicembre 2015. Al medesimo comma, infine, viene stabilito che in ogni caso l’articolo non si applica agli atti già notificati e non si fa luogo al rimborso delle somme già pagate. 
L’articolo 11 reca disposizioni sulla trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute (c.d. spesometro) da parte dei soggetti passivi IVA. Esso stabilisce che la comunicazione dei dati relativi al terzo trimestre 2018 non debba essere effettuata entro il mese di novembre 2018 (in applicazione dell’articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010), bensì entro il 28 febbraio 2019. Qualora si opti per la trasmissione con cadenza semestrale, i termini temporali sono fissati al 30 settembre per il primo semestre, al 28 febbraio dell’anno successivo per il secondo semestre. 

Ricordo infine che la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017), che ha introdotto l’obbligo della fatturazione elettronica tra privati dal 1o gennaio 2019, dalla stessa data abroga lo spesometro di cui all’articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2011. 
L’articolo 12 prevede l’abolizione del meccanismo della scissione dei pagamenti, 
splitpayment, per le prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte (in sostanza, i compensi dei professionisti), di cui all’articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. 
Viene a tal fine introdotto un comma 1-
sexies al menzionato articolo 17-ter, col quale si dispone che le norme in tema di split payment non si applicano alle prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni (di cui ai commi 1, 1-bis e 1-quinquies dell’articolo 17-ter; si veda il riquadro precedente per l’individuazione di tali enti) se i compensi sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a ritenuta d’acconto per prestazioni di lavoro autonomo (ai sensi dell’articolo 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, che disciplina tale ultima fattispecie). 
Il comma 2 dispone che il nuovo ambito di applicazione dello 
split payment si applichi alle operazioni per cui è emessa fattura successivamente al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del provvedimento in esame). 

Il comma 3 reca la copertura finanziaria delle norme in esame, i cui oneri sono quantificati in 35 milioni di euro per l’anno 2018, 70 milioni per l’anno 2019 e 35 milioni per l’anno 2020. 
L’articolo 13 sopprime le previsioni introdotte dalla legge di bilancio 2018 (commi da 353 a 355), in base alle quali le attività sportive dilettantistiche potevano essere esercitate anche da società sportive dilettantistiche con scopo di lucro e abroga le agevolazioni fiscali a favore delle stesse introdotte dalla medesima legge. 

Inoltre, si abroga l’aliquota agevolata al 10 per cento per i servizi di carattere sportivo resi dalle società sportive dilettantistiche lucrative riconosciute dal CONI nei confronti di chi pratica l’attività sportiva a titolo occasionale o continuativo in impianti gestiti da tali società (di cui al comma 357 della legge di bilancio 2018). Viene inoltre disposta l’abrogazione dei commi 356 e da 358 a 360 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 concernenti la disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati dalle società sportive dilettantistiche aventi scopo di lucro. È conseguentemente abrogato il comma 359 ai sensi del quale i compensi derivanti dai richiamati contratti di collaborazione coordinata e continuativa sono considerati – sotto il profilo fiscale – redditi diversi se stipulati da società ed associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI ovvero redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente se stipulati dalle società dilettantistiche lucrative riconosciute dal CONI. 

L’articolo istituisce inoltre nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un nuovo fondo destinato a interventi in favore delle società sportive dilettantistiche, con una dotazione di 3,4 milioni di euro nel 2018, di 11,5 milioni di euro nell’anno 2019, di 9,8 milioni di euro nell’anno 2020, di 10,2 milioni nell’anno 2021, di 10,3 milioni nell’anno 2022, di 5,6 milioni nell’anno 2023 e di 5,2 milioni a decorrere dall’anno 2024. Alla copertura finanziaria degli oneri si provvede a valere sulle maggiori entrate e minori spese derivanti dalle disposizioni richiamate in precedenza, ovvero mediante la soppressione di alcune misure agevolative, di ordine fiscale e contributivo. 

Infine, le disposizioni ripristinano la normativa in materia di uso e gestione di impianti sportivi vigente prima delle novità introdotte dalla stessa legge di bilancio 2018.
Davide TRIPIEDI (M5S), relatore per la XI Commissione, rileva, come si legge nelle premesse, che il decreto trae la sua motivazione dalla straordinaria necessità e urgenza, in primo luogo, di contrastare il fenomeno della crescente precarizzazione in ambito lavorativo, introducendo limiti all’utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto a una eccessiva e allarmante espansione del fenomeno e, in secondo luogo, di arginare le cosiddette «delocalizzazioni», assicurando che le aziende destinatarie di incentivi e aiuti restituiscano quanto ricevuto a fronte di un trasferimento delle attività produttive. 
Il decreto, inoltre, introduce semplificazioni fiscali in favore delle imprese. Infine, vengono previste nuove misure volte al contrasto della ludopatia, nonché misure per assicurare il regolare inizio dell’anno scolastico 2018/2019. 

Osserva che il provvedimento consta di 15 articoli, suddivisi in cinque Capi, e che la relazione verterà prevalentemente sulle disposizioni che, anche indirettamente, rientrano nella competenza della XI Commissione, mentre il deputato Centemero, relatore per la VI Commissione, si concentrerà, come ovvio, sulle disposizioni di contenuto fiscale. 
Venendo al merito del provvedimento, osserva che il Capo I reca le misure per il contrasto al precariato. In particolare, l’articolo 1 modifica la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015. 
Ricorda che, sulla base della disciplina previgente, il contratto di lavoro a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato che prevede un termine finale. Può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, per una durata massima di 36 mesi. L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo. Il contratto, nel quale non è necessario indicare la causale, può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore, sia nella forma del contratto a termine, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Il contratto a termine non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi) o per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi), il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore. La disciplina recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, inoltre, prevede la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nel caso di superamento di tale ulteriore periodo o nel caso in cui non sia rispettato il lasso di tempo richiesto tra il primo e il secondo contratto a termine (dieci giorni, se la durata del primo contratto è inferiore a sei mesi, 20 giorni se la durata è superiore). Il decreto legislativo prevede anche la possibilità di un’ulteriore
deroga, per la stipula di un nuovo contratto, della durata massima di 12 mesi, una volta esauriti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione. In tale caso, il contratto dovrà essere sottoscritto in regime di «deroga assistita» presso la Direzione territoriale competente. L’ordinamento pone limiti quantitativi alla possibilità per il datore di lavoro di stipulare contratti a termine: essi, infatti, non possono superare il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1ogennaio dell’anno di assunzione, mentre, per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi, anche territoriali e aziendali, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi. L’ordinamento, tuttavia, prevede limitate eccezioni a tali limiti quantitativi. In caso di violazione, è prevista l’applicazione a carico del datore di lavoro di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite, e al 50 per cento della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza. Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI), è prevista in caso di rinnovo un’aliquota contributiva aggiuntiva pari all’1,4 per cento che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. 
Sottolinea che la lotta al precariato, obiettivo primario dichiarato dall’Esecutivo, parte con una profonda revisione dei contratti a tempo determinato che si concretizza introducendo diverse misure: aumento dell’aliquota contributiva in caso di rinnovo dopo il primo contratto; diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, intesi anche in sommatoria; introduzione delle causali, nel caso di utilizzazione del lavoratore oltre i dodici mesi, sia che si superi la soglia dell’anno in virtù di un contratto iniziale, sia in caso di una proroga o di un rinnovo; ampliamento dei termini per la proposizione del ricorso giudiziario. 
A tali misure, occorre aggiungerne altre che fanno riferimento: al contratto di somministrazione a tempo determinato al quale si applicano, quasi interamente, le disposizioni sul contratto a termine (tra cui le causali); all’indennità risarcitoria relativa ai licenziamenti illegittimi prevista dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015, che, per gli assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, nel limite massimo, rapportato all’anzianità aziendale, per le imprese dimensionate oltre le quindici unità, può arrivare fino a trentasei mensilità partendo da una base di sei (per quelle piccole, fermo restando il tetto massimo delle sei mensilità, la base di partenza viene innalzata a tre, come si evince dalla correlazione della nuova norma con il dettato dell’articolo 9 del predetto decreto). 
Rileva che l’articolo 1, comma 1, lettera 
a), del decreto-legge, modificando l’articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015, dispone, in primo luogo, la riduzione da trentasei a dodici mesi del termine massimo di durata del contratto a termine.

Tale durata può essere portata a ventiquattro mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Tali causali devono essere indicate nel contratto scritto in caso di rinnovo, ad eccezione dei casi in cui la durata del contratto è prorogata nell’ambito dei primi dodici mesi, come disposto dalla lettera b) del medesimo comma 1. Inoltre, sulla base di tale lettera b), solo per le attività stagionali il rinnovo o la proroga (ossia lo slittamento in avanti del termine inizialmente posto) del contratto non necessitano dell’indicazione delle causali.
Dunque, fatte salve le diverse determinazioni della contrattazione collettiva e considerando che il comma 2, su questo punto, non è stato toccato, come non è stata toccata la possibilità di stipulare alla scadenza del termine massimo un ulteriore contratto presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, il contratto a termine può durare fino a ventiquattro mesi, ma l’assenza della causale riguarda unicamente il primo contratto a tempo determinato (fino a dodici mesi, anche raggiungibili con una proroga): una durata maggiore necessita di causali, come necessita di causale il rinnovo di un contratto a termine stipulato nell’arco temporale dei dodici mesi (perché si tratta di un secondo contratto). Quindi, in sostanza, il termine si è ridotto a ventiquattro mesi, ma le possibilità di deroga alla durata massima restano, seppur soggette ad alcune specifiche procedure. 
La norma, inoltre, riduce da trentasei a ventiquattro il limite massimo (purché ci sia una causa) del contratto in presenza del quale ne è consentita la proroga e da cinque a quattro il numero massimo di proroghe consentite nell’arco del nuovo limite di ventiquattro mesi. Qualora poi il numero delle proroghe sia superiore, la norma prevede che il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga, anziché della sesta, come attualmente disposto. Infine, la lettera 
c) aumenta da centoventi a centottanta giorni il termine di impugnazione del contratto, a decorrere dalla sua scadenza. 
Sulla base del comma 2, inoltre, tali disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data. Il comma 3 stabilisce che tali disposizioni, insieme a quelle recate dai successivi articoli 2 e 3, non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni. 

Passa quindi all’articolo 2, che reca modifiche alla disciplina del contratto di somministrazione di lavoro, recata anch’essa dal decreto legislativo n. 81 del 2015. In particolare, modificando il comma 2 dell’articolo 34 di tale decreto legislativo, la norma estende a tale tipologia di contratto la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, come modificata dall’articolo 1 del decreto-legge in esame, esclusa l’applicazione delle disposizioni concernenti il numero complessivo di contratti a tempo determinato e i diritti di precedenza (rispettivamente, articoli 23 e 24 del decreto legislativo n. 81 del 2015).

Ciò significa, ad esempio, che, fatte salve le diverse determinazioni della contrattazione collettiva, il contratto di somministrazione può durare, al massimo, ventiquattro mesi (termine non superabile); che, ad eccezione del primo contratto, che può durare fino a dodici mesi, occorre che il rapporto sia giustificato da una delle causali individuate dal nuovo comma 1 dell’articolo 19; che le proroghe non possono essere più di quattro; che il termine di decadenza per impugnare il contratto è fissato in centottanta giorni. 

Restano fuori le previsioni dell’articolo 23, che tratta il numero complessivo dei contratti a termine stipulabili in un’impresa calcolato sul numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza alla data del 1o gennaio dell’anno al quale si riferisce l’assunzione nella misura legale del 20 per cento o in quella diversa prevista dalla contrattazione collettiva, e dell’articolo 24 sul diritto di precedenza dei lavoratori che hanno prestato la propria attività a termine per un periodo, anche in sommatoria di più contratti, superiore a sei mesi. 

Osserva che l’articolo 3, al comma 1, interviene sulla disciplina recata dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2015 per i casi di licenziamento illegittimo riguardanti contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. In particolare, la norma prevede la modifica in aumento dei parametri di riferimento per la determinazione dell’ammontare dell’indennità che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, da calcolarsi entro l’intervallo del limite minimo di sei mensilità e del limite massimo di trentasei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Ricorda che il previgente testo della disposizione fissava tali limiti in quattro e ventiquattro mensilità. 

Tale disposizione va, necessariamente, correlata anche con l’articolo 9 del decreto legislativo n. 23 del 2015, ove si stabilisce che, per i datori di lavoro che non raggiungano i limiti dimensionali previsti dai commi 8 e 9 dell’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e per quelli, non imprenditori, che svolgono, senza fine di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione o di religione o di culto, gli importi previsti dall’articolo 3, comma 1 (che ora sono due mensilità all’anno partendo da una base di sei) sono dimezzati (quindi, una mensilità all’anno partendo da una base di tre) ma il tetto massimo, evidenziato esplicitamente all’articolo 9, che non è stato ritoccato, continua ad essere pari a sei mensilità. 

Infine, fa presente che l’intervento normativo appare altresì opportuno, considerato che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo n. 23 del 2015 (attuativo del cd. Jobs Act) innanzi alla Corte costituzionale, la cui decisione è attesa per il 25 settembre prossimo, anche in riferimento alla inadeguatezza ed esiguità dell’indennità risarcitoria stabilita. 
Il comma 2 dell’articolo 3, modificando l’articolo 2 della legge n. 92 del 2012, dispone l’aumento di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale applicato a ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Ricorda che il contributo, attualmente pari all’1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, è destinato a finanziare la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI). Come risulta dalla relazione tecnica, alla luce di tali modifiche, per il primo rinnovo del contratto a termine il contributo addizionale è pari all’1,9 per cento, crescente a partire dal secondo rinnovo, in corrispondenza del quale l’aliquota è pari al 2,4 per cento. 

Il contributo addizionale non si applica: ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti; ai lavoratori assunti a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali; agli apprendisti che, però, stipulano, sin dall’inizio un contratto a tempo indeterminato, fatta eccezione per quelli stagionali, disciplinati contrattualmente, al momento, nel solo settore del turismo; ai lavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.

Dalla relazione tecnica si apprende che l’aumento del gettito contributivo derivante da tale disposizione appare idoneo a compensare la riduzione del monte imponibile di tale contributo addizionale, derivante dall’incentivo a ridurre le proroghe dei contratti a termine in favore della stipula di contratti a tempo indeterminato. 

Con riferimento all’articolo 4, volto ad assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2018/2019, osserva che esso interviene sulla questione dei diplomati magistrali con titolo conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 e inseriti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), interessati dagli effetti della sentenza della adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2017, che ha stabilito che il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo istituite dall’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge n. 296 del 2006. 

A giudizio di tale organo, infatti, manca una norma che riconosca il diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 come titolo legittimante l’inserimento nelle graduatorie a esaurimento. Infatti, sin dalla loro originaria configurazione, le graduatorie permanenti, poi trasformate in graduatorie a esaurimento, sono state riservate a docenti che vantassero un titolo abilitante ulteriore rispetto al titolo di studio: il superamento di un concorso per titoli ed esami oppure il superamento di una sessione riservata d’esami per coloro che avessero prestato servizio per almeno 360 giorni a decorrere dall’anno scolastico 1994-1995.
La norma, pertanto, dispone l’applicazione alle sentenze che comportano la decadenza dei contratti del termine di esecuzione di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 669 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30 del 1997. Come si legge nella relazione illustrativa, tale termine concederà agli istituti scolastici i tempi necessari per fare fronte alla necessità di inserire nelle proprie graduatorie i docenti che, pur essendo destinatari di sentenze, non hanno avanzato in precedenza domanda di inserimento nella seconda fascia di istituto, riservata, come è noto, ai docenti abilitati ma non iscritti nelle graduatorie a esaurimento. 

Rileva che il Capo II reca misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali. In particolare, l’articolo 5 introduce ulteriori limiti alla delocalizzazione delle imprese destinatarie di aiuti da parte dello Stato. 
Ricorda che la normativa vigente, di cui all’articolo 1, comma 60, della legge n. 147 del 2013, prevede la decadenza dai benefici e l’obbligo di restituzione per le imprese che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all’Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento. 
Il comma 1 dispone che le imprese che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato subordinato all’effettuazione di investimenti produttivi decadono dal beneficio qualora l’attività economica in tutto o in parte sia delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione europea o allo Spazio Economico Europeo (SEE) entro cinque anni dalla conclusione dell’iniziativa agevolata. In tal caso, le imprese sono soggette a una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito. Il successivo comma 2 estende l’obbligo di restituzione ai casi di percepimento di aiuti collegati ad investimenti produttivi specificamente localizzati. Sulla base del comma 3, l’importo da restituire è maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali. Tale disciplina, ai sensi del comma 4, non si applica ai benefici già concessi o banditi, né agli investimenti agevolati già avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il comma 5 qualifica come privilegiati i crediti derivanti dalla restituzione dei benefici e dispone la loro destinazione all’entrata del bilancio dello Stato ai fini della loro riassegnazione all’amministrazione titolare della misura, ad incremento delle disponibilità della misura medesima. 
A tale proposito, si compiace di sottolineare che la disposizione corona una battaglia condotta nel corso della scorsa legislatura dalla Commissione Lavoro, che ha preso le mosse dalla vicenda dei dipendenti dell’azienda Isolante K-Flex S.p.A. che, dopo avere beneficiato di contributi pubblici, aveva deciso di delocalizzare in Polonia la sua produzione. 
Segnala che la relazione illustrativa sottolinea il carattere di novità delle disposizioni in esame non solo rispetto all’ordinamento italiano, ma anche rispetto a quello europeo, nei confronti del quale, peraltro, esclude ipotesi di incompatibilità. Ciò in quanto la disciplina europea pone vincoli agli aiuti a finalità regionale agli investimenti, stabilendo, da un lato, l’obbligo di mantenimento dell’investimento nel territorio per un periodo minimo di tre anni per le PMI e di cinque anni per le grandi imprese e, dall’altro, introducendo l’obbligo per l’impresa che presenti domanda di accesso al beneficio di confermare di non avere effettuato una delocalizzazione verso lo stabilimento finanziato nei due anni precedenti, nonché l’obbligo di impegnarsi a non effettuare una delocalizzazione nei due anni successivi al completamento dell’investimento. Pertanto, se la normativa europea riguarda solo una tipologia di aiuto e interviene nella fase precedente il riconoscimento del beneficio, il decreto-legge si
applica a ogni tipo di beneficio, in qualunque forma sia concesso, e prevede che l’obbligo di restituzione scatti dopo la fine delle sovvenzioni. Anche l’aumento a carico delle PMI da tre a cinque anni del termine per la restituzione del beneficio non appare contrastare con la normativa europea, che qualifica tale termine di tre anni come un limite minimo derogabile in aumento. Infine, la relazione illustrativa esclude la possibilità di conflitti con il diritto dell’Unione europea anche sotto il profilo delle restrizioni territoriali che integrano i casi di delocalizzazione.

Conclude, quindi, l’illustrazione delle parti del decreto-legge di prevalente competenza dell’XI Commissione, ricordando brevemente che l’articolo 6 dispone la decadenza dal beneficio dell’aiuto di Stato che preveda la valutazione dell’impatto occupazionale per l’impresa che, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riduca di più del 10 per cento i livelli occupazionali degli addetti all’unità produttiva o all’attività interessata al beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento. La decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è totale nel caso di riduzione superiore al 50 per cento. 

Per concludere e in sintesi, rileva che le norme recate dal decreto in tema di riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato, lungi dal sanzionare le imprese e i lavoratori, perseguono l’obiettivo di ridurre gli spazi concessi al contratto a termine, in modo da assicurare quelle misure di prevenzione degli abusi che l’attuale disciplina evidentemente non è stata in grado di garantire, a detrimento dell’utilizzo del contratto a tempo indeterminato. Né certamente è possibile stabilire alcun nesso causale tra la diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, volta a colpire l’abuso della reiterazione ingiustificata dei contatti a termine, e un impatto negativo sul mercato del lavoro. 

In questi giorni, si è molto parlato delle stime effettuate dall’INPS e dalla Ragioneria generale dello Stato circa il presunto 10 per cento di contratti di lavoro a tempo determinato che, per effetto di queste norme di nuova introduzione, non verrebbero rinnovati annualmente. Ora, senza voler entrare in questo tipo di dibattito, si limita a segnalare come non sia affatto scontato che la Ragioneria generale dello Stato si preoccupi, ogni volta che viene modificata una singola tipologia contrattuale, di stimarne gli effetti macroeconomici in termini occupazionali e per un arco temporale di dieci anni – effetti per loro natura difficilissimi da prevedere, essendo ovviamente determinati da una pluralità di fattori economici, strutturali e congiunturali, nazionali e sovranazionali – per desumerne poi i possibili effetti secondari in termini di finanza pubblica. Si tratta di un esercizio estremamente arduo, che, ricorda, non fu fatto, ad esempio, nella relazione tecnica allegata al decreto-legge n. 25 del 2017, convertito dalla legge n. 49 del 2017, di abolizione dei voucher. Essa si limitava ad osservare che da quella abolizione non si potevano desumere direttamente diminuzioni dei livelli occupazionali, essendo presumibile che le prestazioni di lavoro acquisite tramite voucher sarebbero da quel momento in poi state acquisite attraverso le ulteriori, numerose forme contrattuali disponibili a legislazione vigente, tra cui si citava anche il contratto a tempo indeterminato. 

Più in generale, osserva che spesso, come è noto, il contratto a termine «a-causale» è stato utilizzato non tanto per rispondere ad effettive esigenze temporanee quanto, soprattutto, come vero e proprio strumento di organizzazione del lavoro così da disporre di una stabile riserva di manodopera alla quale attingere, in modo ricorrente, in funzione delle esigenze del mercato. 
Il presente intervento normativo, dunque, va a colpire gli abusi del ricorso del contratto a termine, confermato dai dati ISTAT del maggio 2018, che evidenziano il 
trend della forte prevalenza dell’ingaggio della forza lavoro con contratti a termine, piuttosto che con contratti a tempo indeterminato. Esso, inoltre, va nella direzione di promuovere il contratto a tempo indeterminato, in conformità allo spirito e al principio sancito dalla Direttiva europea 1999/70 e ribadito anche dalla legge delega n. 183 del 2014 e dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che definisce il contratto a tempo indeterminato come la «forma comune» di rapporto di lavoro.

Claudio MANCINI (PD) interviene sull’ordine dei lavori, chiedendo conferma circa il fatto che la discussione sulle linee generali del provvedimento abbia luogo una volta esaurite le audizioni previste.
Debora SERRACCHIANI (PD), intervenendo sull’ordine dei lavori, considera irrituale lo svolgimento della discussione sulle linee generali prima dello svolgimento delle audizioni.
Ettore Guglielmo EPIFANI (LeU) si associa a quanto affermato dalla collega Serracchiani, osservando che a suo giudizio la seduta odierna dovrebbe essere limitata alle relazioni illustrative del provvedimento.

Carla RUOCCO, presidente, replica che la discussione sulle linee generali potrà svolgersi anche nella seduta di giovedì, compatibilmente con il calendario dei lavori dell’Assemblea.
Walter RIZZETTO (FdI) interviene sull’ordine dei lavori per chiedere alla presidente indicazioni di massima sull’inizio delle votazioni delle proposte emendative.

Carla RUOCCO, presidente, rammenta che, una volta presentate le proposte emendative, l’ufficio di presidenza delle Commissioni potrà decidere sul prosieguo dei lavori.

Luca PASTORINO (LeU) interviene sull’ordine dei lavori per sottolineare come i tempi riservati all’esame del provvedimento siano estremamente ridotti, considerando anche gli impegni legati ai lavori dell’Aula. Chiede pertanto alla Presidenza di farsi portavoce in Conferenza dei Capigruppo affinché venga valutata la possibilità di far slittare l’inizio dell’esame del provvedimento in Aula.
Carla RUOCCO, presidente, precisa che ciascun gruppo potrà segnalare al proprio rappresentante le perplessità in ordine alla programmazione dei lavori dell’Assemblea stabilita dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo.

Debora SERRACCHIANI (PD) chiede ai presidenti delle Commissioni VI e XI di sollecitare, apprezzate le circostanze, la modifica del calendario dei lavori dell’Assemblea, allo scopo di consentire un più approfondito e ordinato esame del decreto-legge.
Carla RUOCCO, presidente, segnala che la maggioranza dei componenti le Commissioni Lavoro e Finanze concordano con il calendario proposto dalla Presidenza. Tuttavia, non volendo in alcun modo proseguire con il modus operandi adottato dalla maggioranza nella scorsa legislatura, comunica che terrà conto delle istanze sollevate dalle opposizioni. 
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 18.25.

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9 Maggio 2025
Volkswagen, voci di vendita per Italdesign, il sindacato si oppone

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9 Maggio 2025
L’evasione fiscale: un fenomeno ancora da interpretare

Economia, Istat: scenario internazionale di elevata incertezza, ma nel I trimestre Pil italiano migliore di Francia e Germania

9 Maggio 2025
Istat, a novembre fatturato +1,3% e ordini +0,3%

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9 Maggio 2025
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