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Home - Approfondimenti - Analisi - Compie un anno la legge sul caporalato: a che punto siamo

Compie un anno la legge sul caporalato: a che punto siamo

di Alessandra Servidori
30 Ottobre 2017
in Analisi
Compie un anno la legge sul caporalato: a che punto siamo

La legge che ha  introdotto  nuove disposizioni contro il c.d. caporalato, e mirava – nell’intenzione del legislatore – a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell’azione di contrasto, partendo dall’attenzione al versante dell’illecita accumulazione di ricchezza da parte di chi sfrutta i lavoratori all’evidente fine di profitto, in violazione delle più elementari norme poste a presidio della sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché dei diritti fondamentali della persona. Ricordiamo che in precedenza con il D.L. 138/2011 (convertito dalla L. 148/2011) era già stato introdotto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (articoli 603-bis e 603-ter c.p.).Il limite della legge  è l’ambito applicativo della normativa: a dispetto del titolo (Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo) in nessuna parte la norma limita i propri effetti al settore agricolo (né lo faceva la disposizione introdotta nel 2011). Non ci sono dati ufficiali dettagliati sull’estensione del fenomeno, che negli ultimi anni è stato raccontato da diverse inchieste giornalistiche e indagini.

Secondo l’ISTAT, il lavoro irregolare in agricoltura, a cui è associato comunemente il caporalato, è in costante crescita da dieci anni a questa parte e il terzo rapporto Agromafie e caporalato,del maggio 2016, realizzato dall’osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL, dice che le infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare e nella gestione del mercato del lavoro attraverso la pratica del caporalato muovono in Italia un’economia illegale e sommersa che va dai 14 ai 17,5 miliardi di euro. Il rapporto individuava circa 80 distretti agricoli indistintamente dal nord al sud Italia e quantificava tra 400 e 430 mila le persone soggette a sfruttamento, sia italiani che stranieri e la maggior parte sono sempre ovunque donne. Ancora oggi le condotte vietate sono, da un lato, il reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori e, dall’altro, l’utilizzo, assunzione o impiego di manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Non è più contemplato l’approfittamento dello stato di necessità ,non sono necessarie, per configurare il reato, la violenza o la minaccia: l’illiceità è nello sfruttamento e nell’approfittamento dello stato di bisogno. L’uso di violenza e minaccia costituiscono ora semplici aggravanti. L’intimidazione non è più contemplata come elemento costitutivo o aggravante dei due reati. Perché utilizzo, assunzione o impiego in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno costituiscano reato non è necessario il previo ricorso all’intermediazione illecita (la norma infatti prevede tale azione come eventuale). In precedenza non era prevista una specifica responsabilizzazione del datore di lavoro, oggi viene invece individuato come chiunque utilizzi, assuma o impieghi manodopera, quindi secondo criteri sia fattuali che giuridici. Ciò che lascia fortemente perplessi è l’individuazione degli indici di sfruttamento. Il reato sussiste in presenza anche di uno solo degli indici ( retribuzione,orario, sicurezza,riposo settimanale,aspettativa obbligatoria, ferie) e a parere di chi scrive,una sanzione penale  grave avrebbe forse richiesto la concorrenza di due o più indici. In precedenza, un indice era la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Oggi l’indice è la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato e non solo in agricoltura,  ma per esempio in edilizia, altro settore dove il lavoro nero è esplosivo. La violazione non è dunque più necessariamente sistematica, ma solo reiterata: non essendo indicato un parametro di riferimento, basta la ripetizione per 2 volte dell’inadempimento contrattuale per configurare il reato,mentre  si sarebbe dovuto  fare riferimento a parametri che evidenziassero la gravità della condotta.

La normativa doveva essere più chiara ed orientata  alle situazioni (purtroppo ancora tante) in cui c’è un vero sfruttamento, da ricondurre ai parametri della sistematicità, del carattere delittuoso dell’organizzazione volta a gestire il sistema dello sfruttamento e con indici gravi e reiterati nel tempo, da cumularsi tra di loro. Poiché lo sfruttamento del lavoro nero e l’intermediazione illecita si muovono prevalentemente nel mondo della criminalità e della delinquenza organizzata, forse – se si fosse ben identificato normativamente il vero fenomeno dello sfruttamento – avrebbe potuto trovare luogo anche l’estensione a questo fenomeno delle diposizioni penali inerenti le criminalità organizzata. Ci sarebbe stata  l’opportunità  per introdurre disposizioni che colpissero veramente ed efficacemente lo sfruttamento, e anche con sanzioni ben più incisive e gravi.

Ad esempio,  con lo strumento ispettivo,ma nulla si dice in materia e a tutt’oggi  le indagini sul caporalato, non solo per le storie che  tristemente vengono alla luce , ma anche perché evidenziano situazioni di sfruttamento talmente evidenti da non lasciare spazio a  dubbi  che dimostrano la neccessirà di adeguati strumenti all’ispezione  che sicuramente costituirebbero  un baluardo a favore delle tante imprese in regola (che evidentemente soffrono il dumping dell’illiceità) e contro lo sfruttamento. Così come la nomina dell’amministratore e i poteri/doveri a lui assegnati sembrano incoerenti  perchè normalmente si dovrebbe disporre la confisca delle proprietà, e poi, semmai, la gestione per salvare l’occupazione: difficilmente l’imprenditore che ha commesso qualche minima violazione non si orienta verso l’immediata regolarizzazione, in luogo della presenza di un amministratore che lo sostituisce.

Dunque una norma “ finta ,spauracchio”, destinata a non operare quasi mai, quindi inutile. Poiché lo sfruttamento del lavoro nero e l’intermediazione illecita si muovono prevalentemente nel mondo della criminalità e della delinquenza organizzata, forse – se si fosse ben identificato normativamente il vero fenomeno dello sfruttamento – avrebbe potuto trovare luogo anche l’estensione a questo fenomeno delle diposizioni penali inerenti le criminalità organizzata e soprattutto , rispetto la gestione del mercato del lavoro, certo è che lo sfruttamento della manodopera  e non solo  agricola, è preceduta dalla tratta degli esseri umani. Cosa aspettarsi  e augurarsi in futuro. Attendiamo  a giugno 2019 l’entrata in vigore dell’UniEmens (il modello di denuncia mensile relativo ai lavoratori dipendenti) per le imprese agricole e ciò rimanda l’attivazione di uno degli strumenti che potrebbe accertare le irregolarità delle imprese. La dichiarazione mensile fornirebbe all’INPS, ma non solo, delle informazioni sui rapporti di lavoro in essere più aggiornate di quelle che attualmente vengono comunicate attraverso il DMAG- alias modello creato in ottica di superamento di alcuni aspetti di criticità emersi in relazione alle crescenti complessità gestionali del comparto agricolo e con l’obiettivo di determinare un innalzamento del livello quali-quantitativo dell’attività delle Sedi attraverso una riduzione degli spazi temporali impiegati nelle fasi di lavoro, è stato ridisegnato il modello di dichiarazione di manodopera agricola trimestrale degli operai a tempo determinato (OTD), indeterminato (OTI) e compartecipanti individuali (CI): DMAG-UNICO (che, quando è regolare, viene inviato il mese successivo al trimestre.

Almeno in questo, le imprese agricole verrebbero equiparate a quelle degli altri settori e quindi non si può parlare nemmeno di un aggravio della burocrazia. Vorremmo  si incentivasse  il sostegno alla rete del lavoro agricolo e comunque al lavoro regolare, le disposizioni per il supporto dei lavoratori che svolgono attività lavorativa stagionale di raccolta dei prodotti agricoli e il sostegno al riallineamento retributivo che potrebbero rappresentare  elementi positivi, in vista di una progressiva emersione del lavoro nero e la riduzione del fenomeno del caporalato. Ma la lotta al caporalato – quello vero e non quello genericamente disegnato dal Legislatore nella legge in esame – avrà successo se si incide sulle sacche di inefficienza che favoriscono il deprecabile fenomeno: carenza di servizi credibili di intermediazione lecita nel settore, assenza di servizi di trasporto pubblico nelle aree rurali, lacune nella gestione dell’immigrazione, controlli ispettivi organizzati e dotati di adeguati strumenti, mirati e selettivi. La verità  è che la leva non piace, anche perché , per esempio si sta registrando un aumento del 10% di lavoro sfruttato.

Alessandra Servidori

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Tags: AgricolturaLavoroOccupazioneLegalità
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