Per i suoi settant’anni, nel 2003, Vittorio Merloni aveva organizzato una grande festa nella sua casa di Fabriano. C’era tutta l’Italia che conta: ministri, politici, banchieri, imprenditori, amici e parenti. Era stato anche l’ultimo evento di quella portata: ‘’I prossimi che festeggerò –diceva- saranno gli ottanta’’.Quella festa non e’ mai avvenuta: dieci anni dopo non c’era già piu’ niente da festeggiare, con lui malato, di una malattia che ti porta via ancor prima di ucciderti, e con l’azienda, la sua Indesit amatissima, avviluppata in una crisi da cui sarebbe uscita nel 2015 solo con la cessione agli americani di Whirlpool.
Vittorio Merloni e’ morto sabato scorso, a Fabriano. Il declino del suo impero, pero’, per fortuna non lo ha visto, non ne ha avuto sentore, non sa che la sua ‘’creatura’’ adesso batte bandiera a stelle e strisce. Quella multinazionale nata nella profonda provincia marchigiana da una aziendina di bilance e bombole di gas, fondata ad Albacina dal capostipite, Aristide, e poi cresciuta, anno dopo anno, sotto le cure meticolose e di Vittorio. Nel 2005 le aveva perfino cambiato nome, via Merloni Elettrodomestici, avanti Indesit Company: ‘’se vuoi competere sui mercati mondiali mica puoi restare attaccato al nome di famiglia’’, diceva.
Un imprenditore visionario, Vittorio, che aveva intuito per primo le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, da internet, dalla domotica. Faceva lavatrici, frigoriferi, ma li voleva proiettati nel futuro. Un mio ricordo personale: molti anni fa, mi descrisse entusiasta il sistema che stava studiando per consentire al cellulare di connettersi con la lavatrice di casa e con altri elettrodomestici. Io ridevo, incredula, gli chiedevo ‘’ma a che serve?”. Lui rispondeva: ‘’non capisci, questo e’ il futuro’’. L’Iphone ancora non esisteva, ma Vittorio, già nei primi anni Novanta, aveva contattato la Apple per sondare la possibilità di una collaborazione.
Era un uomo della vecchia guardia, classe 1933, la generazione dei ‘’ricostruttori’’, quella del dopoguerra; eppure sapeva guardare lontanissimo, avanti, senza limiti di tempo. Poco prima di ammalarsi -sarà stato il 2005, o il 2006- mi spiegava di aver messo a punto un piano decennale per portare la Indesit ad essere leader in Europa. ‘’Il numero uno’’, era la sua fissa, il suo sogno. Essere il leader italiano ma ‘’solo’’ il secondo in Europa, il quinto nel mondo, non gli bastava. Il progetto che avrebbe dovuto consentire alla Indesit si scalare la vetta era basato su nuove tecnologie, su una nuova generazione di prodotti, nuovi servizi, un nuovo modello organizzativo, piu’ adatto a una multinazionale che manteneva caparbiamente la testa a Fabriano, ma poi si estendeva su trentasei paesi, attraverso molte lingue diverse e molti fusi orari.
Il compimento del piano era previsto per il 2015, e lui preveniva le mie obiezioni: ‘’mi dirai: ma Vittorio, nel 2015 avrai più di ottant’anni! Vedi, non e’ che io pensi di restare al timone fino a quella data. Posso andare avanti per qualche anno ancora, ma poi e’ ai miei figli che voglio passare il timone”. Gli ho chiesto: ‘Ma senza Vittorio Merloni, Indesit avra’ gli stessi successi?”. ‘’Ne sono sicurissimo. Nella nostra azienda, nella nostra famiglia, ci sono le qualità e la volontà di vincere che, per fortuna, prescindono dalla mia presenza quotidiana’’.
Invece, con la sua malattia, e’ iniziato il declino. Senza la sua guida, l’azienda si e’ avvitata in una crisi che l’ha portata tra le braccia degli americani di Whirlpool. Destino di quasi tutti i grandi gruppi industriali italiani, quelli che hanno fatto la storia industriale del nostro paese: dei Lucchini, degli Agnelli, dei Pirelli, dei Marzotto, e dei Merloni. Imperi oggi scomparsi come i fondatori, o fortemente ridimensionati, o passati di mano.
La storia, Merloni, l’aveva scritta anche come presidente di Confindustria. Eletto nell’80, si era presentato davanti al consiglio dei Saggi che gli proponeva l’incarico con grande timidezza: ‘’ma siete sicuri di volere proprio me?”. Ma poi, da presidente degli industriali, aveva osato l’inosabile: disdettare la Scala mobile, negli anni Ottanta ancora un tabu’ intoccabile. L’intenzione di procedere l’aveva comunicata in anticipo solo a Enrico Berlinguer. Una visita segreta, a Botteghe Oscure, per informare il segretario del Pci di una decisione che avrebbe creato un putiferio. ‘’Berlinguer mi ascoltò con attenzione e poi mi disse: ‘capisco le vostre ragioni, ma sappiate che sarà molto dura’’. Lo fu. Gli operai fecero manifestazioni di protesta sotto la Confindustria, e sotto la sua casa romana, per mesi. Lo slogan piu’ soft era ‘’Merloni, fuori dai coglioni’’. E tuttavia, Merloni non e’ mai stato considerato dai sindacati un nemico. Lo prova il comunicato della Cgil, che ieri esprimeva ‘’profondo cordoglio per la scomparsa di Vittorio Merloni, un grande imprenditore che riuscì a far diventare la sua città, Fabriano, il cuore di uno dei più importanti distretti mondiali degli elettrodomestici, trasformando la sua azienda da realtà regionale a leader mondiale del settore. Di imprenditori come Vittorio Merloni il Paese continua a sentirne ancora l’esigenza”.
Tanto piu’ che, pur essendo a capo di un impero famigliare, era innanzi tutto un imprenditore vero. Cosa rara, in un paese dove nel capitalismo famigliare il legame di sangue conta, spesso, piu’ del merito. Merloni invece diceva: “tra l’impresa e la famiglia, diamo sempre la precedenza all’interesse e alla crescita dell’impresa. Se non altro, perche’ 18 mila dipendenti sono una grossa responsabilita’’. La gestione dell’azienda, malgrado avesse quattro figli (Andrea e Aristide, gemelli, Maria Paola, oggi in politica, e Antonella) e’ sempre stata affidata a manager esterni. Personaggi brillanti come Francesco Caio e Andrea Guerra si sono fatti le ossa a Fabriano. ‘’Hanno imparato il mestiere qui e poi si sono portati altrove l’esperienza fatta con noi’’, commentava un po’ amaramente Vittorio quando, entrambi, lo avevano lasciato per seguire altre avventure. Ma era convinto che, al momento opportuno, avrebbe saputo gestire anche il passaggio generazionale famigliare.
Non e’ andata così. Nel 2010, costretto dalla malattia, Vittorio ha ceduto il timone al figlio Andrea. Ma non ha funzionato. Dopo molti contrasti, sia interni alla famiglia che con il management, i Merloni lasciano tutto in mano all’amministratore delegato Marco Milani: sarà lui a traghettare Indesit attraverso la crisi, fino all’acquisizione da parte di Whirlpool, unica speranza di sopravvivenza. E’ il periodo piu’ difficile e amaro, gli anni della completa dissoluzione dell’impero, scanditi da scontri in famiglia, impianti che chiudono, scioperi, proteste. E tuttavia, la stima dei dipendenti per uno degli imprenditori piu seri e leali che questo paese abbia avuto non è mai venuta meno. In uno degli ultimi scioperi, gli operai di Fabriano hanno sfilato indossando una maglietta col ritratto di Merloni e la scritta: “Vittorio, ci manchi”. Non credo che nessun altro ‘’capitano di impresa’’ italiano abbia mai avuto un omaggio simile, mai. Ma e’ una ‘’mancanza’’ che non riguarda solo i cuori, affettuosi, delle maestranze: riguarda tutto il nostro paese, che con Merloni perde l’ultimo dei Grandi, mentre all’orizzonte non si vede alcun ricambio.
Nunzia Penelope