Sette anni in Tibet, o comunque in un posto altrettanto freddo e distante: è li che si sono ritirate le relazioni tra sindacati e Confindustria, per sette lunghi anni. La battuta che cita il famoso film di Brad Pitt arriva da uno dei partecipanti all’incontro tra le parti sociali di giovedì 26 giugno, e ha un suo fondamento. Dal 2018, anno del Patto della fabbrica, Cgil, Cisl e Uil e la confederazione degli industriali hanno lavorato assieme solo nell’emergenza del Covid, per il protocollo che tenne aperte le fabbriche impedendo che si fermasse davvero tutta l’Italia. Per il resto: distanze siderali e gelo tibetano. Nessun appello a un ipotetico ‘’patto sociale’’ ha mai avuto risposte, e per la verità nemmeno nessun tentativo serio di mettersi attorno a un tavolo è mai stato veramente esplorato.
Nel frattempo, il mondo andava avanti. Si entrava e usciva dal Covid, poi dall’inflazione, e poi la crisi energetica, le guerre, eccetera. I contratti più o meno si rinnovavano, l’economia andava avanti coi suoi alti e bassi, i governi si avvicendavano – Gentiloni, Conte uno, Conte due, Draghi, Meloni – mentre anche i sindacati celebravano i loro congressi e cambiavano leadership, cosi come la Confindustria vedeva passare tre presidenti. Il tutto senza che mai le parti sociali tornassero a parlarsi davvero. Poi, improvvisamente, qualcosa è cambiato. Era marzo quando è partita una lettera di invito dai sindacati alla Confindustria, per organizzare un incontro. E ieri, dopo i fatidici sette anni, l’incontro c’è stato. Non breve, e certo non di facciata: lungo oltre tre ore, in una Roma canicolare, presso la foresteria confindustriale di Via Veneto, il presidente degli industriali Emanuele Orsini, con Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri, hanno ripreso il filo di un discorso interrotto dal 2018.
Tre cose che emergono dall’incontro colpiscono particolarmente. La prima: gli accenti di soddisfazione di tutti i partecipanti al tavolo nelle dichiarazioni all’uscita. La seconda, l’elenco lunghissimo di argomenti che, sempre stando alle dichiarazioni dei partecipanti, sono stati al centro del confronto: politiche industriali, salute e sicurezza sul lavoro, dazi, Europa, relazioni industriali, rappresentanza, contratti, salari, energia, crisi industriali, ecc. “Si è discusso di moltissimi temi, direi tantissimi temi, di interesse delle imprese e dei lavoratori, inerenti alla crescita di questo paese”, ha confermato Orsini, aggiungendo che “sui temi condivisi sarà costruito un percorso di incontri per analizzarli”. Di ‘’agenda’’ per i prossimi appuntamenti parla anche Daniela Fumarola. E quanto a Landini, in questi anni il più restio al confronto con gli industriali: “Si è avviato un confronto che sarà in grado di affrontare tutti i temi in questione”.
La terza cosa che colpisce: che proprio il presidente di Confindustria si sia in pratica impegnato, prima al tavolo, ma poi anche pubblicamente, a garanzia dello sblocco del contratto dei metalmeccanici a breve scadenza: ‘’nei prossimi giorni’’, sono le parole di Orsini. Sembra che dietro questa presa di posizione alquanto irrituale ci sia stata una spintarella del governo stesso: non essendo Giorgia Meloni particolarmente felice di avere le tute blu arrabbiate in giro per le piazze del paese, dettaglio che impatta negativamente sulla narrazione idilliaca dell’economia e del lavoro cara a Palazzo Chigi. Sia come sia, sta di fatto che ci sarebbero già stati contatti informali per una riapertura della trattativa tra Fim Fiom e Uilm e Federmeccanica: la convocazione del tavolo dovrebbe arrivare subito dopo il 10 luglio, data di insediamento del nuovo presidente delle industrie meccaniche.
Dunque, ricapitolando. Non si parlano per sette anni, poi improvvisamente non solo tornano a parlarsi ma 1) risolvono una vertenza durissima come quella dei metalmeccanici e 2) mettono giù quello che praticamente, stando ai titoli, sembra un vero e proprio programma di politica economica. Di cui, dati alcuni argomenti, dalla politica industriale all’energia, ai dazi, a un certo punto l’interlocutore, o meglio il destinatario, non potrà che essere il governo stesso.
Cosa può aver spinto le parti sociali dall’immobilismo al dinamismo non è chiaro, ma si può provare a immaginare. Intanto, l’economia italiana, a parte i conti pubblici ben custoditi da Giorgetti, è oggi di fatto ‘’sgovernata’’, e questo alle imprese non può che fare danno, cosi come ai sindacati. Inoltre, incombono infiniti nuovi problemi – dai dazi, al piano di riarmo, fino all’avvento dell’AI- che è meglio affrontare assieme piuttosto che disuniti. Insomma, forse era arrivato il momento, per tutti, di prendere in mano la situazione, o almeno provarci. Magari partendo dalla revisione del Patto della fabbrica, a suo tempo firmato da tutte le rappresentanze di imprese e sindacati e quindi elemento ‘’unificante’’, in grado (forse) di superare anche le attuali aspre divisioni tra le confederazioni Cgil e Cisl.
Che poi si riesca nell’obiettivo, è tutto da vedere. Gli ostacoli sono parecchi, non ultimo quello della rappresentanza, tema su cui potrebbe realizzarsi un asse Confindustria- Cgil, ma che trova ostilissima la Cisl. A parte questo, resta che intanto si è partiti. Anche se Landini, uscendo dall’incontro, ha avvisato: “l’importante non è come si parte, ma dove si arriva’’.
Nunzia Penelope




























