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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Confindustria e sindacati: prove generali di disgelo

Confindustria e sindacati: prove generali di disgelo

di Massimo Mascini
24 Giugno 2024
in L'Editoriale
Rinnovato l’accordo economico collettivo

È stata solo una prima presa di contatto. Maurizio Landini e Maurizio Marchesini, il nuovo vicepresidente di Confindustria con la delega al lavoro, si sono incontrati la settimana scorsa a Bologna al dibattito di “Repubblica delle idee” e non si sono dispiaciuti. L’industriale ha solleticato il sindacalista dicendogli che è ora che sindacati e imprenditori finiscano di andare separati dal governo perché in questo modo non si ottiene nulla. “Facciamo un accordo e andiamo assieme a Palazzo Chigi, gli ha detto, qualcosa porteremo a casa”. E ha aggiunto che questa intesa potrebbe riguardare la rappresentanza, per eliminare falsi contratti e cooperative spurie.

Musica per le orecchie del segretario generale della Cgil che da troppo tempo continua a chiedere inutilmente una legge sulla rappresentanza. E poi non ci sarebbe nemmeno da lavorare troppo, perché un’intesa sulla rappresentanza industriali e sindacalisti ce l’hanno già, fin dal 2016, quando firmarono il testo unico, appunto su rappresentanza e contrattazione. Il punto è che quell’accordo non è mai stato applicato per una serie di intralci politici e burocratici che l’hanno fermato ai blocchi di partenza. Questa potrebbe essere il momento giusto per una ripartenza, approfittando del nuovo vertice di Confindustria, insediatosi da poche settimane ma già in piena operatività.

In realtà, i due protagonisti delle relazioni industriali oltre non sono andati, anzi hanno anche espresso opinioni diverse sull’azione che sta impegnando la Cgil, i quattro referendum contro il jobs Act, poco gradita dagli industriali. Ma questo avvio di un inedito patto dei produttori potrebbe essere l’avvio di un disgelo che dura ormai da troppo tempo. La recente storia delle due organizzazioni è infatti costellata da false partenze. A chiedere un nuovo patto sociale due anni fa fu proprio il presidente di Confindustria, quello ormai uscito, Carlo Bonomi, che profittò di un’assemblea pubblica della sua organizzazione per sostenere la necessità di un nuovo patto sociale.

Landini non lo seguì in quell’occasione. L’azione era stata troppo precipitosa, non era stata adeguatamente preparata, fatto è che il segretario generale della Cgil preferì passare la mano e, nonostante la pronta adesione del presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi, presente a quell’assemblea, non se ne fece nulla. E anche l’ultima occasione di aprire il dialogo, avvenuta molto segretamente tra la fine dello scorso anno e i primi mesi di questo, non riuscì meglio. A muoversi era stata la Cgil, che aveva provato a verificare la disponibilità di Confindustria a procedere verso un grande accordo sociale. Ma gli industriali non avevano potuto che rispondere negativamente, perché un accordo di questa portata non si fa con un presidente a fine carica.

Adesso l’occasione si ripresenta. Che ci sia bisogno di una nuova intesa, che riveda o anche solo porti a compimento il Patto della fabbrica, l’ultimo grande accordo sottoscritto dalle parti nel 2018, nessuno lo mette in dubbio. Quell’intesa aveva aperto diversi capitoli spinosi dei rapporti tra le parti sociali. Dalle regole sulla contrattazione, al tema dei perimetri contrattuali, alla partecipazione, alla formazione. Problemi di grande spessore che sarebbe interesse di tutti sistemare una volta per tutte. Non facili da risolvere, sia chiaro, una trattativa sarebbe un’azione molto complessa e arrivare in porto sarebbe difficile. Ma certamente varrebbe la pena provarci perché altre strade non sembrano percorribili.

Dal governo di Giorgia Meloni né i sindacalisti, né gli imprenditori possono aspettarsi un aiuto. L’esecutivo in carica ha aperto il suo mandato facendo grandi promesse di confronto con le parti sociali, ma nulla è seguito a quelle aperture, solo verbali. Lo prova il fatto che un’interlocuzione vera non c’è mai stata. Le parti sociali sono state ricevute a Palazzo Chigi, nella riaperta Sala Verde, ma solo per essere informate di cose che erano state già ampiamente decise dal governo e non erano assolutamente rivedibili. Incontri di cortesia, di cui imprenditori e sindacalisti però non sanno cosa farsene. E dietro questo comportamento del governo c’è una presa di posizione molto chiara. Perché Meloni e compagni vogliono avere il monopolio dei rapporti con i lavoratori, non accettano interlocuzioni. È lo stesso principio del premierato, per la maggioranza è la parte politica che deve avere i rapporti diretti con il popolo, senza passare tramite i suoi legittimi rappresentanti, che siano i partiti politici o i sindacati o le associazioni imprenditoriali.

Con un accordo diretto tra le parti sociali queste possono andare, assieme, con un’altra capacità di pressione a trattare con il governo. Se alle parti sociali serve una legge sulla rappresentanza che le renda più forti e la chiedono al governo, come hanno fatto i sindacati in tante occasioni negli scorsi mesi, la risposta dell’esecutivo non può che essere negativa. Se però a chiederlo sono i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese, assieme, le cose cambiano, forse in maniera risolutiva. Allora forse varrebbe davvero la pena provarci.

 Massimo Mascini

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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