Oltre mezzo milione di lavoratori del settore manifatturiero hanno perso la propria occupazione a causa della crisi nel periodo 2007-2012. E altra manodopera rischia di perdere il lavoro. A lanciare l’allarme è il Centro Studi di Confindustria durante il seminario “Scenari Industriali”. “In questa crisi la caduta di occupati nel manifatturiero ha già raggiunto le 539mila persone (2007-2012)”, ha spiegato il direttore del Csc, Luca Paolazzi, spiegando che si tratta di “un bilancio provvisorio perché questa recessione non è ancora finita”.
In questa lunga crisi, dunque, la perdita di occupazione ha raggiunto livelli record (-10% circa): nel periodo 1990-1994 avevano perso il lavoro 490mila persone occupate nel manifatturiero. Ora, visto che la recessione non è finita, la caduta di occupati “rischia di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724mila), ma, avverte il CsC, “a differenza di quanto avvenuto nei primi anno Ottanta l’espulsione di manodopera in corso non appare corrispondere a un’esigenza di ricerca di maggiore efficienza nel settore”.
Dunque, in un’ottica di lungo periodo, l’attuale recessione “ha assottigliato le probabilità di un riposizionamento su un sentiero di tenuta occupazionale nel manifatturiero che aveva contraddistinto l’Italia nel decennio pre-crisi”.
Inoltre secondo il Centro studi di Confindustria, la crisi mette a rischio la sopravvivenza dell’industria manifatturiera italiana. Quasi 55mila imprese del settore hanno chiuso i battenti a causa della crisi nel quadriennio 2009-2012.
Nel solo manifatturiero le aziende attive nel 2012 erano quasi il 5% in meno di quelle attive nel 2009. Gli economisti di Confindustria hanno calcolato che la crisi ha già causato la distruzione di oltre il 15% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 40% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22. In Germania, invece, il potenziale è salito (+2,2%).
“A metà 2013 – ha avvertito il CsC – la manifattura italiana è in condizioni molto critiche. Le due violente recessioni hanno determinato una caduta così profonda e prolungata dei livelli di attività da mettere a repentaglio decine di migliaia di imprese”.
Se nel primo trimestre dell’anno in corso il Pil è risultato inferiore dell’8,6% al picco pre-crisi, la produzione industriale, secondo le stime del Csc, è quasi del 25% più bassa, con diversi settori che registrano flessioni anche superiori.
Tra il 2007 e il 2012, il saldo tra imprese cessate e nuove imprese è stato negativo per oltre 32mila unità (-8,3%). Sono state colpite soprattutto le pmi.
Le regioni dove la diminuzione è stata maggiore sono Campania e Puglia (rispettivamente -10,4% e -10,3%), mentre all’estremo opposto si trovano Trentino Alto Adige e Basilicata (-6,3% e -6,5%)
Secondo il Csc, “è realistico supporre che, data la profondità della caduta di attività, il conseguente restringimento della base imprenditoriale, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e, soprattutto, il forte arretramento della domanda interna, una parte della riduzione del prodotto potenziale sia permanente”.
Anche su fronte della liquidità a disposizione delle imprese le cose non vanno bene. La stretta creditizia mette a rischio di fallimento anche le aziende sane. L’associazione guidata da Giorgio Squinzi chiede, dunque, di “rompere il circolo vizioso recessione-credit crunch e sviluppare canali alternativi di finanziamento”.
Secondo gli economisti di viale dell’Astronomia “il credit crunch che ha colpito in particolare l’industria, minaccia la sopravvivenza di un numero sempre più vasto di imprese”. I prestiti bancari erogati alle imprese si sono “fortemente ridotti”: a marzo 2013 lo stock di prestiti era inferiore del 5,5% rispetto al settembre 2011 e “corrispondente ad una perdita di 50 miliardi di euro”.
Secondo il CsC “la perdita di prestiti lascia un vuoto difficile da colmare, data la storica rilevanza del canale bancario per le imprese”. Inoltre, “la carenza di liquidità e finanziamenti è attualmente uno dei principali ostacoli per l’attività economica, specie per le piccole imprese. Mette a rischio di fallimento anche aziende sane”.
“Lo stock di prestiti – ha spiegato il Csc negli Scenari Industriali – si è ridotto soprattutto nell’industria (-26 miliardi di euro tra 2011 e 2013, pari a -10,1%), nelle costruzioni (-9 miliardi) e nelle attività immobiliari e professionali (-14 miliardi); ha tenuto nei settori de commercio, trasporto e comunicazioni (-2 miliardi)”.
Il costo bancario, inoltre, “è troppo alto”. In particolare, lo spread pagato dalle pmi “è cresciuto a livelli senza precedenti (+4,2 punti da +1,3 nel 2007)”. (LF)
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