Non ci sono buone notizie nelle previsioni di Confindustria per l’economia italiana, ma potrebbero perfino essere peggiori, una volta fatti i conti anche con le decisioni di Donald Trump. Proprio l’incombere dei dazi, a poche ore dal rapporto di primavera del Centro Studi confindustriale (quest’ultimo presentato nella mattinata di mercoledi 2 aprile, mentre dalle 22 ora italiana il presidente Usa annuncerà la lista dei sommersi e dei, forse, salvati) ammanta tutto di maggiore incertezza.
D’altra parte, la nostra economia non gode di buona salute: la produzione industriale ha appena spento le due candeline di un trend negativo come non si era mai visto, 24 mesi di calo ininterrotto, segno di una crisi che non potrà che peggiorare dopo gli annunci d’oltreoceano. Investimenti fermi, costi dell’energia alle stelle, (‘’minacciano la competitività delle imprese e riducono il reddito reale delle famiglie”), assenza di qualunque traccia di politica industriale, pessimo funzionamento di Transizione 5.0, ridotto a un groviglio burocratico che ben poche imprese si sentono di provare a dipanare (“non ci si attende un sostegno agli investimenti in impianti e macchinari poiché il Piano Transizione 5.0 si è rivelato poco efficace nel 2024 e dovrebbe incidere poco anche nel 2025”, si legge nel Rapporto). Quanto agli investimenti, “sono attesi arretrare quest’annodi -0,8%, in linea con la dinamica tendenziale negativa già osservata nella seconda parte del 2024, e recuperare nel 2026 a +0,9%, rimanendo sostanzialmente stagnanti nel biennio”.
Insomma, le condizioni perché la crisi divenga strutturale ci sono tutte. Per usare la metafora del presidente di Confindustria Emanuele Orsini: “le imprese di Italia ed Europa sono come una barca che naviga su un fiume, sapendo che a breve distanza ci sarà una cascata’’. I numeri lo confermano: il CsC taglia infatti le previsioni per il 2025, indicando un Pil ad appena +0,6%, che scenderebbe di un altro 0,2% in conseguenza dei dazi. Non molto meglio l’anno prossimo: nel 2026 il Pil potrebbe crescere dell’1% ma anche in questo caso va considerato l’impatto del protezionismo statunitense, che potrebbe eroderne lo 0,6%. “Non possiamo pensare che i dazi per noi non siano un problema. La guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti, e sicuramente se verranno applicati dazi all’Europa,sarà un ennesimo stop alle nostre imprese e alle nostre industrie”, ha chiarito Orsini, che tuttavia mette in guardia dall’ingaggiare un braccio di ferro con gli Usa: con l’America, dice, occorre dialogare, mettersi d’accordo.
Gli economisti del Csc avvertono: “un`eventuale escalation protezionistica che comporti un persistente, invece che temporaneo, innalzamento dell`incertezza (+80% sul 2024), l`imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni Usa, comprese quelle dall`Europa, e del 60% dalla Cina e l`applicazione di ritorsioni tariffarie sui beni di consumo Usa esportati, avrebbe un impatto cumulato negativo sul Pil italiano, misurato come scostamento rispetto allo scenario base, del -0,4% nel 2025 e del -0,6% nel 2026”.
Un altro grosso rischio è quello della fuga di capitali, investimenti e imprese in direzione degli Stati Uniti; del resto, l’onda lunghissima dell’attrattività europea, osservano gli economisti di Viale dell’Astronomia, si è già interrotta da qualche anno, appesantita dalla burocrazia infernale di Bruxelles, e gli Usa, anche senza i dazi, ne hanno già guadagnato, a spese del Vecchio Continente. E adesso arriverà anche la America First Trade Policy della seconda amministrazione Trump, che “si annuncia più aggressiva e imprevedibile dell’approccio adottato nel primo mandato”. Per Viale dell’Astronomia sarà cruciale“avviare trattative con gli Usa per conciliare le esigenze reciproche”, (ma le trattative sono cose lunghe, quella fra Usa, Messico e Canada durò tre anni), ed è ancora più essenziale“accrescere rapidamente l’attrattività europea, per evitare deflussi di capitali verso gli Stati Uniti, che è ciò che sta già accadendo e che i dazi accelereranno”.
Qualche luce comunque c’è. Il taglio dei tassi della Bce, per esempio: sperando che duri (non è detto) entro fine 2025 potrebbe portare la politica monetaria al livello neutrale. Inoltre, risale il reddito disponibile reale totale delle famiglie, grazie al progressivo recupero delle retribuzioni pro-capite, l’occupazione totale aumenta, l’inflazione scende, anche “sono fenomeni destinati ad attenuarsi nel corso del biennio”. Proseguirà il recupero delle retribuzioni reali, “che avanzeranno del +2,8% cumulato nel biennio 2025-2026, dopo il +1,5% nel 2024 (a parziale compensazione del -6,9% nel 2022-2023)”. Il tasso di disoccupazione “è atteso scendere a 6,3% nel 2025 e a 5,8% nel 2026, grazie a un’occupazione ancora in aumento e a una forza lavoro in moderata espansione (+0,4% in entrambi gli anni)”.
Quanto all’inflazione, nel 2025, è attesa poco sopra gli ultimi valori, in media al +1,8% (da +1% nel 2024), mentre nel 2026 è attesa salire alla soglia Bce (+2% in media), a causa dell’energia. Il deficit pubblico si attesterà al -3,2% del Pil nel 2025 e al -2,8% nel 2026,creando così le condizioni per l’uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo nel 2027. Il debito pubblico in rapporto al Pil è stimato al 137% nel 2025, in aumento di 1,7 punti rispetto al 2024, ed è previsto salga di altri 0,6 punti fino al 137,6% nel 2026, in linea con le stime del governo.
“In momenti difficili come questi servono misure straordinarie e coraggio straordinario– avverte Orsini- abbiamo bisogno che il nostro governo abbia coraggio e che l’Europa cambi rotta”. La cascata, ormai, è a un passo. E non sono ancora arrivati i dazi di Trump….
Nunzia Penelope