Nelle attuali rappresentazioni dei sindacati, e delle differenze tra le Confederazioni, prevalgono immagini semplificate: e l’attuale vicenda dei referendum accentua questa tendenza .
Naturalmente anche in passato nella lettura dei codici di comportamento delle organizzazioni si faceva ricorso a moventi individuali e di corto raggio. Eppure questi, che sono sempre esistiti , erano assorbiti dalle questioni di posizionamento strategico e di portata generale.
Vale la pena però anche dentro il quadro attuale mettere a fuoco rispetto a Cgil Cisl e Uil lo logiche e dinamiche di maggiore respiro, senza escludere lo spazio giocato dalle ambizioni personali, dai conflitti di leadership, dai micro-interessi e così via.
Se ci muoviamo su questa ottica più ampia possiamo vedere come le differenze tra Cgil e Cisl diventano più comprensibili ed anche più visibili, seppure meno marcate.
L’aspetto comune da osservare, nonostante le differenze di traiettorie, consiste nel fatto che le Confederazioni stiano alla ricerca di strumenti diversi da quelli precedenti per svolgere il loro ruolo classico di soggetto politico: dopo l’esaurimento della concertazione e davanti alla maggiore difficoltà nell’influenzare le scelte pubbliche.
Insomma a ben vedere tanto nella scelta della Cisl di presentare una legge di iniziativa popolare sulla partecipazione (che ha trovato un approdo legislativo), che in quella della Cgil di promuovere i quesiti referendari in materia di lavoro troviamo la stessa aspirazione a reinsediarsi nello spazio politico. Sia pure con le inclinazioni tipiche delle culture di quelle organizzazioni : più orientata in senso critico la Cgil, e con maggiore proiezione propositiva la Cisl.
Possiamo immaginare che in un differente contesto, politico e di opportunità, anche le attuali accresciute divaricazioni possano trovare alcuni terreni di composizione.
Venendo ai referendum – la strada con la quale la Cgil ha scelto di occupare la scena – questa idea è davvero così strampalata, o solo un mezzo per perseguire altri obiettivi, come si sente dire?
In realtà questa storia getta luce su aspetti che interrogano in profondità anche la sinistra politica.
Certo questa iniziativa punta ad una radicale sconfessione di un provvedimento simbolo di una stagione precedente, come il renziano jobs act del 2015.
Rispetto a ciò sembra venuto il momento per effettuare un bilancio e trarre qualche insegnamento di fondo a 10 anni di distanza.
Possiamo sostenere senza essere smentiti che l’impatto di questo corpo normativo ambizioso sul nostro mercato del lavoro non è stato positivo. Nel nostro sistema sociale non abbiamo mai avuto lavoratori con un tasso di insicurezza tanto diffuso, così bisognosi di protezioni adeguate, e per giunta con una estensione enorme di salari bassi.
Certo dentro una analisi di lungo periodo si può sostenere che siano diversi i fattori strutturali che pesano su questo scenario preoccupante. Ma quello che oggi possiamo affermare in modo netto è che l’implementazione del jobs act , al di là delle sue intenzioni, non si è rivelata in grado di invertire questa situazione.
E non solo per l’inadeguatezza degli strumenti scelti, come l’assecondamento delle flessibilità o l’eliminazione del deterrente forte costituito dall’art. 18 dello Statuto.
Ma soprattutto per aver sbagliato completamente diagnosi e strategia. Di aver pensato che i bisogni fondamentali dei lavoratori fossero stati risolti una volta per tutte e le disuguaglianze ormai divenute un nodo secondario nei paesi avanzati. Invece , come abbiamo detto, in tanti paesi , e da noi in misura più vistosa , abbiamo assistito al riemergere di bisogni materiali insoddisfatti e al peggioramento delle prospettive per i gruppi sociali più deboli : i ‘vecchi’ operai dell’industria e soprattutto i ‘ nuovi’ operai del terziario a basso valore aggiunto .
Insomma non è sorprendente come dopo decenni di ottimismo liberista sia venuta allo scoperto , e in modo non resistibile , la diffusione del disagio economico e del lavoro povero.
Questo aiuta a spiegare il riposizionamento dei sindacati. Anche quello – di cui si parla poco – della Uil, una Confederazione tradizionalmente prudente e divenuta negli ultimi anni più vicina alle istanze critiche.
Insomma si può discutere, come è giusto, della tattica referendaria e dei risultati possibili , ma certamente sotto il profilo strategico riscontriamo tutti gli elementi che militano a favore di una battaglia per favorire maggiore equità sociale .
Ma questa è appunto la questione con cui anche la sinistra deve fare i conti sul serio.
La fine dell’egemonia neo-liberista è stata annunciata da cambiamenti economici e da transizioni problematiche che investono tutti paesi sviluppati. E rispetto a cui le politiche di austerità perseguite fin qui dall’Unione europea appaiono non solo inadeguate ma anche controproducenti. Anche la parte più intelligente dell’establishment (Draghi) lancia da mesi segnali sulla necessità di cambiare rotta, a partire dal rilancio della domanda e dei salari e da un forte impulso agli investimenti pubblici e privati.
Invece la nostra sinistra continua a dividersi in questo frangente sulla base di vecchie parole d’ordine e di logiche di schieramento sorpassate.
I referendum costituiscono proprio per questo un’opportunità . Per riprendere nelle mani il filo di un percorso che restituisca spazio adeguato alla rappresentanza del lavoro. E che elabori programmi e proposte che vadano oltre il paradigma neo-liberista, ormai estenuato.
Insomma proviamo a lanciare in conclusione qualche chiave esplicativa.
Partiamo dalle Confederazioni sindacali. E’ vero che esse si sono allontanate negli ultimi anni, ma senza arrivare a rotture forti, come era accaduto nel 1984 (San Valentino) , nel 2003 (Patto per l’Italia) o nel 2009 (Accordo sulle regole contrattuali). Nel pendolo tra unità e disunione questa è la fase in cui prevale la disunione: che però non impatta significativamente a livello delle categorie e della contrattazione aziendale. Insomma le divisioni non costituiscono un destino ineluttabile.
Proponiamo questa formula: quando le risorse di potere e di opportunità di accesso che vengono dal sistema politico sono scarse – come adesso – le Confederazioni tenderanno a dividersi e a enfatizzare le loro identità peculiari. Quando tali risorse a disposizione dei sindacati diventano più abbondanti essi avranno maggiore convenienza ad adottare comportamenti unitari.
Quanto al centro-sinistra fanno bene le sue leadership attuali , nelle diverse componenti (PD 5Stelle e AVS) , ad incamminarsi con i referendum nel solco della rottura con le posizioni della terza via di derivazione blairiana, troppo acquiescenti verso il mercato e i suoi fallimenti e verso la crescita delle disuguaglianze. Ma vedremo se si tratta di un’operazione solo cosmetica, oppure – come sarebbe necessario – di una revisione di fondo delle proprie strategie . In grado di formulare , come aveva auspicato qualche anno fa l’illustre studioso inglese Colin Crouch , un progetto per una sinistra più assertiva, e non solo difensiva, sui grandi temi dei diritti sociali.
Mimmo Carrieri