Comincia a prendere forma la riduzione del cuneo fiscale con l’utilizzo dei proventi della spending review. All’inizio della settimana si era disperato al riguardo, perché Fabrizio Saccomanni,in tour negli Stati Uniti, aveva detto che è ancora presto per un’operazione del genere. Non l’aveva esclusa, ma a suo avviso nulla poteva essere fatto quanto meno per tutto il 2014. Sono altri i problemi, aveva affermato il ministro dell’Economia, bisogna rafforzare la ripresa e dare sufficienti garanzie per chi vuole investire nel nostro paese. Due giorni dopo invece è stata presentata in Commissione Bilancio della Camera una serie di emendamenti alla legge di stabilità, anche provenienti dalla maggioranza, che, recependo la risoluzione approvata la settimana scorsa, vincolano i proventi ottenuti dalla spending review e dalla lotta all’evasione fiscale appunto alla riduzione del carico fiscale su lavoro e produzione. La soluzione finale, come ha del resto osservato il relatore, verrà ovviamente dalla sintesi di questi diversi emendamenti, tutti peraltro abbastanza precisi. Varia tra di loro soprattutto la divisione di queste risorse tra lavoro e produzione, c’è chi pensa a un 50-50, chi a un 60-40 tra detrazioni per i lavoratori dipendenti e deduzioni Irpef per le imprese. Ma importante è che la decisione presa non resti sulla carta, diventi realtà operativa, perché questo davvero può rappresentare un forte stimolo per la ripresa, sempre annunciata, ma ancora lontana.
Il paese è infatti sempre più in difficoltà. Ce lo ha raccontato ilCensis nel nuovo Rapporto, dove si parla dei crescenti problemi e soprattutto dei timori che rendono difficile la vita degli italiani. Calano i consumi alimentari delle famiglie, aumentano le paure degli over 50 di perdere il proprio lavoro, diventa sempre più impetuoso il flusso dei giovani che lasciano il paese per avere possibilità di lavorare. Qualcuno resiste, è vero, nota il Censis: le donne e gli immigrati, che diventano una realtà sempre più consistente in Italia, ma la realtà resta negativa. L’esatta misura di questa situazione viene da Confcommercio che ha messo a punto un nuovo indice del disagio sociale: ha mischiato assieme, con diverso peso, la disoccupazione, il numero dei cassintegrati, quelli che ha chiamato gli scoraggiati, ossia chi non ha un lavoro, ma ne ha cercato uno negli ultimi tre mesi, l’inflazione dei beni in alta frequenza di acquisto. Questo Misery Index mostra un impoverimento preoccupante del nostro paese. Dal 2007 il disagio sociale misurato in questo modo è raddoppiato, nonostante il peso dell’inflazione sia molto calato in questi anni di bassi consumi e, quindi, di relativa crescita dei prezzi. Un dato preoccupante che Confcommercio si è impegnata ad aggiornare tutti i mesi.
L’attenzione del paese questa settimana è stata colpita dalla terribile notizia del disastro di Prato, dove un capannone lager è bruciato uccidendo sette persone. Ha destato orrore la notizia, scuotendo gli animi soprattutto perché ha messo a nudo una terribile realtà del nostro paese che tutti conoscono e che altrettanto tutti indistintamente cercano di ignorare. Nessuno può dire che si tratti di un fatto inaspettato, tutti sanno che il lavoro nero in alcune realtà del paese rappresenta un fatto endemico di proporzioni gigantesche. Del resto, se l’area dell’illegalità è superiore al 25% della nostra economia, è evidente che si tratta di un fenomeno sotto gli occhi di tutti, ma contro il quale nessuno combatte. I lamenti si sono levati in tutto il paese, fino dal Quirinale, ma l’impressione è che si sia trattato per lo più di dichiarazioni forti, ma destinate a lasciare il fenomeno inalterato. Una cosa ha scosso più di tutto è stata la lettera aperta al Capo dello Stato che ha pubblicato su Il Sole 24 ore da Pasquale Natuzzi. Con poche efficaci parole ha descritto un mondo di sopraffazione, illegalità, barbarie. Natuzzi ha parlato di ciò che conosce, la realtà della filiera del salotto, dove il lavoro nero la fa da padrone uccidendo le aziende legali, dando forza e vigore a chi preferisce la comoda scorciatoia del lavoro nero. La colpa, ha scritto Natuzzi, è certamente di chi opera nell’illegalità, ma anche di chi da troppo tempo consente questo scempio, che, appunto, genera non ricchezza, ma barbarie. Una realtà che non può che finire con una parte soccombente. E Natuzzi chiede a Giorgio Napolitano di non lasciare soli chi combatte quel triste fenomeno. Una lettera toccante, perché viene da chi per cinquant’anni ha lottato per far crescere nel Mezzogiorno un angolo di produzione e relativa ricchezza e ha visto vacillare tutto quanto aveva costruito proprio a causa di chi agendo fuori dalla legalità gli faceva concorrenza sleale.
Un’ultima notazione per sottolineare come la magistratura sia dovuta intervenire un’alta volta per supplire alle carenze della politica. La Consulta boccia il Porcellum che tutti i partiti dicevano di criticare, ma al quale nessuno riusciva a metter mano. Adesso l’alternativa è tra il ritorno a un proporzionale puro, che tutti affermano di aborrire, o una nuova legge. Forse, con alle spalle il forcone della magistratura, il Parlamento sarà in grado di dare luogo a un nuovo sistema elettorale che duri almeno un paio di decenni. Resta la consapevolezza che non è questo il modo per dare al paese un giusto sistema legislativo. Sono i partiti e il Parlamento che dovrebbero provvedere a darci le leggi più giuste senza aspettare che qualcuno li metta con le spalle al muro. Altrimenti l’antipolitica non potrà che continuare ad agire da prim’attore.