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Il Diario del Lavoro

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Dal Tribunale di Milano una sentenza innovativa su appalti privati e contratto leader. Da oggi la guerra ai contratti pirata ha un’arma in più

di Alessandro Genovesi
10 Dicembre 2025
in Analisi
Cgil, Cisl, Uil, giudizio positivo sul nuovo codice, ma occorrono revisioni

Tanto tuonò che alla fine venne a piovere. O, se vogliamo, tanto si è insistito come Cgil (con il sostegno della parte sana e seria delle associazioni datoriali) sulla strategia di portare i principi regolatori previsti negli appalti pubblici anche e soprattutto negli appalti privati, che alla fine il nuovo comma 1 bis dell’articolo 29 del d. lgs. 276/03 ha prodotto una di quelle novità che potrebbero avere effetti di grande portata. Sia in termini di lotta al dumping contrattuale e alla concorrenza sleale sia in termini di nuove possibilità di azione per le grandi organizzazioni dei lavoratori. Quelle realmente rappresentative, democratiche e che da tempo chiedono di essere misurate.

Un nuovo comma 1 bis dell’articolo 29 del d.lgs. 276/03 che – ricordo – fu fortemente voluto dalla Cgil, con tanto di scioperi e manifestazioni (erano i mesi segnati dai drammatici fatti di Brandizzo, di Esselunga a Firenze, delle stragi in Emilia Romagna e in Sicilia, tutti morti “In appalto”), che integrò e modificò (al tavolo con il Governo, per la Cgil, eravamo Francesca Re David e il sottoscritto) quanto originariamente proposto dal Governo con il decreto legge 19/2024, per giungere (legge 56/24) ad una formulazione molto più simile a quella contenuta nel Codice degli Appalti pubblici. Una battaglia che la Cgil portò avanti insieme alla Uil, che vide Confindustria, Confcommercio e altre associazioni datoriali sostenere le nostre ragioni, insieme a grande parte anche delle forze politiche (un emendamento simile alla formulazione che uscì alla fine del tavolo di confronto fu proposto dalla Segretaria del PD, Elly Schlein, durante il dibattito parlamentare di conversione del decreto legge).

Del resto il principio su cui ci siamo sempre mossi e che comincia a fare breccia (si vedano anche diverse sentenze del Consiglio di Stato) era ed è patrimonio divenuto poi di molti: “è quello che si fa che definisce il CCNL da applicare” negli appalti e a “stesso lavoro” devono corrispondere “stessi diritti e stesso salario”. Uno slogan che si può riscontrare nella battaglia degli edili e dei lavoratori dei servizi già dal 2015 almeno, nella battaglia più generale delle Confederazioni poi, proprio a partire dalla riscrittura del nuovo Codice degli Appalti pubblici, imposta dall’Ue e dal PNRR.

Quel codice, cioè, che a suo tempo fu oggetto di confronto con il Governo (Presidente Draghi), con il Parlamento (legge delega 78/22, relatrice l’On. Braga del PD) e poi tradotto da un sapiente lavoro del Consiglio di Stato. Un codice degli appalti pubblici basato sull’obbligo di applicare i CCNL firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative ai lavoratori impiegati nell’appalto, assumendo l’attività svolta (l’oggetto dell’appalto) anche in maniera prevalente come criterio per l’individuazione delle tutele economiche e normative. Era (ed è) l’articolo 11 del Codice Appalti, non a caso inserito nella sua prima parte quella dei “Principi Generali”.

Il contrario di quella libertà di impresa, spesso invocata, per scegliersi il CCNL, riconoscere salari più bassi e diritti minori frutto di accordi figli della buona penna di qualche consulente del lavoro e non di reali dinamiche negoziali, tra soggetti realmente rappresentativi.

Quel codice che, per i lavoratori in subappalto, prevede (articolo 119) per esempio l’applicazione dello stesso CCNL dell’appaltatore e comunque un regime di tutele economiche e normative equivalenti (tutele poi codificate, per una comparazione tra CCNL, in 5 indicatori retributivi e 14 istituti normativi, dall’allegato I.01 di cui ad d.lgs. 209/24, anche esso rimaneggiato – rispetto alla proposta iniziale del Governo – da una concentrica azione di sindacati e associazioni datoriali nel novembre 2024).

Ora la portata di quel nuovo comma 1 Bis dell’articolo 29 inserito – strano destino – nel decreto legislativo che abrogò definitivamente l’articolo 3 della legge 1369 del 1960, si esprime in tutta la sua portata con la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 4 Dicembre 2025. Una sentenza in materia di appalti privati che ben delinea il valore, la portata e gli effetti del nuovo comma 1-bis dell’articolo 29 del d.lgs. 276/03 fino a riconoscere il diritto all’azionabilità dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori da parte delle organizzazioni comparativamente più rappresentative firmatarie del c.d. “CCNL leader” (o come dice la sentenza <<CCNL paradigma>>).

La sentenza, che dà ragione al sindacato ricorrente (la FILCAMS CGIL) e condanna per comportamento antisindacale due aziende (imponendo di fatto la disapplicazione di due CCNL sottoscritti dall’Ugl e il riconoscimento a tutti i lavoratori dell’impresa delle tutele economiche e normative previste dal CCNL sottoscritto dalla nostra categoria) è la prima che tratta nella sua completezza e concretezza l’applicazione del comma 1-bis dell’articolo 29.

In particolare, la sentenza assume degli orientamenti che, se consolidati, rappresenterebbero l’interpretazione più autentica sempre data dai sindacati confederali sin dalla primavera del 2024 e ripresa poi nelle varie indicazioni operative e contrattuali date dalla Cgil alle sue strutture in questi mesi, sia in materia di appalti pubblici che, soprattutto, in materia di appalti nei settori privati. Indicazioni che hanno portato alla sottoscrizione di importanti accordi con stazioni appaltanti pubbliche, grandi aziende partecipate e grandi imprese private, novazioni positive in diversi CCNL (da ultimo quello dei metalmeccanici per esempio).

Orientamenti che mettono in crisi – come ben mi ha evidenziato Lorenzo Fassina Responsabile degli Uffici Vertenze della Cgil – due dogmi diffusi nel sistema delle relazioni industriali italiano e nella stessa giurisprudenza, specie quella amministrativa: il primo dogma è quello della libertà d’impresa e della libertà contrattuale, che comporta la libertà delle parti di scegliere il contratto collettivo da applicare nel luogo di lavoro; il secondo, sempre riconducibile alla libertà d’impresa, secondo cui non è possibile obbligare un datore di lavoro ad applicare uno specifico contratto collettivo o meglio uno specifico trattamento economico e normativo (cioè il contenuto concreto di uno specifico CCNL).

Il giudice di Milano infatti indica esplicitamente che il nuovo comma 1-bis configura non un semplice parametro retributivo e normativo, ma un vero e proprio vincolo legale sulla corretta regolazione del mercato del lavoro negli appalti, la cui osservanza è affidata anche al sindacato stipulante il CCNL “leader”. Per cui la violazione del nuovo comma 1-bis incide direttamente sulla sfera collettiva per le prerogative dell’organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa, legittimando anche per i lavoratori non iscritti, il ricorso all’articolo 28 della legge 300/70 per comportamento antisindacale.

In particolare, al di là delle caratteristiche della specifica vertenza (segnata già da contenziosi passati) segnalo diversi punti di grande importanza che confermano anche il principio di forte connessione (potremmo scrivere di evoluzione) di principi tipici delle tutele riconosciute negli appalti pubblici anche agli appalti privati. E non a caso la stessa sentenza integra l’interpretazione data al nuovo comma 1-bis dell’articolo 29 del d.lgs. 276/03 con richiami espliciti a principi e modalità di comparazione presi dal Codice Appalti, cioè dal d. lgs. 36/23 anche come integrato dall’Allegato I.01 con il d.lgs. 209/24.

Entrando più nel merito il giudice riconosce che il nuovo comma 1-bis ha esplicitamente <<una funzione di contrasto al c.d. dumping contrattuale affidata dal legislatore all’azione negoziale dell’organizzazione ricorrente con il d.l. 19/2024 che, aggiungendo il comma 1-bis in seno all’articolo 29 d. lgs. 276/2003, ha demandato alla contrattazione sottoscritta dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative un ruolo fondamentale di garante delle condizioni di lavoro eque per i lavoratori impiegati negli appalti privati, e in paricolare del precetto secondo cui “al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto”>>.

Tanto che << l’alinea della nuova introduzione in seno all’articolo 29 d.lgs. 276/2003, norma complessivamente diretta a regolare la fattispecie degli appalti di opere e servizi, appare rispondere a esigenze di garanzia dell’adeguatezza del trattamento del lavoratore, non limitata alla componente retributiva ma estesa al complessivo assetto di diritti e garanzie, ponendo come elemento di comparazione il contratto collettivo territoriale e nazionale stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative. In tale prospettiva, è innegabile l’esistenza di una proiezione superindividuale di tale garanzia, che trascende l’interesse del singolo lavoratore all’adeguatezza del trattamento complessivo per involgere la sfera di tutela e protezione collettiva del sindacato, e in particolare di quello comparativamente più rappresentativo, parte stipulante del contratto cosiddetto paradigma, titolare di un potere-dovere di controllo del rispetto della disposizione e di prevenzione dei fenomeni di c.d. dumping contrattuale, e in generale, dell’applicazione di trattamenti deteriori>>.

Di conseguenza il giudice riconosce che <<tale previsione normativa ascriva al sindacato comparativamente più rappresentativo, sottoscrittore del CCNL leader del settore, una funzione di verifica e controllo del rispetto delle regole del mercato del lavoro nello specifico segmento degli appalti, sotto il profilo dell’osservanza delle regole minime salariali e normative, individuate dal contratto cosiddetto paradigma, che legittima lo stesso ad una reazione nel caso in cui consti l’alterazione di tale regole, che non può che fondarsi sul rimedio di cui all’art.28 St. lav.>>.

Questo aspetto della sentenza è molto importante, in quanto lo stesso Giudice evidenzia che la presenza di iscritti alla FILCAMS CGIL a cui veniva applicato un CCNL sottoscritto dall’UGL e che (come si vedrà in seguito entrando nel merito degli istituti contrattuali) non garantiva gli stessi trattamenti economici e normativi del CCNL “leader” (definito anche “CCNL paradigma”), è un “secondo” elemento che realizza un <<duplice e concorrente elemento di legittimazione>>.  Cioè, la legittimità ad agire, secondo il Giudice, è della FILCAMS CGIL per la funzione data dal nuovo comma 1-bis dell’articolo 29, in quanto firmatario del CCNL di riferimento. Ed è tale (cioè, è il CCNL leader) in quanto la FILCAMS CGIL è comparativamente più rappresentativa in quel settore.  La FILCAMS CGIL avrebbe potuto agire, quindi, in virtù di questa sua natura e della funzione antidumping che la norma riconosce ai CCNL sottoscritti, anche se non avesse avuto iscritti. Tanto è vero che la sentenza non obbliga poi l’impresa ad applicare i trattamenti previsti dal CCNL della FILCAMS solo ai suoi iscritti, ma a tutti i dipendenti dell’impresa.

Stabiliti tali principi (funzione regolatoria anti dumping del CCNL “leader”, definito anche CCNL “paradigma” da prendere a riferimento per verificare i trattamenti economici e normativi; legittimità ad agire per comportamento anti sindacale del firmatario del CCNL “leader” se comparativamente più rappresentativo) il giudice opera quindi una verifica specifica sull’attinenza del CCNL di settore all’attività (nel caso vigilanza privata, non contestato da nessuno dei soggetti) e una verifica sulla consistenza organizzativa della FILCAMS CGIL per verificare che sia “comparativamente più rappresentativa” dell’UGL, sottoscrittrice degli altri CCNL contestati.

Il giudice esamina e compara il numero degli iscritti, la diffusione territoriale, il ruolo negli organismi istituzionali, il grado di effettiva applicazione dei CCNL nel settore della vigilanza (prendendo a riferimento i dati del CNEL che registrano le dichiarazioni Uniemens) tra FILCAMS e Ugl per registrare che la prima sia “comparativamente più rappresentativa” e che quindi il CCNL da lei sottoscritto sia da prendere a riferimento per definire i trattamenti economici e normativi da riconoscere ai lavoratori dell’impresa.

Interessante è quindi, nel merito, la risultanza della comparazione svolta dalla Consulenza Tecnica di Ufficio richiesta dal Tribunale (e confrontata anche con le Consulenze Tecniche di Parte). Vengono presi a riferimento gli istituti salariali e normativi, oggetto di comparazione, così come determinati da alcuni fonti ufficiali. Nello specifico le circolari dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (a partire dalle circolari 7 e 9 del 2019), le indicazioni fornite per il Bando Tipo da ANAC in materia di appalti pubblici (relazione illustrativa al Bando Tipo per gli appalti di servizi del luglio 2023, ma si poteva anche richiamare la più recente relazione al nuovo bando tipo di fine novembre 2025) ed infine i 5 istituti economici e i 14 istituti normativi di cui all’Allegato I.01 (articolo 4) introdotto nel Codice Appalti con il D.lgs. 209/24.

Specificando – il giudice – che <<tale controllo deve articolarsi in due passaggi aventi ad oggetto sia le tutele economiche che quelle normative in quanto complesso inscindibile. In primo luogo, la stazione appaltante deve verificare l’equivalenza delle tutele economiche che deve essere annuale tenendo conto di tutte le mensilità supplementari e delle ulteriori indennità previste dai CCNL (…). In secondo luogo, se la prima equivalenza sussiste, la stazione appaltante deve verificare l’equivalenza delle tutele normative facendo riferimento a 14 istituti contrattuali (…). Il margine di scostamento, ai fini del giudizio di equivalenza, è limitato a soli due parametri>>.

A livello di trattamenti economici la comparazione tra il CCNL “paradigma” sottoscritto da FILCAMS CGIL, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, risulta a parità di scale parametrali superiore (<<una sensibile differenza di retribuzione in favore del CCNL CGIL>> scrive testualmente il giudice) per ogni livello professionale, anche ponderando gli stessi con divisori orari tra loro diversi (173 ore CCNL CGIL, 182 e 173 i due CCNL Ugl) ed includendo nei CCNL Ugl l’Egr.

A livello normativo vengono messi a confronto gli istituti della maternità e congedo parentale, della malattia ed infortunio, del lavoro straordinario e relative maggiorazioni, del lavoro part time e relative maggiorazioni, delle ferie, rol e permessi, dell’assistenza sanitaria, della previdenza complementare, del periodo di prova e dei termini del preavviso.

La consulenza peritale integrativa, cioè successiva alle consulenze di parte, assume quindi esplicitamente come criteri di comparazione (vedi pagina 18 della sentenza) gli istituti di cui all’articolo 4 dell’Allegato I.01 del Codice degli Appalti pubblici e giunge ad individuare ben 9 scostamenti tra il CCNL di riferimento FILCAMS CGIL e gli altri CCNL, che si aggiungono agli indicatori di natura economica di cui è appurata la natura migliorativa del trattamento erogato sulla base del CCNL CGIL.  In conclusione, la sentenza registra come << appare di palmare evidenza, applicando i suddetti parametri di comparazione, come tra i contratti collettivi in esame non posso dirsi sussistere l’equivalenza economica e normativa nel periodo intercorrente tra la proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio e l’attualità>>.

Al termine di questa definizione per cui il nuovo comma 1-bis dell’articolo 29 ha una funzione “di sistema”, con tanto di ruolo riconosciuto ai firmatari dei CCNL leader in quanto comparativamente più rappresentativi (tanto da poter agire l’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori), verificata la stretta connessione del CCNL all’attività oggetto dell’appalto e la natura di soggetto (la FILCAMS) comparativamente più rappresentativo, il Giudice conclude che << in considerazione della rilevata violazione dell’art. 29 co. 1-bis del d.lgs. 276/2003, avuto riguardo ai parametri prescelti per il giudizio di comparazione, consegue la necessità di adozione di un ordine alle società convenute di applicazione a tutti i lavoratori impiegati degli appalti di parametri retributivi e normativamente non inferiori a quelli stabiliti dal CCNL Vigilanza e Servizi Sicurezza sottoscritto dalla FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTUCS UIL con le associazioni datoriali aderenti a Confcommercio, Confindustria e Legacoop, quali organizzazioni e associazioni datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale >> e per questo <<accerta e dichiara l’antisindacalità della condotta delle resistenti HS Servizi s.r.l. e Hexiss s.r.l.>>.

È evidente che il Giudice non imponga l’applicazione del CCNL FILCAMS CGIL (non potrebbe probabilmente imporlo, in assenza di una legge attuativa dell’articolo 39 Cost. e relativo a valore “erga omnes” dei CCNL), ma il fatto che disponga l’obbligo di applicare a tutti i dipendenti delle imprese gli stessi trattamenti economici e normativi rappresenta un evidente e significativo disincentivo all’applicazione di CCNL “pirata”.

Questa sentenza è quindi una di quelle sentenze che, se si radicherà anche in altri pronunciamenti similari, cambierà non poco i “rapporti di forza” tra soggetti rappresentativi e “pirati e corsari vari”, raggiungendo l’obiettivo che tutti i soggetti presenti a quel famoso tavolo al Ministero del Lavoro ci eravamo dati.

Non solo perché si sancisce un importante precedente sia in termini di tutele per i lavoratori degli appalti privati che sono la vera giungla del nostro sistema produttivo, ma anche e soprattutto perché si sancisce un nuovo campo di azione sindacale le organizzazioni sindacali, da oggi più forti nel sostenere il comportamento anti sindacale delle aziende che violano l’articolo 29 del d.lgs. 276/03 riconoscendo ai dipendenti trattamenti economici e normativi inferiori a quelli stabiliti dai “nostri” contratti collettivi nazionali e dalla loro funzione di corretta regolazione (e concorrenza) nel mercato del lavoro.

Anche e soprattutto nel caso – più diffuso di quanto si immagini – di lavoratori deboli o ricattati o più banalmente impossibilitati a denunciare l’applicazione di CCNL con meno salari e diritti (“se no rischio il posto di lavoro” quante volte noi sindacalisti “di strada” ce lo siamo sentito dire, in un misto di paura e vergogna). Quei lavoratori cioè che non se la sentono di rischiare una vertenza esponendosi direttamente. Da oggi, verificato che in quella determinata azienda si sta applicando un CCNL in violazione del comma 1 bis dell’articolo 29, potranno agire direttamente i firmatari dei CCNL leader, in virtù della loro rappresentatività che, in quel settore, qualifica la funzione regolatoria generale del CCNL da loro sottoscritto.

E non è poco. Anzi. Tutta la battaglia contro i contratti pirata ha oggi un’arma in più, da rafforzare con l’impegno comune di sindacati ed imprese serie, da rafforzare ulteriormente tramite i tavoli di confronto aperti con Confindustria, Confcommercio, Cooperative ecc. e con una legislazione di sostegno per la misurazione effettiva della rappresentanza dei firmatari. Chiudendo così un cerchio da troppo tempo lasciato aperto e che ha permesso a molti “furbetti” di inquinare le relazioni industriali in questo paese.

Alessandro Genovesi

Alessandro Genovesi

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Responsabile Contrattazione inclusiva, appalti e lavoro nero della Cgil Nazionale

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