Il lavoro cambia, e occorre star dietro ai cambiamenti, cercando di capirli, assecondarli o contrastarli, ma sempre possibilmente anticiparli. Approfittando, magari, della felice circostanza per la quale, malgrado le varie disgrazie recenti (dalla pandemia alla guerra, alla crisi energetica), a partire dal 2021 il mercato del lavoro italiano mostra un volto sorprendentemente positivo, con un aumento dell’occupazione stabile che non si vedeva da decenni. Restano, tuttavia, i nostri problemi strutturali: a partire dall’occupazione femminile, la più scarna d’Europa e dal mostruoso numero di Neet, giovani che non lavorano e non studiano; ma anche la drammatica carenza delle politiche attive e della formazione, e, di conseguenza, la scomparsa delle competenze che le aziende cercano e richiedono. Il risultato è che, a fronte di un mercato del lavoro dinamico, si riscontrano sempre più frequentemente fenomeni come le dimissioni volontarie, o il rifiuto di offerte di lavoro considerate non soddisfacenti, non tanto per retribuzione, quanto per mancanza di percorsi di crescita professionale oltre che economica; cui fa pendant la disperata ricerca da parte delle imprese di profili introvabili, e un tasso di disoccupazione giovanile ancora eccessivamente elevato.
E tuttavia quella che è in corso è una trasformazione che va analizzata da un punto di vista non solo tecnico ma forse soprattutto culturale. Per capirne l’andamento occorre guardare oltre la rappresentazione tradizionale del nostro mercato dell’occupazione come luogo di precariato e sfruttamento, e arrivare a cogliere la nuova domanda di “senso” che arriva nei confronti del lavoro, soprattutto dalle giovani generazioni. Altrimenti si rischia di non capire proprio in che direzione si sta andando, finendo col ritrovarsi spiazzati di fronte alla nuova realtà che mescola sacche di lavoro povero con la ricerca di alte competenze, la precarietà col rifiuto di un lavoro stabile a favore di una maggiore flessibilità, la disoccupazione con le dimissioni volontarie, eccetera.
Di questo è cosciente la Cisl, che al tema delle “trasformazioni” ha dedicato un convegno assai interessante, chiamando la testimonianza di esperti come il giuslavorista Maurizio Del Conte e il presidente di Adapt Emanuele Massagli, assieme a rappresentanti del mondo delle imprese come Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, e del mondo delle agenzie interinali come il presidente di Assolavoro Francesco Baroni. Aperto da Daniela Fumarola, segretaria confederale di Via Po (il testo del suo intervento nella sezione Documentazione del Diario) e concluso da Luigi Sbarra, il convegno si è sviluppato attorno alle proposte illustrate nel manifesto “Per un lavoro a misura di persona” (anche questo testo è pubblicato integrale in Documentazione). Tredici capitoli, indicanti altrettanti problemi e relative possibili soluzioni, riassumibili in alcuni punti focali: più politiche attive e formazione per sviluppare quelle maggiori competenze richieste dal mercato del lavoro, contrattazione sempre “regina” rispetto a qualunque intervento legislativo, e ovviamente la partecipazione, argomento sul quale la Cisl è da alcuni mesi mobilitata sulla raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare.
Al di la delle proposte sindacali, alcuni non scontati spunti di riflessione sono arrivati proprio dagli interventi degli esperti esterni. Da Massagli, per esempio, è arrivata la conferma come oggi si sia in presenza di una “crisi da offerta”: paradossalmente, in un paese con tre milioni di giovani inattivi le imprese si devono contendere i lavoratori più esperti, pagandoli a peso d’oro e offrendo loro le migliori condizioni possibili. Ma non è solo un problema di incontro tra domanda di lavoro (alta) e offerta (bassa): la trasformazione in corso è più profonda e culturale, oggi al lavoro si chiede un “qualcosa” che va oltre la prestazione e la retribuzione, e da questo punto di vista probabilmente la logica della partecipazione sulla quale insiste la Cisl, creando tra datore e lavoratore un più forte coinvolgimento e responsabilizzazione, può costituire anche una risposta alla domanda di dare maggiore “senso” al lavoro.
Anche dalle parole di Barone arriva la conferma di quanto sia profonda la mutazione in corso, e la prova è nel sempre più intenso ricorso delle aziende alle agenzie per il lavoro: un fenomeno in crescita, arrivato a gestire oltre mezzo milione di lavoratori attivi, con 2500 filiali e 15 mila addetti. Alle agenzie quello che oggi le aziende chiedono (sobbarcandosene il non leggerissimo costo, va ricordato) non è tanto e non solo il tradizionale “lavoro in somministrazione” ma molto di più: la ricerca e la selezione di personale con precise caratteristiche a quanto pare sempre più introvabili, la gestione dei percorsi di carriera, nonché, addirittura, la consulenza su come produrre “proposte di lavoro il più possibile attrattive”, che abbiano quindi maggiori chances di essere accettate; perché, avverte Barone, sono sempre più spesso i candidati, oggi, a scegliersi le aziende presso cui lavorare, pronti a lasciarle se le promesse non verranno mantenute.
Altrettanto interessante l’analisi di Del Conte, secondo il quale gli incentivi per l’assunzione di giovani sembrano appartenere a un’altra fase storica, essendo oggi il punto cruciale quello di riuscire a intercettare i giovani stessi: le imprese, spiega, “devono andarli a stanare”, cosa non facile in quanto si tratta di una fetta di popolazione che resta fuori “non solo dal mercato del lavoro ma da qualunque forma di connessione sociale”. Un aiuto può arrivare, suggerisce Del Conte, anche dai social più diffusi come TikTok. Ma soprattutto occorrono azioni concrete, dal ricostruire una rete dei servizi al lavoro (come Del Conte stesso aveva iniziato a fare ai tempi in cui dirigeva la oggi praticamente estinta Anpal), al realizzare dei veri e propri hub di formazione che non si limitino a buttare risorse in poche ore di pacchetto Office e qualche parola di inglese, ma che siano in grado di garantire le competenze necessarie a rendere le persone realmente “occupabili”.
E qui si torna al ‘manifesto’’ della Cisl, che mette in campo, appunto, le sue tredici proposte. Tra le quali: potenziare gli investimenti nel sistema dell’istruzione nel suo complesso, dall’asilo nido all’università, puntare sull’orientamento e sulla formazione “a vita”, ma anche cambiare il sistema degli stage e dei tirocini formativi, perché non siano elementi di sfruttamento ma di apprendimento. E ancora: rendere efficaci i centri per l’impiego, potenziandone il personale, e sperimentando alleanze pubblico-private con le agenzie per il lavoro, erogare incentivi alle aziende che puntano sulla conciliazione vita-lavoro e sullo smartworking, dare tutele maggiori per i lavoratori autonomi, oggi i più penalizzati. Proposte accolte con interesse dalla titolare del Lavoro, Marina Calderone, a sua volta presente al convegno.
Infine, per allargare il campo a temi di stretta attualità e polemica, va sottolineato che nelle sue conclusioni Luigi Sbarra ha nuovamente bocciato l’introduzione per via legislativa sia del salario minimo – osservando che fissando una cifra minima per legge il riferimento per quanto concerne le retribuzioni non sarebbero più contratti e sindacati ma il governo, con tutto ciò che ne consegue – sia una eventuale riduzione d’orario: temi, ha precisato, che vanno certamente affrontati e perseguiti, ma solo attraverso la contrattazione. No da Sbarra anche alla legge sulla rappresentanza, molto sollecitata dalla Cgil, ma dalla Cisl ritenuta non necessaria e, anzi, potenzialmente dannosa se accompagnata da misure come l’estensione delle Rsu anche alle piccole aziende e il referendum obbligatorio su ogni accordo sindacale. Altrettanto bocciata, infine, l’ipotesi di un referendum contro il Jobs Act, come ventilato dalla Cgil e dal Pd: la riforma del lavoro varata nel 2016 dal Governo Renzi, ha detto Sbarra, aveva alcune lacune che sono state, negli anni, colmate, ed è dunque oggi sbagliato e ideologico pensare di eliminarla; dimenticando, o fingendo di dimenticare, i numerosi elementi positivi che ha introdotto.
Nunzia Penelope