Tutto vero. La crisi, la fiducia, la missione in Afghanistan, la legge elettorale, i Dico, lo stato di salute dei senatori a vita, la coazione a parlare di troppi ministri, la logorante fatica di cercare unità di decisioni e di voce. Tutto vero, gravano sull'Esecutivo molti e ardui problemi. Ma tutto il resto che fine sta facendo, si domandano i sindacati, e lo domandano al Governo con i toni di chi è arrivato alla fine della pazienza, mentre lo stesso interrogativo percorre le organizzazioni imprenditoriali, accompagnato qui dal sospetto che stia affiorando a Palazzo Chigi e dintorni un clima poco sensibile alle esigenze delle imprese.
L'elenco di tutto il resto è denso e noto: previdenza, sviluppo e produttività, questione salariale, ammortizzatori sociali, contratti pubblici, destinazione e uso dei miliardi affluiti ben più del previsto nelle casse statali per il forte calo dell'evasione fiscale. Siamo nel pieno e nel vivo di una grande missione – non in terra afghana, questa – che il Governo, nascendo, aveva assegnato a se stesso. Il mutamento profondo della politica economica e sociale, assumendo la concertazione come suo strutturale strumento. In quello spirito, dicono i sindacati, si è svolta la prima fase, quella in cui furono stabiliti i principi, gli orientamenti, gli obiettivi, i tempi e i modi per affrontarne la realizzazione, quella dei memorandum scritti e firmati. Dopo è scesa la nebbia, della quale hanno fatto parte integrante la quotidiana processione di esternazioni ministeriali e l'altra sfilata, in senso contrario, delle dichiarazioni delle parti sociali, sempre le stesse cose con le stesse parole. Ormai da troppo tempo, constatano i sindacati, dura la nebbia, adesso basta, devono aprirsi i tavoli della concertazione a partire da quello previdenziale, deve cominciare un negoziato vero.
Uguale nebbia, anzi la stessa, avvolge e nasconde finora le intenzioni del Governo. Si conoscono le posizioni di singoli ministri e di quelli, in gruppo, appartenenti alla sinistra denominata radicale. Si ignora cosa l'Esecutivo in quanto tale ha in animo di proporre in sede di confronto. L'Esecutivo è muto. Il sottosegretario Letta ha negato che voglia prendere tempo e assicurato che intende giocare a carte scoperte, ma i sindacati vorrebbero capire se le carte ci sono, o non ancora, e quando. Prodi ha evocato una cena di lavoro a Palazzo Chigi, Epifani ha detto la stanchezza di cene inconcludenti, Prodi ha replicato con una battuta sulla ribellione al cibo e sulla dieta che invece di sdrammatizzare denunciava tutto il suo imbarazzo. Perché questa passività e silenzio sul merito delle questioni? Al fondo, pensano i sindacati, l'incapacità di sciogliere i nodi, di trovare un punto di mediazione serio e credibile tra le spinte divergenti che si confrontano. Tra la riforma delle pensioni che Padoa-Schioppa garantisce a Bruxelles e la semplice manutenzione di Damiano, tra riversare le maggiori entrate fiscali nella lotta al deficit o trasferirle in parte sul finanziamento degli ammortizzatori, per fare due esempi.
Ma anche un'altra ragione i sindacati intravedono e temono. Che si tenti di rimandare tutto alla tarda primavera, a dopo le elezioni amministrative di maggio, per crudo interesse politico ed elettorale, scegliendo da qui ad allora, di fronte al rischio di decisioni impopolari, la linea dell'avanti piano senza farsi male. Ipotesi che l'intero campo sindacale giudica semplicemente inverosimile e improponibile. Sanno bene, le confederazioni, il malessere e la tensione che attraversano la loro base sociale, alla quale devono risposte chiare, coerenti agli impegni, effettivamente misurabili, se vogliono difendere e salvare la concertazione, il loro ruolo, il loro peso reale nella società, la forza che continuano ad avere rispetto alla debolezza dei partiti. Ha dichiarato il ministro Damiano che la concertazione è nel Dna del Governo. Pare ai sindacati che questo contenuto del Dna stia diventando una specie di amore platonico. Gli chiedono di venire finalmente al sodo, agli atti concreti, ai ruvidi fatti.
Leopoldo Meneghelli