di Giorgio Santini – Segretario Confederale CISL
La proposta del vicepresidente di Confindustria, Bombassei, di realizzare un patto costituzionale (nel senso di costitutivo) per le relazioni sindacali tra le parti sociali, va accolta. E’ pertanto necessario che, da subito, venga avviato un convinto impegno da parte del sindacato confederale per non lasciar cadere una così importante opportunità.
Ricordiamo che da molti anni, ormai, non viene stipulato un accordo interconfederale con caratteristiche regolative e su contenuti importanti di diretta competenza delle parti sociali. Se si eccettua qualche intesa su temi specifici, in particolare di recepimento di direttive europee (626, telelavoro, partecipazione) l’ultimo grande accordo interconfederale è quello del 1993, che non a caso è ancora il riferimento del sistema di relazioni tra le parti, anche se ormai logorato, soprattutto dalla mancata attuazione della politica dei redditi. Un altro significativo accordo interconfederale del 1997 sull’orario di lavoro fu successivamente accantonato dalla decisione del Governo di emanare il dl 66 senza tenerne conto in modo completo. Altri accordi, come quello sui contratti a tempo determinato, videro il rifiuto di alcune organizzazioni.
Il terreno lasciato libero (o meglio vuoto) dalla contrattazione sindacale non è rimasto, però, a lungo sgombro. Progressivamente, con sempre maggiore forza, la legislazione ha cominciato ad occuparsi in termini estensivi e a volte invasivi di materie e compiti che non le sarebbero state proprie. Già nella precedente legislatura ci furono punti di contrasto in materia di legge sulla rappresentanza e di legislazione sul lavoro atipico. In questa legislatura, poi, si è registrato il caso più emblematico, per certi versi clamoroso rappresentato dalla l. 30 e dal successivo dl 276 sul mercato del lavoro. Nulla da eccepire che la legge regoli le questioni relative al funzionamento del mercato del lavoro e alle politiche attive del lavoro, ma se arriva a regolare la tipologia dei rapporti di lavoro, la loro concreta attuazione nei minimi particolari (ad es. del part-time), ciò rappresenta una clamorosa riduzione di ruolo e significato della contrattazione sindacale, che a nostro avviso, alla lunga, danneggia anche la capacità del sistema economico e produttivo di reggere il passo con le sfide del cambiamento, dell’innovazione, della modernizzazione. Da questo punto di vista i primi bilanci sull’attuazione del dl 276 non sono entusiasmanti per nessuno. Né per il sindacato ma in fondo nemmeno per il sistema delle imprese, come dimostrano indagini specifiche.
Sul versante più specifico dei contratti di lavoro e degli assetti contrattuali, è ormai di tutta evidenza come la contrattazione sia molto faticosa, crescano paurosamente i ritardi contrattuali, ogni rinnovo diventi un’incognita. Non è decollata la contrattazione decentrata, schiacciata dalle scadenze troppo ravvicinate dei contratti nazionali, dalla scarsa volontà e propensione delle imprese a favorire una negoziazione di tipo partecipativo in rapporto ai risultati, nell’ultimo periodo anche dalla negativa congiuntura economica.
Insomma, tutti gli indicatori ci dicono che è in atto una “eclissi della contrattazione”. Trattasi, in natura, di un fenomeno temporaneo, ma sul piano delle relazioni sindacali, se non si avvia un’azione strategica di rilancio dei rapporti negoziali tra le parti sociali, c’è il rischio che dall’eclissi si passi rapidamente all’oscuramento. Per questo motivo l’idea di riaffidare alle relazioni sindacali tra le parti sociali un ruolo costitutivo è essenziale soprattutto nell’interesse del sindacalismo confederale, per gestire con il protagonismo delle proposte e degli accordi una fase molto difficile per il lavoro, l’economia, l’industria. Saranno naturalmente decisivi i contenuti e la capacità delle parti di riconoscere e saper valorizzare le rispettive esigenze.
Come CISL vogliamo allora contribuire a questo confronto ponendo due temi. I contenuti di questo nuovo patto costitutivo dei rapporti sindacali debbono essere ambiziosi. Sui temi delle politiche del lavoro, dell’orario, della formazione continua, della partecipazione, degli assetti della contrattazione il terreno è affollato di incompiuti, parzialità, semi-lavorati, criticità. E’ necessario riordinare, sistematizzare, orientare con la leva della negoziazione il sistema agli obiettivi fondamentali: come favorire la crescita dell’occupazione per uomini e donne, giovani e anziani, ridare una prospettiva allo sviluppo e alla modernizzazione delle imprese perché possano restare in piedi nella difficile competizione internazionale, promuovere e valorizzare la qualità del lavoro o la sua stabilizzazione per rendere più forti le aziende e meno incerta la vita delle persone.
Sull’architettura delle relazioni sindacali è tempo di prendere atto che il sistema si è differenziato, la produzione e le attività di servizio si sono spalmate nel territorio, le competenze legislative sono in capo non più solo allo Stato ma anche alle Regioni.
Serve, anche in questo ambito, una nuova capacità regolativa che non indulga alle “retorica del frammento o peggio del localismo” ma che sappia calibrare sui diversi ambiti nazionali, regionali, territoriali aziendali compiti e funzioni delle relazioni sindacali. Un semplice bilancio dell’esistente dimostra che l’attività in questo ambito è vivace ma disordinata. Spetta alle parti assumere iniziative regolative.
Sullo sfondo di queste possibili e auspicate nuove iniziative delle parti sociali si pone il ruolo che potrà o non potrà svolgere il Governo, che negli anni scorsi si è lanciato sul tema con un grande protagonismo, purtroppo inversamente proporzionale alla capacità di raggiungere risultati stabili e di mantenere gli accordi stipulati. La questione non va vista con preclusione. Il Governo, se lo riterrà, potrà svolgere il compito che doverosamente gli spetterebbe, cioè realizzare provvedimenti che favoriscano lo sviluppo e il lavoro, attraverso riduzioni dei costi e della tassazione. Ciò indubbiamente potrebbe incentivare le parti sociali ad utilizzare proficuamente questa opportunità e a realizzare intese che sostengano a loro volta sviluppo, lavoro, redditi.
Qualora il Governo non intenda assumere iniziative di questo tipo, tuttavia, ciò non dovrebbe pregiudicare l’iniziativa autonoma delle parti sociali di una discussione finalizzata alla realizzazione di un nuovo patto costitutivo delle relazioni sindacali. Ce lo chiede la realtà quotidiana. Ma lo reclama, ancor più forte, il patrimonio storico delle relazioni sindacali italiane che, se, non rilanciato rischia di svalutarsi irrimediabilmente.