Giorgio Caprioli – Segretario Generale Fim Cisl
È proprio vero che a dividere i sindacati metalmeccanici è soprattutto una questione di democrazia? Sicuramente il problema esiste e va discusso. Ma le ragioni profonde della rottura hanno a che fare con un altro ordine di problemi, di natura strategica, che non possono essere risolti con scorciatoie referendarie. Ne menziono quattro.
Primo problema: il sindacalismo italiano corre il rischio di perdere la sua ispirazione confederale. Siamo minacciati anche nell’industria dal diffondersi di logiche corporative: gruppi di lavoratori, con forte potere contrattuale, si sganciano dagli altri e impongono sulla base dei rapporti di forza accordi a proprio esclusivo vantaggio. Mi sembra che talune scelte della Fiom, non ultima quella dei precontratti, non solo ignorano, ma rischiano di assecondare questa deriva corporativa.
Secondo problema: il politicismo. Noi siamo il sindacato più politico del mondo: basti pensare al peso che hanno le confederazioni, in termini sia di risorse assorbite che di ruolo politico. Negli ultimi anni, poi, è affiorata la tentazione di spendere la rappresentatività conquistata in cinquant’anni su un piano non più sindacale, ma politico. Ci hanno provato prima D’Antoni e poi Cofferati, come ci sta provando D’Amato sul lato delle associazioni datoriali. La Fim si è sempre opposta a questa distorsione, la Fiom ne è invece la principale interprete.
Terzo problema: la necessità di allargare la nostra base di rappresentanza. È un argomento che spiazza tutti i ragionamenti sulla democrazia, perché, per quanto siamo democratici, noi riusciremo a far votare solo quelli che stanno dentro i nostri recinti. Ora, se vogliamo modificare e allargare la nostra rappresentanza, dovremo fare necessariamente delle forzature “illuministiche” sul consenso di chi è già nel recinto, con operazioni che probabilmente saranno osteggiate da quelli che votano.
Quarto problema: le risorse di cui vive l’associazionismo sindacale. Detta fuori dai denti: se le spese per fare il referendum, che sono piuttosto elevate, le paga il sindacato, vuol dire che lo pagano gli iscritti al sindacato, il quale di quei soldi campa. È democratico usare i soldi degli iscritti per far votare i non iscritti? Insomma, esasperando la problematica della democrazia, corriamo il rischio di distruggere nel medio periodo le nostre capacità organizzative di costruire rappresentanza.
Ciò detto, parliamo pure di democrazia sindacale.
Mi sembra che la Costituzione assegni al lavoratore il diritto ad associarsi, mentre indirettamente attribuisce alle associazioni il diritto a contrattare. Quindi il diritto a contrattare deriva dal diritto ad associarsi. Questo è un altro punto di radicale dissenso con la Fiom, la quale afferma a ogni piè sospinto che la titolarità della contrattazione è dei lavoratori. È un’affermazione che non solo non ha appigli nella Costituzione, ma contrasta con l’abc di qualsiasi sindacalismo in ogni parte nel mondo: il lavoratore ha diritto ad associarsi, chi è associato ha un sindacato, il sindacato contratta; sui risultati della contrattazione si pronuncia chi si è associato, mentre gli altri, non essendosi associati, non hanno attivato quel diritto.
Se lo chiediamo ai sindacalisti del Nord Europa, ci diranno che per loro è scontato che sia così. Ma in Italia c’è un problema, il pluralismo sindacale, che non c’è nel Nord Europa. Ora, la Costituzione dice che, se i sindacati sono più di uno, decide chi ha più iscritti. Si fa insomma perno sul principio associativo. Il sindacato o più sindacati associati che hanno il 51 per cento degli iscritti fanno contratti con validità erga omnes. Contano gli iscritti e solo loro, e si decide attraverso gli organismi sindacali. Dunque, principio associativo puro e democrazia indiretta.
Noi non siamo disposti a buttare a mare questi due capisaldi. Se, quando si tratta di decidere, l’essere iscritto al sindacato non conta più niente, è il suicidio dell’organizzazione sindacale come libera associazione dei lavoratori. Tuttavia, per uscire dall’impasse, potremmo pensare a due tipi di proposta, anche rinunciando a uno – ma a uno solo – dei due principi.
La prima proposta la Fim l’ha fatta da tempo: se è vero che la democrazia indiretta, delegata, è la più adatta a produrre decisioni, potremmo costruire un sistema di democrazia indiretta ad hoc per il contratto nazionale, attraverso una assemblea nazionale dei delegati eletti da tutti i lavoratori. In questo caso abbiamo abbandonato il principio associativo, però mantenendo quello della democrazia indiretta.
La seconda proposta teoricamente possibile percorre la via opposta: abbandoniamo la democrazia indiretta, ma allora facciamo votare solo gli iscritti. In parole povere, si potrebbe ragionare di un referendum conclusivo dove votano solo gli iscritti, perché quanto meno salverebbe il principio associativo.
Perché è importante salvare almeno uno dei due principi? Perché sia il principio della democrazia indiretta che quello del riferimento agli iscritti sono le basi che reggono il sindacato. Perché un lavoratore dovrebbe prendere la tessera se tutti ottengono comunque gli stessi benefici e diritti?
Se si continua a ignorare questo problema, si arriva diritti a un nuovo sistema corporativo, magari di sinistra, e dovremo chiedere i finanziamenti pubblici allo Stato, farci prescrivere per legge come si vota, e quando non veniamo a capo degli eventuali contenziosi, far intervenire magari qualche giudice.