Salario, welfare, relazioni sindacali. Sono questi i punti fondamentali del nuovo Contratto dell’Area Funzioni centrali. Un contratto che, come spiega Stefano Di Leo, Presidente di CIDA Funzioni Centrali deve però guardare già a quello successivo. Con il mondo del lavoro in continua trasformazione lo slittamento temporale tra il triennio di riferimento e il momento effettivo nel quale si arriva alla firma non è più accettabile.
Presidente il contratto delle funzioni centrali è stato firmato da tutte le sigle, tranne la Cgil. Un fatto non di poco conto per il pubblico visto che altri rinnovi hanno registrato defezioni più ampie.
Il 92% delle sigle hanno firmato il contratto. Questo è un segnale. Per il sistema delle relazioni sindacali è fondamentale che non ci sia quello slittamento temporale tra il triennio di riferimento e il momento nel quale si firma il contratto. È la prima volta che si arriva alla sigla dell’accordo con già con le risorse a disposizione per la tornata successiva e l’idea è quella di raggiungere in tempi rapidi alla firma del nuovo contratto, perché 3-4 anni di ritardo sono un’enormità soprattutto per il mondo della dirigenza. La direttiva “madre” per la stagione 2022-2024 era partita a gennaio del 2024 e quella per dirigenti e professionisti delle funzioni centrali solo tra aprile e maggio 2025, quindi nel giro di poco più di due mesi abbiamo chiuso un contratto che guarda già quello successivo. Entro l’anno, sperando di avere i dati sulla rappresentatività e il nuovo atto di indirizzo del Ministro, vorremmo avviare le trattative per il triennio 2025-2027.
Quali sono i punti dell’accordo?
La firma del contratto per noi è stata un atto di responsabilità. Abbiamo portato a casa risultati positivi sul fronte retributivo, salvaguardando l’aumento del 15% della retribuzione di risultato delle strutture organizzative complesse, abbiamo aggiornato le indennità di trasferta per i professionisti degli enti pubblici non economici e avviato una parziale riduzione della forbice retributiva tra professionisti di primo e secondo livello confidando che nel prossimo contratto collettivo in ogni Ente almeno il trattamento di trasferta dei professionisti venga equiparato a quello della dirigenza, che ad esempio in ENAC ha raggiunto sperequazioni paradossali. Ma siamo intervenuti anche sulle relazioni sindacali, rafforzando il ruolo dell’Organismo Paritetico per l’Innovazione, e sul welfare.
Che cosa vorreste cambiare?
Lamentiamo la mancanza per il sindacato di poter incidere maggiormente, questo a causa di blocchi normativi che ci portiamo dietro dal passato, in determinati passaggi importanti per la vita dei dirigenti come il conferimento degli incarichi, perché registriamo una tendenza a non motivare adeguatamente i provvedimenti a tutto svantaggio del buon andamento degli uffici. Noi siamo favorevoli all’immissione di nuove professionalità esterne alla pubblica amministrazione ma solo se queste riescono a portare qualcosa in più in termini di leadership e competenze. Ma troppo spesso al posto di risorse interne si privilegia la vicinanza al “potente” di turno. Quindi se nel contratto riuscissimo a inserire degli standard professionali sicuramente tutto il pubblico ne gioverebbe. Inoltre sono le risorse presenti nella legge di bilancio a indirizzare i rinnovi, togliendo spazio alla contrattazione.
Come giudica la decisione della Corte Costituzionale di togliere il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici?
Per noi è una cosa positiva. Si è attrattivi anche e soprattutto attraverso lo stipendio. È giusto premiare quei manager abili nella gestione e che ottengono risultati importanti. La pronuncia è un modo per ridare appeal al pubblico e anche per arginare la corruzione.
Che sfide deve affrontare il dirigente pubblico?
Sta cambiando il mondo del lavoro. Cambia anche il modo di esercitare la leadership. Siamo davanti a una vera e propria rivoluzione culturale con l’intelligenza artificiale che impatterà proprio sulle professioni a più alto valore cognitivo. Attraverso il contratto dobbiamo dare gli strumenti per governare questo nuovo scenario. La formazione continua non deve essere fatta unicamente a parole. Bisogna aiutare chi è un po’ più in là nella carriera e possiede un grande bagaglio di esperienza e dall’altro lato motivare e trattenere i giovani. Il nostro contratto riguarda poco più di 6mila persone a fronte dei 3 milioni di dipendenti pubblici. Quindi i costi sul bilancio dello stato sono veramente irrisori. Ma se non si motiva chi deve guidare la macchina si rischia di andare poco lontano.
Qual è l’identikit del dirigente pubblico?
Le statistiche parlano di un abbassamento dell’età media, che è intorno ai 50 anni. Non è una fascia anagrafica particolarmente “giovane” ma anche il settore pubblico riflette l’andamento demografico del paese. Devono esserci possibilità più ravvicinate di immissione e non graduatorie che sono vecchie di anni. Con due anni di studio serio il neo laureato ha la possibilità di poter superare i concorsi, ma noi dobbiamo essere attrattivi in termini economici e di possibilità di carriera.
Il rinnovo del contratto della dirigenza pubblica rientra in quell’attenzione al ceto medio che la vostra Confederazione da tempo porta avanti?
Assolutamente sì. Come detto bisogna riconoscere il merito e premiarlo sotto il profilo economico e di carriera. Quando viene promosso chi ha meno competenze a perderci è tutto il sistema. Da tempo come confederazione stiamo portando avanti una battaglia per dare nuovamente dignità al ceto medio. Per decenni lo sviluppo del nostro paese si è basato sul ceto medio. Oggi, come dimostrano le ricerche realizzate da CIDA con il Censis, il livello di quello che ancora si definisce come tale si è notevolmente abbassato in termini economici e di possibilità sociali. In Italia c’è un enorme problema di evasione fiscale che toglie risorse. Su questo bisogna intervenire così come bisogna rimuovere chi non rispetta le regole all’interno della pubblica amministrazione.
Tommaso Nutarelli